L'utilizzo della musica nel recupero della relazione madre-bambino

G. Talarico (2001)

 

Il presente lavoro prende in considerazione la relazione madre-bambino nei periodi pre e peri-natale e subito dopo la nascita, e il ruolo che il mezzo musicale può eventualmente trovare in questa relazione.

L’ipotesi di partenza è che l’utilizzo della musica potrebbe essere uno strumento da impiegare nel legame precoce madre-bambino.

 


 

Questo testo consta di tre parti principali.

Nella prima si riflette su quelle che possono essere viste come le tappe fondamentali della relazione precoce madre-bambino: il desiderio di un figlio (perché un bambino “comincia” prima della nascita, cfr.Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991), la gravidanza, il parto e il puerperio. La seconda parte ipotizza alcune condizioni che potrebbero portare a recidere questo legame, in particolare una nascita prematura, e gli elementi che potrebbero dare un contributo al suo recupero.

L’ipotesi prevede che la musica si possa inserire tra gli interventi volti a ristabilire il legame in quanto può venire intesa come strumento di relazione. (Lecourt,E.,1980)

Nella terza parte viene presentata una breve indagine che ha lo scopo di evidenziare alcune fra le strutture disponibili al servizio della maternità e quale potrebbe essere il loro apporto alla relazione.

Nel corso di questa esperienza sono state ascoltate le testimonianze di coloro che operano in seno ad attività rivolte alle giovani madri e ai loro piccoli, e di coloro che fruiscono di tali servizi. Avendo preso in esame sia dei centri con sede in Italia, che altri con sede in Francia (città di Torino e Saint Etienne), l’indagine si presta a offrire uno spunto per qualche considerazione sulle differenze e sulle similitudini riscontrabili fra le due sedi.

Dapprincipio si è voluto riflettere sull’origine del desiderio di maternità, partendo da alcuni contributi della letteratura psicoanalitica, che lo ricollegano ad esperienze nello sviluppo infantile. (Freud,S.,1923-1931, Jones,E.,1927, Klein,M.,1928, Horney,K.,1933,  Deutsch,H.,1945).

Esaminando il lavoro di alcuni autori (Langer,M.,1951, Soifer,R.,1985, Ferraro,F. et.al.,1985, Brustia,P.,1996), si è visto che la scelta materna non è libera da conflitti e che comporta una riorganizzazione del mondo psicologico della madre.

Il periodo della gravidanza è stato considerato come un periodo di preparazione psicologica per i futuri genitori, in particolare la madre, all’evento del parto (Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991). Ne sono stati presi in esame i possibili significati dal punto di vista psicodinamico e sociale, con particolare riferimento alle angosce sperimentate dalla donna (Soifer,R.,1985) e a cosa rappresenti la figura della madre per la comunità (Ross,E.A.,1904, Hollingworth,L.S.,1916, Rich,A.,1977, Bowlby,J.,1989).

Si è tentato inoltre di delineare le eventuali problematiche corporee legate alla gravidanza (Schilder,P.,1935, Ferraro,F., et al.,1985).

Il parto è stato visto essenzialmente come un evento biosociale (Oakley,A.,1985) e un momento di passaggio (Fabietti,U.,1991).

Si è posto l’accento sulle eventuali conseguenze della separazione anatomica, (Deutsch,H.,1945, Langer,M.,1951, Soifer,R.,1985, Brazelton,

T.B.,1991, Romito,P.,1992, Brustia,P.,1996) e sulle possibili cause del passaggio dal figlio che si era fantasticato a quello della realtà.

Si è infatti ipotizzato che la difficoltà di conciliare le immagini dei due  bambini causi una momentanea perdita della relazione. (Ibidem, Schaffer,H.R.,1977, Bowlby,J.,1983)

Un caso in cui la discrepanza fra fantasia e realtà sembra essere più evidente è quello del parto prematuro, e tra i fattori che causerebbero la perdita si ricordano l’isolamento del bambino e il senso di colpa della madre. (Soifer,R.,1985, Rousseau,H.,1993)

Pensando al periodo successivo al parto, si è ritenuto di concentrare l’attenzione su un fenomeno piuttosto diffuso, la cosidetta depressione post partum (Romito,P.,1992), e sull’esperienza dell’allattamento (Klein,M.,1957, Bick,E.,1968, Schaffer,H.R.,1977),  di cui difficilmente si può tralasciare l’importanza facendo riferimento ad uno schema relazionale.

