Bei colpi di genio ( prodezze )

L’ascolto e la voce dalla culla alla tomba.

traduzione Pr. Claudia Cimino (4 Décembre 2001)

{La clefs des sons, Dr Bernard Auriol }

 

 

Incursione presso i nostri fratelli inferiori.

 

Con molta sagacia e molti sforzi, gli scienziati cercano spesso di sottolineare ciò che differenzia la specie umana da tutte le altre categorie di animali. È soprattutto a livello dell’intelligenza e del linguaggio che si tenta di sottrarsi ad ogni contaminazione proveniente dal basso.

Nello stesso tempo ci si meraviglia dell’abilità comunicativa di api, formiche, termiti e leoni di mare, per proclamare bruscamente che “questo non c’entra nulla” e che essi sono comunque banditi dall’Eden Simbolico.  Così Buytendijk (1958) “La parola non ha origine – essa è l’origine” (Ursprung – salto originale):  essa nasce in un salto allo stesso modo di un cambiamento, di un risveglio, di una mutazione. 


 

Dalla grande quantità di ricerche i cui risultati sono oggi disponibili, possiamo almeno trarre le seguenti considerazioni:

“l’udito è un senso che si è sviluppato soprattutto come “strumento di allarme”,  segnale di pericolo.  Solo successivamente tale senso è stato utilizzato per la comunicazione fra individui, all’apparenza più emozionale, affettivo, soggettivo che rappresentativo e obiettivo.  In questo l’udito si differenzia notevolmente dalla vista.” (Viaud, 1967). 

 

Sarebbe azzardato, in rapporto alla specie umana, considerare, le cose in modo tanto semplicistico.  L’evoluzione comporta molte astuzie e non esita di fronte al salto mortale, al capovolgimento che permette all’uomo di utilizzare organi di minore importanza per scopi superiori.  Da “strumento di allarme” l’udito si sposterà fino al simbolico, oltrepassando l’immaginario, custodendo tuttavia il suo collegamento primitivo al “tutto o niente”, alla minaccia improvvisa, agli eventi nascosti.

 

La comunicazione acustica si manifesta nel momento in cui il duro si integra alla vita.   Il duro del carapace presso gli artropodi, e soprattutto l’osso presso i vertebrati: essa non esiste presso i protozoi, i celenterati, gli echinodermi, i vermi, i molluschi. 

 

Negli artropodi e nei vertebrati inferiori, le emissioni sonore hanno per scopo principale di assicurare l’incontro dei partner sessuali e, a volte, il mantenimento della coppia durante la stagione della riproduzione.  Questo, come è noto, ha il risultato d’impedire i rapporti sessuali con individui di altre specie.  I segnali sonori possono anche servire a definire il territorio: il segnale acustico è un meccanismo al servizio di una funzione.

 

Presso i mammiferi le relazioni si sfumano e i segnali diventano scambi finalizzati piuttosto che manifestazioni automatiche.  Il suono si mette al servizio della vita sociale che si esprime in termini di condivisione, compartecipazione, scambi d’influenza, continui adattamenti; la comunicazione si svincola dalle caratteristiche originarie, strettamente funzionali. Quando le circostanze cambiano radicalmente, la stessa attività fonica può evolversi e adattarsi al contesto, permettendo, fra l’altro, le relazioni con altre specie – in particolare con l’essere umano (addomesticazione).

 

Questa mancanza di corrispondenza fra un tipo di prestazione sonora ed una data manifestazione comportamentale spiega la difficoltà degli etologi a classificare il linguaggio dei mammiferi secondo le differenti circostanze dell’emissione, come avviene invece, per i vertebrati inferiori, o gli artropodi (richiamo sessuale, segnale d’allarme o di combattimento, etc.);  essi preferiscono allora concentrarsi sui particolari acustici in loro stessi e parlano di grugniti, boati, latrati, lamenti, gemiti, mugolii, ululati, miagolii, muggiti, ruggiti,  belati, etc.

 

Molte di queste designazioni portano ad immaginare che alcune sonorità avrebbero un significato simile – al meno in linea di massima – presso tutti gli esseri viventi.  Le argomentazioni a favore di questa ipotesi  vanno nel senso di un “denominatore comune”: si trovano suoni simili presso specie simili in ragione del loro habitat.  Certamente, questa comunanza di struttura di gridi sussiste solo quando non nuoce alla necessità vitale di farsi riconoscere come distinta.  I segnali di allarme per avvertire gli esseri della stessa specie di un pericolo non hanno bisogno di simili precisazioni e quelli di alcuni uccelli potrebbero essere scambiati con quelli prodotti nelle stesse circostanze da taluni cercopitechi (scimmie).

 

D’altra parte è stato possibile dimostrare che esiste una trasmissione ereditaria (ibridazione) del modo di vocalizzare  ma non delle circostanze nelle quali sia opportuno farlo in un modo o in un altro: occorre un certo apprendimento.

 

Presso i mammiferi esistono due forme di espressione vocale:

  1. da una parte, dei suoni ‘discreti’, individualizzati, separabili (si tratta di suoni che esistono anche presso gli altri vertebrati e gli artropodi), facilmente riproducibili, anche se con un principio di variabilità, soprattutto presso le scimmie.  S’impregnano di un’intonazione che caratterizza al tempo stesso l’individuo e il suo vissuto del momento.  Questo tipo di vocalizzi vengono utilizzati allorquando occorre comunicare senza vedersi (i. e. a distanza);
  2. da un’altra parte dei suoni ‘graduati’, di struttura variabile e mal definiti.  Questa gradazione del relativo repertorio aumenta in funzione del grado di socializzazione delle specie.  Questi suoni si prestano assai bene ad ogni sorta d’interazione tra l’emittente e il ricevente; sono suscettibili d’innumerevoli aggiustamenti. Riflettono un gioco di comunicazioni e di scambi in funzione della personalità di ogni protagonista, della storia delle loro relazioni precedenti e della variabilità della situazione socio-ecologica del momento. Questo tipo di comunicazioni in tanto può prodursi in quanto c’è una certa prossimità fra i due.  In effetti, la modulazione in funzione dell’altro necessita che quest’ultimo sia visibile.  Questi scambi sonori favoriscono l’armonia fra la madre e i suoi piccoli, ovvero fra i membri di una stesso branco. Intervengono anche nelle relazioni gerarchiche, di corteggiamento nuziale, di gioco gratuito, etc.

 

Si assiste non solo a dialoghi, ma anche a clamori collettivi che portano gli osservatori a parlare di ‘cori’: contagio imitativo (per esempio presso i lupi), difesa sonora del territorio comune (in particolare nelle specie nomadii), ma certamente anche forti momenti di socializzazione…

 

Una simile ricchezza vocale è legata sia ad una capacità uditiva più raffinata rispetto a quella di altri esseri viventi, per esempio gli insetti, che a una maggiore capacità di fonazione in ragione della presenza di una laringe meglio sviluppata per far risuonare la cavità nasale, della bocca (soprattutto presso l’essere umano, che è in grado di ‘articolare’) e della faringe, per produrre insiemi sonori caratteristici e modulabili: i ‘formanti’ (Leipp, 1971 a).

 

Il repertorio delle scimmie antropomorfe racchiude la più grande diversificazione di suoni graduati in intensità, durata e frequenza.  Esse sono in grado anche di stabilire delle categorie, ossia fare delle distinzioni all’interno di una gradazione vocale fisicamente continua, proprio come noi abbiamo appreso a distinguere i fonèmi ‘b’ e ‘p’.  Alcuni primatologi hanno insistito sulle analogie che legherebbero le gradazioni vocali di scimpanzé e taluni fonèmi frequenti nelle lingue umane (Marler, 1976; Green, 1977).  Altri ritengono che il cercopiteco d’Etiopia è capace di ‘accedere al simbolo  [1] ’, ovvero, per esempio, d’informare gli esseri della sua stessa specie della presenza di un serpente, precisando se velenoso o meno (Seyfarth citato da Gautier, 1983).  Si tratta ovviamente di un punto di vista contestato.


 

 “Parlêtre”  (essere parlante e parlato)

 

Questo bisogno di erigere frontiere fra l’uomo e l’animale è sorprendente.  E’ probabilmente la conseguenza di una certa filosofia antropocentrica (ovviamente occidentale) che va in crisi allorquando si prende in considerazione l’ipotesi di una serie indefinita di ‘anelli intermedi’ fra l’uomo e la scimmia (genio genetico con capacità di creare un eventuale scimpazuomo).  Ci si interroga per individuare il momento preciso in cui si passa da una natura ad un’altra (Vercors), anche se è chiaro che in fin dei conti, specialmente per quelli fra noi meglio dotati “la comunicazione orale, diventando linguaggio, si libera dell’immediatezza del reale nella misura in cui l’uomo pone una distanza fra il reale e se stesso”, uno iato fra la vita e la civilizzazione, anche a costo di un gran numero di rinunce e di un certo malessere.

 

Personalmente sono poco incline ad insistere su questo punto, ad elargire interruzioni fra linguaggio e azione.  I suoni, gli atteggiamenti, i gesti, e l’intimità sono legati.  Questi legami possono essere decodificati da colui che ascolta o osserva,  Possono essere in seguito utilizzati intenzionalmente per rievocare il passato, suggerire il futuro, divenendo la cosa migliore, oppure … la peggiore.  Strumenti di comunicazione, menzogne per una verità.  Un gradino di più, ed eccoli nuovamente ripieni di sensi, trionfalmente intronizzati nella sfera del simbolico, atti a produrre discorsi filosofici, secrezioni dell’inconscio.

 

Queste (ed ovviamente altre) tappe si superano quando tutto è pronto, e comunque quando la tappa precedente è stata debitamente affrontata in tutta la sua estensione e soddisfacentemente sperimentata.  Quando tutto è pronto funzionalmente e anatomicamente: si sa per esempio che presso i primati non umani – come nel bambino piccolo – il comportamento vocale dipende essenzialmente dalle aree sub corticali sulle quali non è possibile esercitare un controllo intenzionale.  Tuttavia il piccolo Mowgli è capace di fare di meglio, specialmente riguardo al controllo corticale.  Esamineremo quindi come s’instaurano le prerogative dell’essere ‘parlante e parlato’.

 

Egli sopraggiunge a volte in modo non intenzionale, raramente all’improvviso.  Non tanto in corrispondenza della migrazione delle cicogne o della fioritura dei roseti, quanto ai misteri etimologici della “piccola scatola”.  Si annida tanto nella culla dei progetti che nella dimora uterina.  Françoise Dolto lo proclama con forza attraverso tutta la sua azione, i suoi discorsi, i suoi scritti, fino all’estremo stupore di quelle frasi che, una volta pronunciate, scolpiscono il destino:  La madre dice ‘Che ciò avvenga’ – e ciò avviene – ed era cosa giusta (Genesi, I) – salvo eccezioni.

 

Il bambino è in un primo momento una proiezione di un’immagine astratta, di una speranza ideale nutrita dalla famiglia - a volte il fantasma di una persona cara scomparsa, l’idolo di un antenato.  Successivamente, quando la sua carne si plasma realmente secondo i connotati genetici paterni e materni e i flussi psicosomatici della placenta (come se il bambino fosse l’impronta di coloro che lo portano alla luce), esso si va plasmando secondo le attese dei suoi genitori, ne realizza i sogni, rappresenta ciò che essi non possono dire o che osano appena sperare.  Tutto ciò si manifesta nei detti  e nei non detti,  nell’esitazione della scelta del nome, nei doni di cui viene circondato, nelle smorfiette che gli si fanno.  Ma prima di tutto attraverso il sangue che lo costruisce, il latte ch’egli succhia, le grida, i sussurri, le parole …

 

*

Nel cucciolo d’uomo, l’attitudine all’ascolto, così come la naturale disposizione ad esprimersi vocalmente, si sviluppano secondo lo schema che vado tratteggiando.

H.D. Wing (1968) ha potuto dimostrare che questo tipo di talenti che ha più o meno valore per un dato individuo a un momento preciso della sua evoluzione, permettono di definire un ‘Quoziente Musicale’ (Q.M.).  Analogamente a quanto avviene per il quoziente d’intelligenza (Q.I.), tale Q.M. si valuta attraverso il rapporto fra ”l’età musicale” e “l’età anagrafica”.  Il Q.M. è costante per un dato individuo (salvo addestramenti particolari, ovvero malattie e/o infortuni) e relativamente indipendente dal Q.I.

 

Oltre ad un fattore generale, si può ritrovare in tale competenza un fattore ‘melodico’ e un fattore ‘armonico’.. Altri studi evocano altresì la presenza di una componente ‘ritmica’.  Tale osservazione permetterebbe di confermare l’impressine comune secondo la quale vi sono taluni particolarmente ‘dotati’ musicalmente (es.: W.A. Mozart) ed altri notoriamente incapaci, senza possibilità di miglioramento.  Resta da esaminare l’aspetto di pregiudizio che ciò comporta.

 

I problemi di acquisizione del linguaggio presso alcuni bambini (per esempio autistici) sono attualmente oggetto di studio, al fine di capire qual’è la parte ereditaria e quale quella relativa all’ambiente rispetto a questo genere di disturbi.

 

Il capitolo che dedico al ‘test di ascolto’ potrà scalfire il concetto monolitico di riferimento rappresentato dall’individuazione di un Q.M. immutabile.  La pratica dell’audio-psico fonologia e delle terapie soniche in generale dimostra senza ombra di dubbio che l’udito può essere rieducato, con risultati a volte spettacolari.  Non dovremmo più ascoltare frasi del tipo “Non cantare, altrimenti farai piovere (nel senso di piangere n.d.t.)!”

 

Il Feto

 

A partire dal sesto mese di gravidanza, così come tutte le mamme del mondo hanno sempre sostenuto dai tempi più antichi, il feto percepisce alcuni suoni.  Numerosi ricercatori, a partire di  Forbes (1927), l’ hanno potuto dimostrare.  Se si registrano i suoi movimenti o i battiti del suo cuore, si osserva che il feto reagisce ad alcuni suoni esterni (secondo Tanaka, 1969, già dalla 26° settimana di gestazione).  Si osserva altresì che esso è in grado di abituarsi a un suono, nella misura in cui reagisce ad esso sempre meno, salvo a reagire di nuovo in modo assai vivace se la frequenza è diversa, più acuta o più grave: se ne deduce che il suo sistema nervoso è in grado di distinguere le frequenze.

 

 

 

Le tappe dello sviluppo musicale secondo Shuter-Dyson (1981)

 

Età

 

0-1

1-2

2-3

3-4

4-5

 

5-6

 

6-7

7-8

8-9

9-10

(in anni – criterio notevolmente minimalista)

 

Reagisce ai suoni.

Fa spontaneamente musica.

Comincia a ripetere piccoli brani di canzoncine.

Coglie il piano generale di una melodia.

E’ in grado di discriminare grossolanamente le altezze e di riprodurre ritmi semplici.

E’ in grado di confrontare le variazioni d’intensità, i ritmi e alcune semplici  realizzazioni tonali.

Si accresce il grado di intonazione del canto.

Va alla ricerca della consonanza e rifugge dalla dissonanza.

Migliora le realizzazioni ritmiche.

Percepisce la polifonia, acquisisce il senso della cadenza.

 

“Per far si ché un bambino gitano diventi musicista, si è stabilito che durante le ultime sei settimane prima della nascita e le  prime sei settimane di vita, ogni giorno, il miglior musicista di un determinato strumento vada a suonare per lui presso la madre incinta, mentre partorisce e durante l’allattamento”: e sembra che il bambino, più tardi, manifesterà il desiderio di suonare proprio quello strumento, eccellendovi (Dolto, 1985).  Nella clinica di Pithiviers, dove i genitori sono invitati a dialogare con il loro piccolo attraverso la parete uterina, i medici hanno constatato che dopo la nascita il bambino godeva di un miglior equilibrio corporeo, era in grado di assumere la posizione seduta molto più precocemente rispetto agli altri ed appariva meno angosciato.

 

In condizioni normali, il feto è esposto ad ogni sorta di rumori (Tomatis, 1063) a cominciare dal battito cardiaco, i gorgoglii intestinali e la voce della madre.  A questi, occorre aggiungere la miriade di suoni esterni provocati dall’attività materna (lo sbattere dei tacchi sul pavimento, il motore dell’auto, il procedere della metropolitana, i rumori legati all’attività domestica, professionale o di svago) ovvero di quelli prodotti attorno a lei (la voce del papà, dei colleghi di lavoro, delle persone con cui la madre entra in relazione, i rumori della casa e della strada, etc.).

 

Alcuni di questi rumori sono estremamente ripetitivi e rappresentano un specie di “paesaggio sonoro” al quale il piccolo si abitua ‘per necessità’ senza più reagirvi.  Il grado di questa ridondanza è molto variabile e si ripartisce pressappoco secondo l’ordine esposto … Cuore > respirazione > intestino > rumore di passi o del motore > rumori esterni monotoni > voce materna > voci dei familiari > altre voci o rumori inconsueti).  Dire che il feto non reagisce più è prendere atto del fatto che esso non li integra più come nuove informazioni.  Tali rumori divengono piuttosto il ‘sottofondo’ familiare necessario, elemento di sicurezza, strumento di riferimento rispetto al quale si differenziano le ‘forme’ che possono essere accettate come informazioni.

 

In questo contesto, la voce della madre occupa un posto privilegiato, centrale, spartiacque fra l’abitudine e la novità.  Essa rappresenta l’archetipo di ogni musica, che non saprebbe ridursi né alla ripetizione né all’imprevisto.

 

I suoni presenti dal concepimento, anche se violenti e aggressivi (p. es.: rumori di aereo nei pressi di un grande aeroporto), saranno meglio integrati e causeranno minori turbe psicologiche al neonato che se fossero intervenuti più tardi, nel corso della gravidanza determinando dopo la nascita, conseguenze temibili quali angosce e insonnia.  In ogni caso simili aggressioni, nella misura in cui colpiscono la madre, portano a ridurre la salute psichica del neonato che statisticamente presenta un peso minore alla nascita (Ando, 1970).

 

Una lunga polemica ha opposto Tomatis (1981) a Feijoo (in Herbinet, 1981) durante vari congressi e attraverso pubblicazioni.  Si trattava di sapere se, tra tutti i rumori che il feto percepisce, figura la voce della madre:  in caso affermativa, in che misura essa perviene all’utero? E chi la memorizzerebbe maggiormente: il feto o il prematuro?

 

Tomatis si meravigliava del fatto che le uova di uccelli canterini, covati da uccelli che normalmente non cantano, una volta dischiuse portano alla luce uccelli che non sanno cantare, e ne traeva la conclusione che anche l’essere umano deve trarre beneficio dalla voce della madre.  Se le uova di oca alle quali Konrad Lorenz parlava portavano alla luce ochette che lo consideravano come loro madre, come immaginare che i figli del buon Dio possano mostrarsi più selvatici e ignorare la voce di colei che li ha portati in grembo?  Tomatis ritiene che questa voce si ritrovi fisicamente modificata dal liquido amniotico che circonda il feto, il quale tuttavia è in grado di ascoltare la madre mentre parla, distinguendo la sua voce dagli altri rumori interni, per quanto forti.  Basandosi su delle manipolazioni acustiche e confortato dalla sua esperienza di terapeuta nell’utilizzare la voce materna filtrata a 8.000 hertz in passa-alti (al di sopra dei quali non si percepirebbero che gli acuti), egli afferma che il feto intesse uno scambio permanente con la voce della madre che tende ad ascoltare ben più dei suoni gravi legati al funzionamento degli organi (battito cardiaco, respiro polmonare, gorgoglii intestinali, etc.).