E’ in questo quadro che si è pensato d’inserire la musica, in quanto strumento che potrebbe favorire la relazione (Lecourt,E.,1980, Delalande,F.,1982). La musica, così come il canto, trova applicazione già nel periodo prenatale e perinatale in funzione preventiva. (Aucher,M.L.,1991, Benassi,E.,1998)

L’inserimento della musica in questo ambito è suffragato da alcuni studi: quelli che mostrano che gli organi dell’udito cominciano a svilupparsi già a partire dall’ottava settimana di vita fetale (Uziel,1992,cfr.Wolff,L.,1999) ; le acquisizioni sulle percezioni intrauterine (cfr. Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton,TB.,Cramer,B.,1991); gli esperimenti che dimostrano che il neonato riconosce quello che la madre ha ascoltato in gravidanza (esperienza di Feijo, cfr. Wolff,L.,1999)

Non s’intende in questo lavoro eleggere il mezzo musicale ad unica risorsa formativa del rapporto, né tantomeno sostituirla ai comuni interventi di tipo medico e psicologico, ma lo si ipotizza come strumento complementare e supplementare.

Nell’intraprendere questo lavoro, si è avvertita una difficoltà, insita nella scelta dell’argomento: parlando della relazione speciale che intercorre fra mamma e bambino si rischia di dire molte banalità senza peraltro riuscire ad esprimerne veramente il carattere e la bellezza.

Ma siccome Tarchetti scriveva “temo immiserire il valore delle mie passioni scrivendole, temo obliarle tacendole” (Tarchetti,I.U.,1981), per sottrarre all’oblio le possibili argomentazioni bisogna pur rischiare di cadere qualche volta nel banale.

Si spera non troppo.

     PARTE PRIMA: LA RELAZIONE MADRE BAMBINO

 

1) Le tappe fondamentali della relazione                             Pag.8

1.1 Prima della gravidanza: il desiderio di un figlio                 Pag.10

1.2 La gravidanza: lavoro psicologico preparatorio                  Pag.18

     1.2.1 Aspetti psicodinamici                                                               Pag.23

      1.2.2 Aspetti sociali                                                                        Pag.36

      1.2.3 L’immagine corporea in gravidanza                                          Pag.46

1.3 Il parto: separarsi per unirsi                                               Pag.52

      1.3.1 Il trauma della separazione anatomica                                       Pag.57

      1.3.2 “Incontro” tra il bambino immaginario e il bambino reale            Pag.61

1.4 Dopo il parto: puerperio e allattamento                             Pag.66

      1.4.1 Riorganizzazione del mondo interno della madre e nascita          

              di una nuova relazione                                                             Pag.68

      1.4.2 Disturbi post partum: la depressione puerperale                         Pag.72

      1.4.3 L’allattamento                                                                        Pag.79

 

PARTE SECONDA:IL SIGNIFICATO DI PERDITA E RECUPERO

         DELLA RELAZIONE E L’UTILIZZO DELLA MUSICA

 

2) Il recupero della relazione madre-bambino                   Pag.89

2.1 La perdita del legame                                                           Pag.91

      2.1.1 Un caso di perdita temporanea del legame: il bambino

               prematuro                                                                            Pag.96

2.2 Recuperare il legame                                                             Pag.106

2.3 La musica come strumento di relazione                                Pag.113

      2.3.1 Definizione di musicoterapia e di tecniche psicomusicali             Pag.114

      2.3.2 Musica e maternità                                                                           Pag.116

 

                                             PARTE TERZA:

        UN’ESPERIENZA NEL CAMPO DELLA MATERNITA’:

                            TESTIMONIANZE A CONFRONTO

 

3)Descrizione di un’indagine su maternità e servizi              Pag.124

3.1 Scopo e ipotesi dell’indagine                                                 Pag.124

      3.1.1 Come ho intrapreso l’indagine                                                           Pag.128

3.2 L’incontro con Janine                                                             Pag.137

3.3 L’incontro con Marta                                                              Pag.140

     3.3.1 Miriam                                                                                            Pag.143

      3.3.2 Evelyn                                                                                            Pag.144

 

Conclusione                                                                                             Pag.145

Bibliografia                                                                                   Pag.150



 

                         PARTE PRIMA:

          LA RELAZIONE MADRE-BAMBINO

 


1) LE  TAPPE  FONDAMENTALI  DELLA  RELAZIONE

 

 

Per capire la causa dei problemi relazionali di una madre nei confronti del suo bambino, bisogna comprendere cosa rappresenti quest’ultimo nei differenti periodi che corrispondono ad altrettante tappe psicologiche fondamentali : prima della  gravidanza, ovvero il desiderio di un figlio, la gravidanza, il parto e infine il puerperio e l’allattamento.

Ognuno di questi momenti è caratterizzato da processi psicologici diversi, il cui svolgimento influenzerà le tappe successive così come è stato influenzato da quelle precedenti.

Essere madre è la più “naturale” delle esperienze nella vita di una donna, ma al tempo stesso  è un evento colmo di significati latenti, di conflitti, che rimanda al passato ma che proietta indubitabilmente verso il futuro e che rappresenta per la donna un momento di crisi (nel senso evolutivo del termine), una svolta e un’occasione di conoscenza.

L’evento della nascita si inscrive in una doppia prospettiva temporale : lineare nell’ordine delle generazioni, e circolare nel ciclo nascita - vita - morte.

La maternità é un’esperienza unica che fa parte dello sviluppo psichico della donna ma che è regolata dal sistema sociale. E' corretto parlare di diritto alla maternità ? O si tratta in fondo di un obbligo verso un’umanità che cesserebbe di esistere senza figli ?

Sono domande che bisogna porsi quando ci s’interroga sul tema, anche se parole come diritto e obbligo hanno un significante che poco ha a che fare con le immagini di solito evocate dalla maternità, e che si suole pensare che tale esperienza riguardi unicamente una mamma e suo figlio.

E’ innegabile, però, che nella predisposizione biologica della donna a procreare vi sia la garanzia del perpetrarsi della specie, rafforzata dal fatto, non certamente casuale, che l’atto sessuale sia così piacevole, e che vi sia nella donna un incremento del desiderio sessuale nel periodo che precede l’ovulazione, ovvero quello di maggiore fertilità (Boncinelli,V.,1993).

Riflettere sui meccanismi che sottendono a questa meravigliosa avventura e analizzare i risvolti che l’accompagnano, non può e non deve immiserirne il valore, ma sottolinearne l’importanza rinnovando perennemente lo stupore di fronte alla sua magia.


1.1 Prima della gravidanza: il desiderio di un figlio

 

 

Il desiderio di avere un figlio, come molti autori affermano, non nasce nel momento stesso in cui si decide d’intraprendere una gravidanza, ma trae le sue origini dall’infanzia, ed è influenzato dalle precedenti relazioni con la madre e con il padre.

In quest’ottica la gravidanza rappresenta un filo che unisce passato e futuro, in un continuum affettivo e temporale.

L’istinto materno, come osservano Ferraro e Nunziante Cesaro, è sempre stato considerato nella letteratura psicanalitica come una qualità innata, un dato psicologico e biologico di base non discutibile, al quale sono state date diverse interpretazioni, ma legandolo nella maggior parte dei casi a fasi cruciali  di sviluppo edipiche o preedipiche ( Ferraro F. et al.,1985).

Sempre la Ferraro e la Nunziante Cesaro, però, preferiscono parlare di sentimento materno, poiché come tale rispecchia l’ambivalenza propria dei sentimenti umani, e vorrei sottolineare l’importanza del tentativo di dare una definizione che tenga conto della componente ambivalente e conflittuale dell’essere madre ; ma queste autrici fanno di più, e parlano in termini di “scelta materna”, legandola ad un bisogno innato di procreazione che compare con l’acquisizione di un’identità sessuale, ma che non corrisponde, tuttavia, ad una strada privilegiata di accesso alla femminilità (ibidem).

Tale bisogno di procreazione si inscrive nella tendenza a colmare lo spazio cavo (uno dei motivi, più o meno inconsci, che spingono a desiderare un figlio sarebbe dunque il voler colmare un vuoto), e a volersi opporre al destino affermando la potenza della vita e dell’uomo contro la morte.