 

Feijo sosteneva che il feto era in grado di percepire solo i suoni gravi, da qui la possibilità di ascoltare la voce del padre e non quella della madre!

 

Quando la madre si distende, il feto (forse perché meno schiacciato dalla tensione muscolare del ventre materno) comincia a muoversi. 

“Spesso, quando ella va a riposarsi, facciamo ascoltare Pierino e il Lupo al suo bébé, Egli impara che questa musica preannuncia il rilassamento: è arrivato il momento in cui può muoversi più liberamente.  Dopo parecchie prove, al sopraggiungere della musica, il bébé non aspetta più che la madre sia fisicamente distesa per incominciare a muoversi”. Un simile condizionamento può perdurare anche parecchi mesi dopo la nascita.  Il bambino sottoposto all’esperimento appena descritto, reagì in maniera spettacolare quando, una volta nato, gli fu fatto ascoltare per la prima volta Pierino e il Lupo: “apre gli occhi, smette di piangere, cessa di agitarsi e inizia a muoversi dolcemente”.  Non riuscendo Feijo ad ottenere lo stesso risultato con frequenze superiori a 1.000 – 1.200 hertz, si conferma nella sua ipotesi.

 

In realtà il dilemma si è in parte risolto grazie a lavoro di M.-C. Busnel (in Herbinet, 1981) e Querleu (1981) che, grazie all’impianto di un micro idrofono dapprima in vagina e poi nell’utero della gestante, hanno potuto dimostrare che il bambino si trova in un ambiente ovattato. Tutti i suoni gli giungono filtrati in passa-bassi in modo che, fisicamente può captare tutti i rumori cui abbiamo elencato, ivi compreso la voce della madre (quest’ultima è particolarmente riscontrabile nelle registrazioni); ma è soprattutto la parte grave di questi suoni che viene inoltrata rimanendo attenuata la zona acuta oltre i 3.000 hertz.

Occorre comunque precisare che attenuare non significa sopprimere  e che ne rimane abbastanza  per captare anche gli acuti. Questi ultimi sono ancor più interessanti nella misura in cui arrivano male e raramente all’orecchio del piccolo.  Anche suoni particolarmente acuti (ben al di là dello spettro normalmente percepito dall’orecchio umano) come quelli dell’ecografia, sembrano influenzare il feto, come si può rilevare dal suo agitarsi durante detto esame.  Potrebbero addirittura avere delle concrete conseguenze sul suo futuro: secondo alcuni, la dislessia è più frequente in bambini che, allo stato fetale, sono stati sottoposti a numerosi esami ecografici, resta da valutare se il moltiplicarsi di questi accertamenti non sia dovuto ad una eccessiva apprensione di tecnici e genitori  (Massadié, 1987).

 

Questo dibattito non è privo di conseguenze.  In effetti, il metodo di Tomatis comporta una fase di ascolto della voce materna filtrata (in passo-allto a 8.000 hertz).  Questo filtraggio permette al paziente di riascoltare suoni percepiti già dal ventre della madre?  Non si tratta  piuttosto di quella parte della voce materna che egli ha scoperto alla nascita?  Il defiltraggio di questa voce, definito “parto sonico” è forse unico (Dolto, 1985), e ricco di effetti clinici evidenti.  Tuttavia i suoni filtrati da Tomatis non corrisponderebbero più, secondo questa ipotesi, a un’evocazione della vita intra-uterina, ma piuttosto di quella immediatamente post-natale.  Non desta meraviglia allora, constatare il ruolo dinamogeno di un simile ascolto e il fatto che esso possa a volte evocare alcuni dati biografici associati alla vita post-natale (Oriol in Herbinet, 1981).

 

Tomatis (1981, pag. 50 e successive) sviato da alcune forzature sperimentali che egli stesso spiega con chiarezza, partendo dalla sua notevole intuizione, era stato portato a questo risultato da un errore, potremmo dire ‘di segno“, nel senso che aveva utilizzato un filtro in passa-alto  invece che in passa-basso.  “Avevo fondato tutto il mio esperimento, diceva, su questo fatto.  Solo che era tutto sbagliato”. Servendosi allora di alcune argomentazioni embriologiche (che sembrano mostrare che la zona cocleare della base recettrice degli acuti potrebbe svilupparsi prima di quella dei gravi) e soprattutto del notevole successo del suo metodo di cura attraverso i suoni filtrati in passa-basso, Tomatis conclude audacemente che il filtraggio uterino in passa-basso è sovra-corretto da un filtraggio cocleare di senso inverso secondo lo schema qui appresso:

 

Sorgente sonora

 

Filtraggio uterino

Filtraggio cocleare

Ricezione

Banda larga

Passa-bassi

Acuti  amplificati

Passa-alti

 

 

 

 

 

 

Resta ancora da fare molto lavoro per determinare, per esempio, il ruolo del tappo gelatinoso che ostruisce l’orecchio del feto (Moch, 1985): ha esso forse la funzione di livellare l’ascolto aereo e quello osseo?  Da questo potrebbe derivare l’assenza di distinzione fra i suoni provenienti dall’interno del feto e quelli di origine esterna (ossia il corpo materno e i rumori del mondo esterno)?.  Tanto più che il semplice fatto di trovarsi immerso in un liquido potrebbe  ridurre il meccanismo uditivo alla sola conduzione ossea (Hollien, 1969).

 

Senza poter concludere in modo certo e definitivo questi dibattiti teorici, mi contenterei di esprimere qui un’opinione.  Il feto apprende innanzitutto ad orientarsi in un mondo a quattro dimensioni grazie al sistema vestibolare che gli permette di percepire lo spazio statico e i relativi punti di riferimento, orizzontale e verticale.  I canali semi circolari gli insegnano una dinamica in questo spazio, in particolare che è modificato più o meno brutalmente (in funzione degli spostamenti della madre) secondo tre assi di accelerazione.

 

Alcuni dei movimenti percepiti lo sono in funzione di un asse temporale segnato da ritmi abbastanza regolari: movimenti e rumori quali il  battito del cuore circa ogni secondo, il ritmo dei passi, il respiro ogni 5 secondi circa, i cicli peristaltici intestinali ogni 90 minuti, l’alternarsi di fasi di attività e di riposo nelle 24 ore, etc.

 

Sulla base di questo spazio – temporale, il feto si prepara a comunicare, assocerà movimenti inattesi e nuovi suoni, il canto del linguaggio materno e il bilanciamento respiratorio, le ambientazioni ritmo-melodiche, e le variazioni dello stato di coscienza (angoscia o benessere per il tramite di scambi chimici del sangue), etc.

 

La sicurezza di base si associa al ‘ritmico’, la qualità della novità (l’informazione) al ‘melodico’ e soprattutto alla voce materna nella zona delle medie frequenze.  Alcune escursioni nelle frequenze acute caratterizzano i fatti eccezionali.

 

Il paesaggio sonico si rivoluziona alla nascita.  Sebbene i ritmi siano acquisiti a livello interno, il neonato si trova “castrato” al livello esterno allorquando non beneficia di uno stretto contatto con la madre (allattamento, abbracci, carezze …).  La voce della madre permette di far riferimento alle sue componenti ritmiche caratterizzate dai toni bassi e il neonato vi si aggrappa ogni volta che può.  Egli scopre nelle specie armoniche di questa voce una nuova ricchezza che si svela all’improvviso nelle specie armoniche di questa voce, al tempo stesso eccitante e rassicurante.

 

Questa metamorfosi nella sicurezza gli permette d’integrare senza inconvenienti l’enorme afflusso dei nuovi suoni, con tutti gli accecanti nuovi acuti.  Ne consegue l’associazione, propria ad ogni essere vivente, dei suoni acuti alla luminosità e di quelli gravi all’oscurità.  E siccome la luce proviene, normalmente, dall’alto, l’associazione degli acuti con l’alto e dei gravi col basso.  Questo simbolismo dall’andamento ‘archetipo’, ossia proprio a tutti i mammiferi, non esiste in funzione di qualche misteriosa iscrizione genetica ovvero di origine ‘spirituale’, ma dipende molto semplicemente dal passaggio, alla nascita, da un ambiente liquido ad uno aereo.

 

Si tratta dello stesso principio che ritroveremo nell’acquisizione dei valori ‘simbolici’ della destra e della sinistra (v. cap. 6).  Questi significati dello spazio, del suono, dei fenomeni che esamineremo più tardi, nonché di tutta l’antropologia psico – fisiologica dello yoga tantrico, sono universali e conseguentemente profondamente radicati nella carne. Essi nulla debbono all’arbitrario del linguaggio, che piuttosto si fonda su di loro.  Essi si basano sulle fasi del passaggio che collega il simbolico, il reale e l’immaginario.