Ma le tematiche corporee e l’idea di maternità per opporsi all’ineluttabilità del destino verranno approfondite più avanti, veniamo ora ai contributi psicanalitici di cui sopra, che analizzano i passaggi dello sviluppo infantile fondamentali per capire dove nasca il desiderio di avere un bambino.

 

Freud, con L'organizzazione genitale infantile (Freud,S.,1923), riconduce al complesso edipico i conflitti riguardanti la sessualità femminile adulta e la maternità, in quanto fase in cui viene riorganizzata e invertita la “disposizione originariamente maschile” ; la bambina si allontana dalla madre perché l’ha generata priva di pene e conseguentemente si avvicina al padre perché si aspetta di ricevere il pene da lui : di qui, grazie alla ben nota equazione pene–bambino, si passa al desiderio di avere un bambino dal padre. Questo desiderio, essendo destinato a rimanere insoddisfatto, resta radicato nell’inconscio creando in tal modo la pre-condizione alla futura funzione femminile.

Più tardi, e precisamente con La sessualità femminile del 1931 e Femminilità del 1932, Freud individua le basi del desiderio della donna di avere un bambino nell’attaccamento pre–edipico alla madre, processo che andrà poi a svilupparsi e a consolidarsi nell’Edipo (passaggio da bambino anale a bambino fallico).(Freud,S.,1931).

Secondo questo schema, è solo con la maternità che la donna può trovare l’unica vera risoluzione dell’Edipo.

In quest’ottica, però, la sessualità femminile appare come una sessualità maschile “castrata”, fondata sul risentimento e sul desiderio di colmare una mancanza : la scuola inglese si opporrà a questa posizione inquadrando come primaria la sessualità femminile.

Hélène Deutsch e Karen Horney (scrupolose esploratrici di quello che è stato definito il continente nero della psicoanalisi : la sessualità femminile), si distaccano dall'idea di maternità come semplice compensazione per il pene mancante, in quanto la maternità ne risulta svalutata e il pene viene considerato come unico oggetto libidico desiderabile (Deutsch,H.,1945).

Sebbene Freud non manchi di ammettere la forza dell’istinto materno, esso rappresenta da un lato la principale eredità della più forte relazione oggettuale della bambina (quella con la madre), invertendo la relazione, dall’altro la principale eredità del desiderio elementare precoce (quello per il pene).(Freud,S.,1923).

Come sottolinea Karen Horney ne La negazione della vagina, la nozione freudiana interpreta il desiderio di maternità non come una formazione innata ma come qualcosa che può essere psicologicamente ridotto ai suoi elementi ontogenetici e che trae la sua energia originaria dalle pulsioni falliche (Horney,K.,1933).

Ecco perché la Horney, come del resto la Deutsch, considera il punto di vista di Freud in merito troppo riduttivo e ne prende le distanze : non si dimentichi che è a lei che si deve l’ipotesi secondo la quale la bambina comincia innanzitutto con l’essere donna (ibidem).

Jones opera un’ulteriore distinzione : il desiderio di un figlio non è una compensazione derivante dalla frustrazione per non possedere un pene, ma un normale desiderio di “accogliere un pene e trasformarlo in un bambino”(Jones,E.,1927,op. cit. in Brustia,P.,1996, pagg.132-133).

Melanie Klein, autrice che si contraddistingue per l’originalità delle sue teorie, ha una posizione ben diversa da quella freudiana : la bambina si rivolge al padre non per castrazione e conseguente invidia del pene, ma per la frustrazione derivante dalla perdita del seno (Klein,M.,1928,op.cit.in Brustia,P.,1996,pag.135).

Mentre per Freud esiste nella bambina la fantasia che la madre incorpori un pene ad ogni rapporto col padre e che esso si trasformi in un bambino, per la Klein l’invidia porta alla fantasia distruttiva di penetrare all’interno del corpo della madre per impossessarsi del suo contenuto, allo stesso modo in cui avrebbe voluto impossessarsi del seno per disporne pienamente ed evitare così di perderlo (Klein,M.,1957).

Oltre a voler penetrare nel corpo materno per impadronirsi del suo contenuto e distruggerlo, c’è una seconda fantasia che cresce di pari passo con la prima : quella di conoscere il corpo e ciò che succede al suo interno, poichè il bisogno di sapere del bambino concerne principalmente la madre.