 

Le osservazioni di cui sopra spiegano in parte la seguente osservazione empirica: l’audiogramma sembra comportare, nella grande maggioranza dei casi, tre grandi blocchi di frequenze:

 

1.      Un blocco dei suoni gravi (da 30 a 800 hertz circa) che corrisponde all’insieme dei rumori organici di cui abbiamo parlato.  Questo blocco rappresenta il veicolo essenziale della parte ritmica udibile in un brano musicale.  Da tempo, per calmare i bambini è stato utilizzato il rumore del battito cardiaco (v. Murooka, 1976).  Alcuni suoni gravi e forti (250 hertz, 85 decibel) possono far smettere i pianti di un neonato allo stesso modo di un ciuccio zuccherato (Birns, 1966).  Io stesso ho potuto constatare, con l’aiuto degli allievi di Gerda Boysen (Y. Bralt e J. Besson) e una direttrice di asilo – nido  [2] , che i rumori intestinali hanno un impatto particolare sui bambini piccoli.    Potrebbe darsi che questo impatto sia in funzione sia delle caratteristiche individuali di ogni bébé che dello stato più o meno stressato o armonioso del funzionamento intestinale considerato: un gorgoglio intestinale simile a quello di un fiume sembrerebbe rassicurante, mentre i boati e i ruggiti si rivelano angoscianti).

L’iniziativa materna permette al feto di essere cullato secondo delle modalità estremamente caratteristiche dello psichismo materno (Dingelman, 1971 e Auriol, 1987°); al tempo stesso il feto percepisce, e assai bene, il rumore dei passi sul pavimento, il ritmo respiratorio e cardiaco, insomma tutta un’orchestra in cui dominano gli strumenti a percussione.  Così, per la prima volta, è iniziato alla danza…;

 

2.      Un blocco dei toni medi (da 800  a 3.000 hertz circa) corrispondente a ciò che il feto può percepire dalla voce materna e costituirà più tardi il fondamento della zona frequenziale del linguaggio parlato.  Questo blocco sarà più tardi il veicolo privilegiato della parte melodica riconosciuta dall’ascolto musicale.

 

3.      un blocco dei toni acuti (3.000 hertz e oltre), scoperto al momento della nascita, che conserverà la funzione di segnale d’allarme in caso di pericolo, di socialità, di sublimazione, etc.  Questo blocco contiene in sé l’essenziale di ciò che l’ascolto musicale definisce armonia e permetterà di distinguere differenti timbri sonori.

 

Tutto ciò può avere delle conseguenze pratiche?  La signora Moch (1985) insiste giustamente sulle conseguenze disastrose che potrebbero derivare da un cattivo uso dei suoni sul feto: un eccesso di rumori che lo stressa, fino alla sordità, con rischio di aborto ovvero di malformazioni; un eccesso di silenzio che lo priva dell’allenamento indispensabile come è stato dimostrato negli animali; difficoltà di ascolto e d’integrazione dei suoni; incapacità di riconoscere strutture sonore complesse (Granire-Deferre in Herbinet, 1981).  Le aggressioni sonore sarebbero molto più nocive durante il sesto e settimo mese di gravidanza.

 

Mosser (1990) ha ottenuto in bambini prematuri, una riduzione della frequenza cardiaca, un respiro più regolare, un arresto del pianto (9 volte su 10) e un calo dell’agitazione con tendenza all’addormentamento sottoponendoli all’ascolto di melodie gregoriane, (interpretati da Reznikoff), di canti tradizionali presi da tutte le culture e ha ottenuto analoghi risultati, anche se in misura inferiore, sottoponendo i piccoli all’ascolto del rumore delle onde ovvero al canto di una ninna nanna.  La musica di Mozart è stata esclusa dallo studio in ragione dell’ampiezza della sua dinamica che produceva sporadicamente stimoli eccessivi.   Il battito cardiaco registrato ha un ben noto effetto calmante; tuttavia un suo utilizzo iterativo, al contrario degli stimoli musicali, vede ridotta la loro efficacia.   Sembrerebbe che un fenomeno analogo si verifica all’ascolto di rumori intestinali registrati.

 

SI debbono a Françoise Dolto (1982, p. 120, per es.) numerose testimonianze sul fatto che le parole materne pronunciate durante la gravidanza o subito dopo la nascita potrebbero produrre dei disturbi, a volte assai gravi, al frutto del concepimento, anche molto dopo nella vita.  In certi casi l’assenza di chiarezza ovvero un eccesso di ambiguità sarebbero responsabili di tali disturbi.  I suoi interventi che le hanno valso tanto successo, a volte miracoloso (che mi hanno portato a parlare di  “effetto Dolto-magico”) sembrano surrealisti.  Come si può dare un’interpretazione “psicoanalitica” a un neonato che vagisce, quale impatto hanno le parole dette a un feto al coperto da ogni comprensione verbale?

 

L’ipotesi più attendibile sarebbe immaginare che quella o quell’altra frase pronunciata in un contesto particolare (un cambio di tono o di velocità della voce, mutazioni chimiche, ormonali, una qualche modifica dei ritmi o della postura, etc.) venga classificata e immagazzinata così com’è nella memoria per riaffiorare dall’ inconscio in seguito all’apprendimento del linguaggio, acquisendo in quella occasione,  una valenza patogena.  Questa spiegazione mi sembra tuttavia da respingere perché gli effetti della parola o del silenzio cui ci riferiamo, possono manifestarsi anche prima dell’ acquisizione delle competenze linguistiche.

Sotto il termine “comunicazione da inconscio a inconscio”si descrivono certe sorprendenti trasmissioni di informazioni che si manifestano in psicanalisi in assenza di parole.  Molti non credono che si tratti di “telepatia”, nel senso parapsicologico del termine, ma è sempre più difficile escluderlo (Combourieu, 1985; Auriol, 1987d).  Forse un fenomeno di questo tipo s’instaura fra il feto e sua madre di cui i detti e i non detti potrebbero riflettere ciò che essa accetta o meno di ammettere a sé stessa, e ciò che accetta o no di trasmettere al feto per via extrasensoriale, messaggi in seguito simbolizzati o al contrario accuratamente esclusi da qualsiasi parola e controllo. Resta una questione aperta…

 

Si tratta più verosimilmente di un’azione che riguarda la madre e l’ambiente del bébé in generale.  L’atteggiamento di quest’ultimo può evolvere sottilmente ma potentemente, se alcuni elementi della relazione vengono esplicitati piuttosto che mascherati. Le terapie familiari ci hanno suggerito una tale supposizione.

 

 

Il Bambino

 

Fin dal primo giorno il bambino è capace di dirigere lo sguardo, a volte di girare addirittura la testa verso alcuni suoni (per esempio un campanellino).  A seconda di ciò che gli viene fatto sentire, egli muove la testa più o meno lentamente; se dorme, un rumore violento può svegliarlo. L’esistenza di queste reazioni ha permesso di allargane notevolmente le competenze uditive del neonato (Eisenberg, 1976).  Questi atteggiamenti non debbono tuttavia trarre in inganno sul funzionamento effettivo.  Il neonato percepisce essenzialmente a livello sub – corticale e risponde alla stregua di un riflesso (meccanicamente), senza padroneggiare i suoi stessi atteggiamenti, di cui non ha ancora piena coscienza e di cui si serve in modo assai primitivo.

 

Nell’ambito di tali limite è tuttavia stupefacente constatare che non solo egli può ascoltare, ma anche discernere alcune modalità del suono (in particolare frequenza e volume).  Egli percepisce l’intonazione, la melodia e il ritmo della voce umana (Bertoncini, 1982).  Si è potuto dimostrare che preferisce la voce della madre a tutte le altre, seguita da altre voci femminili, dalla voce del padre e, in ultimo, da altre voci maschili (Decasper, 1980).  E’ in grado di distinguere una lingua straniera dalla lingua materna, anche se a parlare è la stessa persona (Zackland, 1986).  Gradisce maggiormente una storiella già raccontata dalla madre durante la gestazione a qualsiasi altra che gli venisse raccontata per la prima volta dalla sua venuta alla luce (Busnel, 1963).

 

Il bébé si mostra perfettamente in grado si distinguere fra “ba” e “pa”, fra “ba” e “ma”, “fra “pa” e “ta”, etc.  Se appena lo si allena, riesce a distinguere i fonemi di una lingua diversa dalla materna, malgrado eventuali notevoli differenze.  Progressivamente, affina tale facoltà e si mette a selezionare le distinzioni fonetiche presenti nella sua lingua “materna”.

 

Già dalla nascita (e forse prima), secondo uno studio di Condon e Sander (1974) i movimenti del bébé possono ritmarsi sulla voce materna, indipendente dalla lingua utilizzata in quel momento.  Questo fenomeno potrebbe perpetuarsi per la vita, come sottolinea l’espressione “mi son fatto cullare dalla sua voce”.  L’acquisizione di questa “mimica verbale” (Jousse, 1969), potrebbe precedere la nascita nella misura in cui i movimenti del corpo della madre si sincronizzano con la sua voce.  Il bambino riceve questa voce, in particolare i toni più bassi (gravi) e si trova “cullato dai movimenti della madre, registrati dal suo labirinto … A partire dall’ottavo giorno, la voce umana suscita il sorriso più facilmente di qualsiasi altro suono (Wolff, 1963).

 

I vagiti, le grida, dipendono dalla situazione e inviano alle persone intorno (in particolare alla madre) un messaggio di malessere ovvero di richiesta di qualcosa (fame, dolore, eccesso di stimoli, isolamento … etc.).   Esistono tre tipi di grida:

 

  1. Normofonazione : la cui frequenza centrale si situa fra 200 e 600 hertz, d’intensità regolare, accompagnata da frequenze più gravi e più acute di minore intensità.  Dura circa mezzo secondo ed è seguita da una brusca inspirazione con fischio.  (Richiamo banale: per esempio quando ha fame o è bagnato – e desidera essere pulito;  manifestazioni di gioia).
  2. Disfonazione : grido rauco di aspetto rude, prodotto impartendo più forza all’aria espulsa attraverso le corde vocali.  Le turbolenze prodotte si traducono in distorsione delle bande di frequenza abituale (Richiesta urgente, per esempio, in caso di dolore, che permette all’ascoltatore di percepire un segnale di rabbia o di collera).
  3. Iperfonazione :grido il cui timbro si modifica bruscamente, dai toni molto acuti, corrispondenti ad una situazione di maggior disagio (dolore importante, frustrazione).  Lo si può paragonare al grido di allarme dello scimpanzé.  Comporta fino a otto armoniche, con l’energia che si concentra su frequenze elevate, da 6 a 8 K hertz (Goustard, 1982).

 

Questa tipologia lascia spazio a numerose situazioni intermedie, ovvero variazioni, sia presso lo stesso individuo che fra neonati diversi.  Così, i bambini nati sottopeso, prematuri o no (a seguito di sofferenza intra-uterina ?) sono coloro che presentano uno stato fisiologico di fragilità (bambini “a rischio”) e più in generale, tutti i bambini considerati dalle loro madri “bambini difficili” (Zeskin e Lester, 1978), si esprimono facendo maggior ricorso a richieste di soccorso, tendono a gridare di più, e in modo più acuto.  Le loro grida, più frequenti, durano più a lungo e si avvicinano all’iperfonazione quanto più è grave la situazione nella quale s’imbattono.

 

Le madri sono spesso capaci di riconoscere i loro bambini dal modo di gridare e possono anche svegliarsi solo ‘per lui’, restando tranquillamente a dormire se a gridare è un altro (Formby, 1967).

 

Bastano non più di due o tre giorni perché una madre impari a riconoscere il pianto e le grida del suo bébé (Cismaresco, 1986).  A tre settimane esse sanno riconoscere il ‘falso pianto’, destinato semplicemente ad attirare l’attenzione.  Si tratta di gemiti prolungati ai quali la mamma non dà sempre risposta, in attesa che cessino da soli o si trasformino in “vero pianto”.

 

Bell e Ainsworth (1972) hanno dimostrato che le caratteristiche individuali del pianto possono modificarsi, e di molto, durante il primo anno di vita in funzione dell’atteggiamento materno: più la mamma reagisce rapidamente e meno ‘lascia piangere’, più diminuisce la frequenza e la durata delle grida e delle lacrima.  Di converso, quanto più il bambino continua a gridare e piangere, minori saranno le sue successive capacità di comunicazione, sia verbali che gestuali.  Più la mamma è in grado di prendersi cura di lui, il bambino, da una parte grida di meno, e , dall’altra, è in grado di diversificare le sue forme di comunicazione così che non ha più bisogno di chi si ‘occupi di lui’ fin dalla fine del primo anno di vita.  Lebovici (1983) insiste con ragione sull’idea che la rapida risposta della mamma al suo bebé non rappresenta tuttavia una ’ricetta’ in sé: indipendentemente dalla pura reattività materiale, gli effetti sono tanto più favorevoli quanto migliore è il rapporto globale delle relazioni madre – figlio e l’ambiente che li circonda.

 

Le anomalie del grido, troppo acuto, troppo forte, etc., potrebbero essere alla base di una disarmonia fra la madre e il bambino.  Ella rischia di disinvestire il bambino, di rispondere in modo inadatto ai suoi bisogni.  Il che può accresce ancora le sue grida innescando un circolo vizioso. Se la situazione non evolve nel modo giusto, si rende necessaria una terapia madre – figlio, insieme o separatamente. In alcuni casi in effetti, i sentimenti positivi e negativi potrebbero arrivare agli estremi nei due sensi.

 

Ci si è voluto servire di diverse musiche, della voce materna o paterna, del battito cardiaco (dei borborigmi intestinali), etc. per calmare il pianto del neonato o del lattante.  Tutti questi esperimenti hanno avuto un buon esito.  Sembrerebbe infatti, che non è particolarmente importante il tipo di suono, purché non troppo intenso, per ottenere un effetto calmante sulle grida del bébé: esse costituiscono un richiamo nei confronti del quale un suono moderato risulta rassicurante (Bench, 1969).  I suoni gravi (che ricordano l’esperienza uterina ?) avrebbero un effetto maggiormente distensivo di quelli acuti.

 

A circa un mese di vita

 

Il bébé smette di piangere quando gli si parla e cerca di reagire con suoni gutturali del tipo “lé – lé” o “la – la” o “a – a” (lallazioni).  Come abbiamo già sottolineato, il bambino distingue taluni fonemi peraltro assai simili quali “p” e “b”.  Per scoprirli, Eimas (1971) fa corrispondere ai movimenti di suzione di un bimbo di trenta giorni il suono “ba-ba-ba” : il bimbo mostra il suo interesse succhiando vigorosamente, poi si abitua e l’intensità di suzione diminuisce.  In un secondo tempo Eimas rimpiazza il “ba” con “pa”: il bimbo mostra di aver individualizzato il cambiamento, riprendendo a succhiare intensamente.

 

Dopo il secondo mese: il balbettio

 

Il bimbo s’immobilizza  gira la testa quando gli si parla.  Emette vocalizzi differenziati (vocali orali soprattutto anteriori: “ah”, “eh”, “oh”), isolati e occasionali, spesso gutturali, e gridolini brevi  e chiari di piacere.  Tra le consonanti ( a volte difficili da trascrivere foneticamente): “p”, “b”, “t/d”, “rr” (Campos, 1988).  Anche nel loro aspetto più primitivo, queste lallazioni non sono sprovviste di strutture né si formano per caso.  Al contrario, sono sforzi che assicureranno la base delle prestazioni sonore successive, per quanto sofisticate  [3] .

 

A tre mesi: sorrisi e cinguettii.

 

E’ lo stadio  [4] dei “cinguettìi” di Pichon  [5] .  La vista del volto umano provoca il sorriso del bambino (Spitz, 1986).  Egli non si limita più a gridare, ma attira la nostra attenzione per comunicare le sue necessità (Buehler, 1934; Lacan, 1975a).  Si mette a giocare anche quando è solo, con prolungati vocalizzi (con gli stessi suoni di quando aveva due mesi, che ora è in grado di gestire sempre meglio)  [6] .  Tenta di vocalizzare “are – are”, “ague – ague”, o “agre – agre”.  Parla in “lingue” che predispongono anche a consonanze straniere.  Queste “tappe fonologiche” (Bruner, 1976) predispongono alle future opposizioni semantiche.  Questa impronta melodica  [7] inscritta nel processo di articolazione fungerà da supporto per il successivo apprendimento delle lingue.  Si tratta, certo, di primordi che segnano l’ineffabile continuità del reale che si sforza di cancellare il nostro impegno di chiarezza concettuale!

 

Tra i tre e i sei mesi, il bébé comincia a rispondere in modo attivo alla musica, anziché subirla passivamente.  Si gira nella direzione del violino o … del tam tam.  Il suo piacere è evidente.  Si stupisce.  Inventa il ballo, eseguendo dei movimenti accompagnatori assai ben ritmati.  Si mostra addirittura capace di distinguere fra due melodie (cromaticamente differenti), senza tuttavia essere ancora in grado di distinguere una trasposizione di ottava per la stessa melodia.

 

Durante questo periodo (a circa quattro mesi) gira la testa nella direzione di colui che lo chiama.  Si anima all’ascolto della voce di sua madre ed è in grado di ridere sonoramente, rispondendo alla modulazione delle parole che gli vengono rivolte.

 

E’ in questo periodo che la madre inizia a “nominare” il suo piccolo, ad indirizzarsi a lui con il nome proprio invece di limitarsi ad apostrofarlo con dolci parole del tipo “cerbiattino mio” (Robin, 1985).  Ella comincia a sillabare, poi si arresta, ricomincia, e di nuovo e ancora:  come in un discorso fatto di frasi.  Queste “frasi” si compongono di fonemi che appartengono alla sua lingua, ma non rappresentano necessariamente delle parole.  Ella allunga le vocali, accentua gli acuti, rallenta il passaggio della voce da un timbro all’altro (da cui un carattere di cantilena).

 

Ci si accorge che ella ripete più volte lo stesso insieme di suoni e con la stessa durata.  Ciò contribuisce potentemente all’apprendimento dei fonemi e della melodia della parola (intonazioni), che l’ambiente sociale riconosce come espressioni di gioia, sorpresa, minaccia, etc.  S’instaura un dialogo canoro, di domande e risposte, di unione, di piacere condiviso (Stern, 1975, 1981).  La madre già domanda al bambino “ma che cosa racconti?”, prevedendo che si avvia verso l’universo del racconto, della favola, del modo immaginario ...

 

A cinque mesi: la prima canzoncina

 

Lacan ci ha fornito lo stadio dello specchio.  Il bébé, dopo aver identificato la madre per mezzo di un insieme di modalità, fra le quali quella visiva, s’identifica con essa in un’unità di persone ed con l’ immagine (“icona”: Peirce, 1885) che ella ha di lui (progetti, rimpianti, entusiasmi, inconvenienti, tratti fantomatici ed idolatri, etc.)   Lézine (1977) ha insistito sull’importanza del “parlare bébé” per iniziare il lattante al linguaggio, e ancorare, per così dire, i fonemi nel suo corpo (Ebtiger, 1984).  Incarnazione propedeutica all’operazione spirituale prodotta successivamente dall’avvenimento simbolico.

 

Il bimbo emette gridi di gioia (acuti), ride e vocalizza mentre maneggia i suoi giocattoli.  Questa vocalizzazione sembra di tipo premusicale piuttosto che prelinguistica: suoni di altezza variabile che modulano una sola vocale o comunque poche sillabe (“ba”, “gue”, “ké”).  Prima di imparare, egli si esercita:  i suoi canti non hanno nulla a che vedere con i transistor e i CD .. . dell’ambiente,  impostati come sono, al di fuori di ogni sistema diatonico, ritmicamente amorfi (le pause intervengono in funzione delle necessità respiratorie).