Si noti che il corpo della madre è un contenitore pieno di tutte le cose buone desiderate dal bambino : latte, bambini e il pene del padre, ogni sorta di tesoro insomma (teoria kleiniana del genitore unico). (Ibidem)

Secondo questa prospettiva, il desiderio di un figlio ha quindi origine nel desiderio di possedere tutte queste buone cose : e quale modo migliore di averle se non diventare a propria volta madre e contenitore.

Oltre a considerare i principali contributi che ci ha lasciato la psicoanalisi sulla genesi del desiderio di maternità, sono molte le riflessioni che si possono fare sulla presenza o meno della spinta procreativa in una donna, su come e “dove” questa abbia origine e sulle implicazioni che reca con sé.

Per esempio non si può non rimarcare la spinta verso la vita che è insita nel concetto stesso e nel progetto della maternità … Che fa rima con eternità, e con immortalità : un figlio consente di andare oltre la propria miserevole condizione di caducità, di vincere la morte creando una nuova vita. Noi non ci saremo più un giorno, e solo grazie a un figlio possiamo lasciare una traccia tangibile della nostra unicità, del nostro passaggio sulla Terra, perché rimarrà a testimonianza di questo qualcuno che avrà il nostro nome, che forse ci somiglierà nei tratti o negli atteggiamenti (le frasi che spesso si sentono dire come “ha gli occhi di suo padre” o “in lei rivedo sua madre” assumono un senso in quest’ottica).

E’ un bisogno umano quello di voler sconfiggere la morte dando a sé e alla propria coppia un’illusione di continuità che unisce ontogenesi e filogenesi[1].(Ferraro F. et al.,1985, Brustia,P.,1996)

Sebbene del tutto umano, questo bisogno di affermare la vita e di volersi opporre alla precarietà della nostra esistenza non deve sfociare nel desiderio narcisistico di una gravidanza per colmare un vuoto, per alleviare stati depressivi o per sfuggire a problematiche personali, o ancora per tentare di risolvere problematiche di coppia : la tendenza a riempire ciò che rappresenta uno spazio vuoto, cavo, predisposto dunque a ricevere e a contenere, come il corpo femminile, non è la stessa cosa che voler procreare solo per riempire un vuoto esistenziale ; in caso contrario ci si trova di fronte al fenomeno che St. Andrè definisce con un’immagine un po’ cruda ma senz’altro azzeccata : il “bambino tappo” (St.André,M.,1993, op.cit. in Brustia, P.,1996, pag.165).

Sono dunque molte e diverse le riflessioni ed interpretazioni che si possono fare a riguardo. Marie Langer  riassume in modo efficace :“Nel fondo, il desiderio della donna di dare alla luce un figlio proviene dalla necessità psicobiologica di sviluppare tutte le proprie capacità latenti” (Langer,M.,1951, pag.310).

Tornando all’istinto materno, fino ad ora si è tentata di esplorare la sua origine, e quindi si è dato per scontato che esso fosse presente, ma accade anche il contrario, e ogni donna che sostiene o dimostra in qualche modo di non possederlo, viene considerata come deviante dalla società (si fa riferimento alle definizioni di devianza proposte da Becker,H,1987,pag.18).

Anche arrivando a pensare che una donna che non desideri avere figli non sia anormale, ma presenti dei conflitti circa la maternità, difficilmente questa sua attitudine verrà considerata dalla società come scevra da ogni valenza negativa : è quello che Becker chiama “stigma”,un pregiudizio(id.).

Da sempre si guarda con sospetto colui o colei che si discosta dalla norma : ecco dunque che una donna che non mostra desiderio di procreare è vissuta come deviante (Ferraro,F.et al.,1985) e le vengono attribuite tutta una serie di caratteristiche, come se si dovesse a tutti i costi giustificare o comprendere la sua scelta.

Come si vedrà oltre, questi atteggiamenti rientrano in un quadro di strategie messe in atto dalla società al fine di promuovere e conservare la funzione procreativa nelle donne[2].(Hollingworth,L.,1916)

In realtà, se ci si astiene da giudizi morali, appare chiaro che il desiderio di alcune donne di non avere figli rientra nel grande Progetto della Natura come uno dei mezzi (il meno cruento per la verità, basti pensare ad aborto e infanticidio) per limitare il numero di nascite e provvedere così ad un equilibrio nell’omeostasi del tasso di popolazione umana sulla Terra.