 

Questo esercizio ludico di canto spontaneo proseguirà, si perfezionerà, e si socializzerà lungo tutto l’arco del primo anno di vita.  Nello stesso periodo, il bébé riconosce i cambiamenti del contorno melodico, della zona di frequenze, della struttura ritmica.  Dowling (1982) ha dimostrato che l’adulto non procede in modo diverso quando si trova confrontato a produzioni atoniche o melodie lontane dalla propria cultura.

 

 

A sei mesi: Il bambino si scatena  [8]

 

In risposta alle o in preparazione delle accresciute e sempre nuove capacità del bébé, la madre impiega strategie atte a favorirle.  Alza il volume della voce, soprattutto alla fine di ogni frase, parla canticchiando, acquisisce un tono a volte confidenziale, sussurrando i primi segreti, a volte solenne, enunciando con fasto e lentamente qualche prima verità.  Ella impiega parole opportunamente scelte (per la loro semplicità), espressioni brevi, con poche varianti, ripetute più volte (Rondal,1983; Lhuillier, 1988).

 

Fino a quel momento, a partire dal concepimento gli scambi d’informazioni non meritavano il termine di dialogo in senso proprio. A questo proto-dialogo si sostituisce a poco a poco un autentico scambio in cui il bambino inizia a recitare il suo ruolo prendendo iniziative.  S’instaura un’alternanza dei ruoli: la frammentazione del mondo come trasmessogli dal focolare domestico attraverso tutti i gesti -  e prima delle parole - della madre e di tutti coloro che l’aiutano, diventa un bene condiviso che permette al bébé di rilevare le relazioni fra gli avvenimenti, le cose, le persone.

 

Si è parlato di uno “scatenamento psico – motorio” proprio di questa età.  Il bébé si siede, si rigira, si arrampica, afferra gli oggetti.  Crea alcune sonorità con improvvisati strumenti musicali: per esempio colpisce o struscia il tavolo con un cucchiaio.  “Gargarizza” con la sua voce (pre - linguaggio), arrotolando i suoni (modulazioni con cambio di tono, riproduzione in serie di “rrr”, “gurgur” … etc.).  Si esercita sulle labiali (“ppp”, “bbb”) producendo saliva.  Può imitare l’altezza, farla variare, verificare i cambiamenti del contorno melodico.

 

A queste prime libertà si oppongono i primi divieti: “lascia stare quest’oggetto !”, “non toccare qua !”, e i primi riferimenti a una responsabilità volontaria (“cosa vorresti ?”).  In questa fase si scopre quella che Halliday (1976) ha definito “funzione strumentale”: “io voglio !” (per descrivere l’interazione con gli adulti.

 

 

A sette mesi: attenzione, morde!

 

Il bebé vocalizza ormai numerose sillabe ben definite (combinazioni di labiali e vocali, dentali  [9] con vocali, sillabe nette: “ba”, “da”, “ta”, “pa”).  Appaiono anche “l”, “y”, “s”, “v” e dei dittonghi (sia, lia, boi) … In effetti, tutte le consonanti sconosciute nella lingua materna fanno ormai parte del gioco (Rondal, 1979).  Solo in seguito, come per i neuroni e le sinapsi, si realizzeranno le selezioni definitive, fonte più tardi delle nostre difficoltà nell’apprendimento delle lingue straniere. 

 

 

A otto mesi  [10] : “cucù”!

 

Il bébé effettua i primi tentativi di separarsi dalla mamma (gattonando) senza perderne il contatto (attraverso lo sguardo o i rumori).  Getta via un oggetto, e poi lo rivuole (Freud: gioco “della bobina”), sforzandosi di gestire, sul piano emotivo, il grado di vicinanza con l’”oggetto materno”.

 

Partecipa al gioco del ‘nascondino’ (“cucù, settè!”) apparendo e nascondendosi di nuovo allorquando viene chiamato, con un’eccitazione gioiosa.  Di converso, manifesta timore alla vista di un volto estraneo (Spitz, 1968).  Il timore o il vissuto di abbandono più o meno reale (malattia o viaggio di un parente) possono provocare crisi frequenti, una tristezza di cui quelli che lo circondano non sempre colgono il senso.  E’ qui che va ricercata quella che Le Senne (1934) ha definito “dialettica di separazione”, che consiste nel considerare assoluti gli ostacoli che ci separano da un altro (compreso Dio e il mondo).

 

Accede al vissuto della Presenza e dell’Assenza (Lacan, 1953 – 1975, pag. 53) e da qui si dimostra che si è formata una rappresentazione stabile di loro definibile come persona (Lavelle, 1951).  Da questo Jean Piaget ha dimostrato che in questo periodo il bambino impara ad ammettere la “permanenza degli oggetti”, anche se sfuggono alla sua percezione.  La formazione di immagini stabili, la messa in relazione della presenza e dell’assenza, gli permettono di comporre luoghi e tempi, a partire dai quali possono iniziare le domande.  E la sfumatura interrogativa di penetrare l’intonazione (Lhuillier, 1988).  Si assiste così alla maturazione della funzione regolatrice (“Fa ciò che ti dico … “), dell’intenzione significativa (Halliday, 1975).  La mamma vi aggiunge del suo e al ritorno dall’asilo gli domanda: “Racconta alla mamma cosa hai fatto oggi”.

 

Comincia a produrre dei suoni colpendo due oggetti l’un contro l’altro in modi differenti per godere del risultato ottenuto e per trarne motivo di orgoglio: è l’inizio della musica strumentale!  Elimina progressivamente alcune opzioni di vocalizzazione abbandonando quelle che gli sembrano di nessun valore per chi lo circonda. I formanti divengono più gravi e si organizzano (Pfauwadel, 1981).

 



A nove mesi  [11] : ecco la lallazione!

 

Il balbettio si chiama adesso “lallazione”  [12] : comporta dei creaks che evocano lo sfrigolio sul filo del telefono .  Lo “squealing”(che sapranno ritrovare gli adulti di Roy Hart ) è un discorso in falsetto (12.000 hertz, che è assai elevato per un suono fondamentale), emesso senza gridare e persino sottovoce.  Egli canta anche delle melodie assai varie: discendenti, piatte, a ping-pong, ondulanti, complesse, etc. 

 

Il proto linguaggio è utilizzato più raramente e si lascia sorprendere da qualche discordanza rispetto al precedente. Musicalità ridotta, maggior stabilità acustica, semplificazione metodica.  Va somigliando sempre più ad un discorso!  Si direbbe che racconti qualcosa!  Mostra la sua capacità d’imitare modelli sonori nuovi e di superare il suo “repertorio” personale imitando i fonemi che ascolta (ecolalia).

 

Il bébé si diverte allora a produrre suoni onomatopeici, imita la melodia del linguaggio degli adulti, è in grado di pronunciare una parola di due sillabe (“papa”, “mamma”, o altro) di senso compiuto e reagisce ad alcune espressioni familiari.  In breve, si mette a capire “all’ingrosso” quel che gli si dice.

 

Durante questo periodo, (che può andare da 6 a 18 mesi), accade che s’instauri una curiosa sindrome: lo ”spasmo del singhiozzare”.  Nella “forma blu”, il bébé grida e singhiozza in seguito a una sgridata o a causa di una frustrazione, poi si mette respirare molto forte, fino a bloccarsi con i polmoni pieni: diventa allora cianotico e perde conoscenza.   Nella “forma pallida”, in seguito ad un’intensa emozione, grida, impallidisce e cade.  Si osservano a volte delle contratture (opistotoni), delle scosse muscolari, un irrigidimento dello sguardo.  Questi fenomeni non sono in sé gravi, e tendono a scomparire verso i tre ani.

 

 

Dopo i 10 mesi: al trotto, il chiacchierio !

 

Il bambino capisce cos’è un divieto, può interrompere un’azione se gli viene dato un ordine, può dare il suo assenso diventa capace di “sviare” di “prendere le distanze” (entro certi limiti!).  Classifica le cose, le ordina: origine più o meno “nominalista” del suo apprendimento verso l’astrazione.  Sprigiona una specie di logica concreta che istaura relazioni materiali:  trascinare e spingere oggetti (età “traslocatrice” di Gesell), strappare, rompere, smontare per vedere “cosa c’è dentro”.

 

Mostra gran piacere nell’imitare, scimmiottando analogie elementari. 

 

Hubert Montagner e la sua squadra hanno dimostrato (nel bambino da 1 a 5 anni) alcuni correlati tipici della comunicazione, essi usano volentieri delle mimiche e dei suoni che non appartengono alla lingua.  Amicizia (testa inclinata di lato, sorrisi, vocalizzi, dondolii della parte alta del corpo), minaccia (vocalizzi acuti, bocca spalancata), aggressione (impennate, colpi, etc.).  In poche parole fa l’ingresso nel collettivo, nel sociale elementare, accede alla “funzione interattiva” di Halliday (1975).

 

Il bambino si mette a ‘fare musica’, inventa canzoncine elementari in modo tale che si assiste ad un vero e proprio decollo verbale.  Egli manifesta un vivo interesse per le parole e ne va a caccia: di là partono i giochi sillabici, le ripetizioni simili a litanie.  Questi giochi con le parole condurranno ai giochi di parole coscienti e non degli adulti.  Scherzetti, assonanze, ritmi, allitterazioni, doppi sensi, lapsus, etc.  Ma ogni parola assume molti altri significati di quanti non dovrebbe: ciascuna di esse è un contenitore, per esempio “bébé” potrebbe significare di volta in volta bimbo, gelato o disegni.

 

Così (fra i 12 e 18 mesi) una parola può sintetizzare una frase (“cacca” !, per dire “me la sono appena fatta addosso” !).  Si tratta in ogni caso di un linguaggio a finalità sociale, di affermazione di sé stesso, prima come semplice imitazione dell’adulto, poi sempre più personalizzato mentre il vocabolario si arricchisce rapidamente.  E’ ciò che corrisponde alla “funzione personale” di Halliday (1975): per lui il bambino vuole esprimere la sua presenza “Eccomi ! Io agisco … mi esprimo”.

 

 

Verso i 16 mesi: come Virgilio

 

I contrasti d’intonazione (susseguirsi di salite e cadute di tono) e di durata (sillabe lunghe e brevi, così importanti in certe lingue – pensate a Virgilio !) sono perfettamente integrati.  In questo modo si esprime una gran varietà di sentimenti: gioia, tristezza, delusione, malcontento, etc.

 

La nasalizzazione delle vocali (che potrebbe avere un legame con un’espressione di colpevolezza) è padroneggiata.  L’intenzione espressiva integra una funzione immaginativa: “facciamo finta che … ” (Halliday, 1975; Campos, 1988).

 

 

Dopo i 18 mesi: il negretto (pigeon English)

 

Diventano possibili alcune vedute d’insieme: a livello dell’azione, per esempio, il bambino, dopo essere passato per prove ed errori, smette improvvisamente le sue esitazioni e risolve immediatamente il problema.  Sul piano del linguaggio lo stesso fenomeno di globalizzazione permette l’inizio della frase o della pseudo – frase.  Prima due, poi tre parole sono utilizzate senza preoccupazioni di tipo grammaticale (“bébé nanna bua” per “ho sbattuto al tetto e mi fa male”): parla come un negretto (pigeon English).  Sul piano funzionale, egli manifesta l’intenzione di fornire informazioni (Halliday, 1975): “Ho qualcosa da dirti”).

 

La mamma e gli educatori continuano a esprimersi “dialogando” con il bambino.  Nicolay (1986) ha dimostrato che le produzioni verbali che suscitano le migliori risposte comportano circa cinque parole e durano circa un secondo.  Delle pause di silenzio, di riposo debbono interrompere questi stimoli, altrimenti il bambino si stanca.

 

È  durante questo periodo, nel campo delle relazioni, fino a 20 mesi, che si osserva più spesso il comportamento di “offerta” per addolcire un aggressore o allacciare un rapporto (Montagner, 1978).

 

La musica è anch’essa globalizzata: il bambino moltiplica i movimenti che si coordinano al ritmo della musica e può perfino provare a “ballare” con qualcuno.  Fino a 19 mesi, i suoi canti sono costituiti da slittamenti piuttosto che da una successione di note. In seguito impara a differenziarle utilizzando gli intervalli più comuni presso gli adulti, indipendentemente dalle culture.  Seconda maggiore, terza minore, ottava.

 

Lo sviluppo delle intenzioni significative (Halliday, 1975)

 

6 mesi

Funzione strumentale :

“Io voglio”

Questo

8 mesi

Funzione regolatrice :

“Fa’ ciò che ti dico”

Tu

10 mesi

Funzione d’interazione :

“Sì ! …” ; tu ed io

Noi

12 mesi

Funzione personale :

“Eccomi … io faccio …”

Mi

14 mesi

Funzione euristica :

“Dimmi perché …”

Cosa

16 mesi

Funzione immaginativa :

“Facciamo finta che …”

Se

18 mesi

Funzione informativa :

“Ho qualcosa da dirti … “

E’

 

Da venti a ventisei mesi: “cota è quetto”? (cos’è questo)”

 

Compare il giudizio: “Questo è la tal cosa”.  Impara a utilizzare i pronomi (tu, egli), ma designa sé stesso come si trattasse di un’altra persona (“non io ma egli”).  Vuole ‘etichettare’ ogni cosa. Per conoscere il nome degli oggetto, li designa con aria interrogativa, domandando “cota è quetto ?”  E quando riceve risposta, ne ripete il nome, come una eco.  Poi, senza stancarsi, ripropone ad un altro interlocutore la stessa domanda per … verificare la nuova parole, ascoltarla ancora una volta, socializzare, universalizzare, simbolizzare.  La spinta inconscia che lo porta a tutto ciò è legata fondamentalmente alla scoperta della differenza dei sessi (Freud) e al bisogno di orientarsi nel mondo,  identificarvisi, relazionarvisi (Campos, 1988).  Le parole si riferiscono ancora ad azioni possibili piuttosto che all’oggetto (Piaget): rappresentano dei modelli piuttosto che dei concetti.  Acquisisce anche nozioni sintattiche (componendo frasi di più parole comprensive di sostantivi e verbi), integra le analogie complesse.

Diventa capace di riprodurre brani di canzoncine ascoltate e le integra nei suoi giochi.  SI lascia sedurre per questa o quella frase che canta e ricanta all’infinito.  Riproduce diverse frequenze ben distinte e conserva un contorno melodico ed una struttura ritmica costanti. Queste prove lo allenano ad un’accresciuta padronanza della voce che, a forza di prove, acquisisce complessità. Questi processi si sviluppano in modo parallelo e analogo a quelli che regnano nelle acquisizioni sintattiche e nei progressi biologici in generale (accumulo, massa critica, salto qualitativo – utilizzo questa generalizzazione inspirandomi a Desprels – Fraysse, 1987).

 

 

Oltre i ventisei mesi: parlare e saper negare

 

Questa tappa, ben conosciuta dei genitori come ‘l’età del NO’, è quella in cui il bambino manifesta il suo carattere, la sua individualità.  Impiega i pronomi “io”, “me”, “mi”, in un primo momento a fronte di grandi emozioni, poi in ogni circostanza.

 

Al livello del canto, si osserva l’utilizzo degli intervalli di seconda minore, di terza maggiore, poi di quarta e di quinta, e in misura generale di quelli propri della cultura di appartenenza.   Verso i 28 mesi l’organizzazione ritmica è totalmente acquisita e le parole sono cantate col ritmo giusto.

 

Segni di sordità presso il bambino piccolo (Dussert, 1987)

 

Da 0 a 3 mesi :

Assenza di reazioni ai rumori improvvisi, sonno troppo tranquillo con reazioni evidenti al tatto

 

Da 3 a 12 mesi :

I suoni emessi non sono melodici

Assenza di suoni articolati

Comunica a gesti (mostra gli oggetti)

 

Oltre i 12 mesi .

Assenza di parole articolate

Emissioni vocali incontrollate

Non rileva nulla di ciò che si può ascoltare ma non vedere

 

Oltre i tre anni: perché ?

 

Ecco i lancinanti “perché ?”. “Chi ha fatto questo (azione, oggetto, …) ?”.  Le domande s’indirizzano alle proprie radici, all’origine della vita.  Secondo Halliday (1975), le premesse di questa “funzione euristica” potrebbero abbozzarsi molto prima, già attorno ai 14 mesi, anche in assenza di parole più appropriate per esprimerla.

 

Accanto all’interrogativo, si realizza l’esclamativo.  Attraverso manifestazioni di “credulità” ed “ingenuità” (prova di mancanza di spirito critico, di capacità di analisi e di sintesi) il bambino dimostra una tendenza al “soggettivismo egocentrico”.  Si nota allora il suo piacere per racconti mitologici, di fate, di Babbo Natale,  i racconti sui bambini che nascono sotto il cavolo, etc.  Questo bisogno accompagna la formazione dell’IO ideale.  Le premesse di  questa “funzione immaginativa” (che Halliday caratterizza come “facciamo finta che …”), potrebbero essere ancor più precoci (intorno agli 8 mesi).

 

L’imperativo acquisisce importanza: viene ricercato e s’interiorizza: “occorre”, “bisogna”, etc: (costituzione del ‘Superio’).

 

Il bambino utilizza un modello concreato a guisa di pensiero; le sensazioni, le immagini e l’azione hanno il sopravvento sul “pensiero – linguaggio”; prevale il globalismo o sincretismo.  Il bambino è “divorato dal demonio delle analogie” (Mallarmé), insiste sulle opposizioni escludentesi (“o bene, o bene”).  Disegna sé stesso come un pupazzo il ”tradpole man”, il pupazzo tutto testa nel quale l’insieme dell’organismo è rappresentato da un cerchio sul quale di scarabocchiano gli occhi, le braccia, le gambe.

 

A livello musicale, la canzone è anch’essa schematizzata, ridotta alla sua struttura essenziale, (“outline songs” dei ricercatori di Boston).  Tuttavia egli accede ad una vera e propria “conversazione” e si diverte molto a giocare con i suoni ripetendo con piacere parole che gli sembrano strane, difficili o comiche.

 

Padroneggia progressivamente la pronuncia delle vocali o delle semi – vocali in ogni dettaglio (4 anni).  Concepisce il piano generale di una melodia e si delizia con cantilene che non capisce (Osterrieth, 1971) … Se incomincia a suonare un strumento, si vede a volte apparire il fenomeno dell’orecchio assoluto  [13] .  Diventa anche capace di riprodurre dei ritmi semplici, e di ascoltare attentamente alcuni brani musicali.

 

 

Fra i cinque e i sette anni: la scuola dei ‘fan’

 

A livello di disegno, il bambino rappresenta ciò che sa, piuttosto di ciò che vede (realismo intellettuale di Luquet).  Al livello sonoro, la musica tonale è percepita meglio di quella atonale.  È capace di valutare le variazioni d’intensità (suoni forti/ deboli), e di paragonare brani semplici dal punto di vista ritmico e tonale.  Migliora il grado di intonazione del suo canto e possiede un vasto repertorio di canzoncine locali che riconosce e impara più facilmente di quelle provenienti dal di fuori.  Non impara tutto assieme: prima le parole, poi il ritmo, dopo ancora il contorno e, alla fine, gli intervalli.  Il bambino affina e riempie le maglie delle “bozze” di canto (“outline song”) costituite negli anni precedenti (v. tabella successiva).  Si mostra tanto più sicuro di sé quanto più si tratta di standard culturali piuttosto che di creazioni sue proprie più incerte e meno stabili.

 

La nota di fondo della voce si abbassa poco a poco nei due sessi.  Dai 7 anni fino alla pubertà continuerà a diminuire, passando da 300 a 250 hertz presso le femminucce e da 270 a 180 hertz presso i  maschietti.  La padronanza elocutoria delle consonanti occlusive (5 anni) e fricative (6 anni) non pone più problemi.  La codificazione verbale resta molto instabile e imperfetta: i significati sono ben spesso approssimativi, vaghi, incerti.

 

 

Da sette a undici anni: imparare a mentire ! E’ ragionevole ?

 

L’età della ragione secondo la Chiesa cattolica (Dolto, 1985) consacra l’accesso alla logica concreta (Piaget) che organizza il reale ma non ancora il possibile.  Il pensiero si rivolge a se stesso, l’introspezione appare nella misura in cui il bambino perde la sua ingenuità e si mette a giudicare il proprio pensiero, abbandona numerose illusioni (“Babbo Natale”) e diventa capace di disegni realistici (realismo visuale di Luquet).

 

Accede al mondo del romanzo d’avventura di tipo cavalleresco e diventa capace di mentire con successo; l’analisi e la sintesi divengono accessibili, si costituisce la logica: i “ma” e i “pertanto” relativizzano il discorso.

 

Si scopre la morte nella sua realtà definitiva e la si differenzia da una semplice assenza.  Accanto alla vergogna, prende posto il senso di colpa.  Dal punto di vista musicale, la consonanza è più apprezzata della dissonanza; A: Zenatti situa a partire da quest’epoca l’accesso alla polifonia e il senso dell’armonia … Crescono le capacità di riproduzione ritmica (8 – 9 anni).

 

 

Tappe dell’acquisizione del canto verso i cinque anni

secondo Davidson e altri (1981)

 

1. Topologie 

Tutte le parole e al meno le più rappresentative

Lunghezza, numero e ordine delle “frasi musicali” rispettatemolto ben collocate nella struttura del testo

La pulsazione sottostante è presente nel canto

La misura è stabile

 

2. Ritmo di superficie

Il bambino può cogliere il ritmo di superficie e suonarlo nota per nota su di un tamburo sincronizzando la pulsazione sottostante. Canta approssimativamente, secondo il contorno melodico, i versi più caratteristici ma non è in grado di mantenere la stabilità vocale. Esegue intervalli di volta in volta differenti.

 

3. Contorno melodico

Cerca di armonizzare il limite delle altezze in ogni verso, ma manca ancora la stabilità tonale di una parte rispetto all’altra; gli intervalli variano ancora secondo le prestazioni

 

4. Stabilità tonale

Le tre tappe di cui sopra sono ben stabilite

Chiara proiezione di un centro tonale attraverso tutte le parti della canzone malgrado gli intervalli possano restare non corretti

E’ in grado di estrarre la pulsazione sottostante dal ritmo di superficie

Emerge la capacità di operare trasformazioni espressive (per es.: rallentamento dell’andamento per produrre una versione “triste”)

 

 

Verso i 9 – 10 anni: I Piccoli Cantori alla Croce di Legno “Croix de bois”

 

La memoria melodica si fortifica, è acquisito il senso della cadenza: contrariamente a coloro che suggeriscono espressioni del tipo “seguire la cadenza”, “accelerare la cadenza”, etc., questo termine (che deriva dall’italiano cadenza, a sua volta dal latino cadere) esprime la risoluzione, la conclusione musicale di una tensione.  Dopo aver ottenuto un effetto di sospensione di tensione d’incertezza o d’inquietudine per qualche accordo ‘dissonante’, il compositore vi fa grazia e v’invita alla distensione, che si compie attraverso un accordo più consono.  Questo sentimento, che comporta elementi legati alla cultura, denota una maturazione dell’ascolto.  Alterando in modo specifica la “risoluzione” attesa dall’ascoltatore,si possono suggerire diverse forme di punteggiatura (prosodèmi).  La cadenza introduce dunque tutta un’espressività prosodica nel discorso musicale classico (v. tabella seguente).  L’accesso alla polifonia, il senso dell’armonia si stabilizzano nello stesso periodo 10 – 11 anni; (ma secondo Zenatti anche prima: verso i 6 – 7 anni).

 

 

Cadenze e Prosodèmi

 

 

Cadenza perfetta:

(dominante/ tonica)

Punto finale:

Terminato

(VII)

Semi – cadenza :

(tonica/ dominante con accordo perfetto)

Punto interrogativo :

Domanda

(VI)

Cadenza plagale :

(sub – dominante/ tonica)

Punto esclamativo

Grido di cuore

(V)

Cadenza rotta :

(dominante/ non tonica con accordo perfetto)

Due punti

Enumerazione

(IV)

Cadenza evitata :

(dominante di un tono/ dominante di un altro tono)

Freccia

Movimento verso

(III)

Cadenza frigia

Puntini sospensivi :

Indefinito, vago

(II)

 

 

Oltre i 12 anni: matematica e musica

 

Eccolo ormai capace di ragionare senza preoccuparsi della validità delle premesse.  Diviene accessibile anche il ragionamento “sperimentale”  [14] .  Claparède situa in questo periodo un grande interesse per la musica … La trasformazione interviene con la pubertà, sotto l’influenza delle modifiche ormonali; il fondamentale si abbassa di tre o quattro toni nella femmina e di un’intera ottava nel maschio (dimezzando la frequenza rispetto a quella di quando era bambino).

 

 

Dopo i 70 anni: la voce della saggezza

 

In pochi mesi, allorquando si attenuano i caratteri sessuali secondari, la voce diventa tremolante (caricatura del vibrato) e cambia di altezza: diventa più acuta presso il maschi e più grave nelle femmine.  Gli armonici non ripartiti si rarefanno e si restringe l’estensione vocale (Giovanni, 1987).  La durata delle parole e dei silenzi fra di esse di dilata.  L’intensità può accrescersi (parallelamente alla diminuzione delle capacità uditive: presbio – acustica, impoverimento del comportamento cognitivo).

 

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  Web auriol.free.fr   


Psychosonique Yogathérapie Psychanalyse & Psychothérapie Dynamique des groupes Eléments Personnels

© Copyright Bernard AURIOL (email : )

30 Octobre 2005

traduzione italiana (C) Pr. Claudia Cimino


[1]           Inteso nel senso che la parola rinvia a convenzioni accettate da tutto il gruppo.

[2]           Uno studio più approfondito è in corso con la collaborazione del comune di Tolosa, il personale dell’asilo-nido ed alcuni membri del Gruppo di riflessione sui suoni (Besson, Brault e Auriol).

[3]           Questo non è altro che un caso particolare di tutti quei fenomeni che portano dall’unicellulare all’essere umano completo, sia nella linea della filogenesi (evoluzione delle specie) che in quella dell’ontogenesi (sviluppo dall’uovo all’adulto), per ciò che riguarda le forme anatomiche come la funzionalità, compreso le psico – sociologiche e spirituali.

 

[4]           Questa nozione di stadio è comoda, ma non deve far nascere false interpretazioni.  Non c’è necessariamente una data, un brusco cambiamento, uno schema standard.  Si tratta di mutamenti progressivi, a volte impercettibili, che interessano l’individuo in momenti assai variabili ( Clark, 1987).  Nella rappresentazione dei dati utilizziamo qui il termine stadio per illustrare un tragitto, fissare dei picchetti.  Lo “stadio” è in origine un’unità di misura (pari a circa 192 m).  Più indietro nel tempo, questa parola si collega al concetto di stare in piedi, di star fermo, di ergersi, stabilirsi (dal sanscrito stambh- e sthâ e sthitvâ : alla fine di un certo tempo).  In greco, lo si può accostare ad una pianta odorosa (il nardo), della cui presenza ci si poteva accorgere a circa 200 m.

 

[5]           “Le regardeur” di Claparède (da 3 a 6 mesi): premesse del dialogo e della danza.

 

[6]            Mooge distingue il balbettio preverbale, che si manifesta prioritariamente, da quella premusicale.

 

[7]            Questa osservazione  è alla base del procedimento di rieducazione detto di “melodieterapia” del linguaggio.

[8]           Stadio sadico – orale:  padronanza del tronco e delle braccia per Gesell (da 6 a 9 mesi).  Piena acquisizione delle funzioni prensili (“attrappeur” di Claperède - da 6 a 12 mesi).

[9]           E’ il momento della dentizione.

 

[10]         Secondo stadio senso – motorio di J. Piaget (da 8 a 12 mesi).

 

[11]         Da 9 a 12 mesi : padronanza dei gesti precisi e della capacità di restare eretti.

 

[12]         La lallazione riunisce dei suoni la cui frequenza di base si stabilizza in modo sempre più ravvicinata intorno a 340 hertz, con vocoidi, modulazioni leggermente più acute (> 450 hertz) che si associano ad altre forme di escursione, come “creaks” e “squealing”.

[13]         L’orecchio assoluto, di cui godono alcuni individui, permette loro non solo di riconoscere il rapporto di suoni successivi fra loro, ma anche di collocare esattamente una nota isolata.  Essi non hanno bisogno che si dia loro il la.

[14]         Le proprietà del ”ragionamento sperimentale” sono tre:

·         Ipotetico – deduttivo

·         Combinatorio

·         Inferenziale.