Per quanto riguarda le cause, vanno ricercate probabilmente nel suo modo di viversi come figlia e nella qualità del suo rapporto con le figure genitoriali, in particolare con la madre.

Di questo si rifletterà più avanti, nell’ambito dei problemi connessi alla maternità.

Tutte quelle donne che al contrario corrono incontro alla maternità con entusiasmo, o semplicemente con l’accettazione che accompagna ogni evento che si sa che prima o poi deve accadere, sanno bene che una donna che aspetta un bambino è coccolata, compresa, colmata di attenzioni : ella porta in sé una speranza per il domani che tutti sono felici di accogliere (specie i futuri nonni, che sperano di trovare nel bambino che sta per nascere una parte di loro e un ritorno al passato e alla gioventù : il nascituro è una promessa).

Per questo la futura madre è una figura “potente”, che può condizionare i comportamenti delle persone che la circondano : una componente questa che può contribuire a sviluppare il desiderio di maternità ; il “ potere ” risiede anche nel fatto che finalmente si è potuta eguagliare la propria madre : si possiede a propria volta un bambino e l’amore del padre e ci si avvia definitivamente verso la risoluzione della situazione edipica (vedi sopra). (Langer,M.,1951)

Tutto ciò rende la maternità fortemente desiderabile.

In accordo con questa ipotesi è la posizione di Van Der Leeuw, che evidenzia l’aspetto creativo della maternità : “Portare un bambino è vissuto come un coronamento, una manifestazione di potenza e una competizione con la madre. Significa essere attiva come la madre. E’ un’identificazione con la madre attiva e procreatrice”. (Van Der Leeuw, P.J., in Green,C.D.,1999,pag.1)

Una volta che il desiderio di essere madre è presente, e ne sono state considerate alcune delle possibili cause, bisogna che ci si prepari al cambiamento. E mai la parola cambiamento è stata più appropriata, perché la gravidanza è uno degli eventi della vita di una donna dopo i quali sarà impossibile il ripristino delle condizioni precedenti (la stessa cosa si può dire per la comparsa del menarca e per il climaterio).

Oltre ad accettare i mutamenti biologici e corporei, che pure sono legati ad un’accettazione psicologica, molti sono i “compiti” che dovrà svolgere la futura madre, come mettere in discussione la propria identità, riorganizzare i propri spazi interni, rendere concava l’immagine corporea per essere pronta ad accogliere il bambino.

Un lungo lavoro attende dunque la futura mamma durante la gravidanza, un periodo così magico e ricco di significati.

Ciò che accade durante quei nove mesi verrà descritto nei paragrafi successivi.


1.2. La gravidanza : lavoro psicologico preparatorio

 

 

I nove mesi di gravidanza forniscono ai futuri genitori, specie alla madre, l’occasione di una preparazione tanto fisica quanto psichica.

La preparazione psicologica sia inconscia che cosciente è profondamente legata alla evoluzione fisica della gravidanza. Al termine dei nove mesi la maggior parte dei genitori ha l’impressione di essere pronta. Quando questo termine è abbreviato, come nel caso di un parto prematuro, i genitori si sentono sorpresi e incompleti. (Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)

Quando sorgono delle complicazioni fisiche, viene messo in pericolo anche l’adattamento psicologico.

Si noti che fino a questo momento non è stato menzionato il partner  perché si è voluto prendere in esame il desiderio di avere un figlio nella donna, e anche in seguito ci si concentrerà quasi esclusivamente su di lei non per sminuire l’importanza dell’uomo nell’esperienza genitoriale, ma per scelta metodologica (si ricorda al Lettore che tale lavoro verte sulla relazione madre - bambino ed è su questa diade che ci si vuole soffermare anche se i due poli della relazione s’inseriscono in un più vasto quadro).

Ma in gravidanza i ruoli del futuro padre e delle persone che circondano la futura madre acquistano maggiore importanza, o forse è meglio dire che diventano una presenza più definita e reale.

Occorre ricordare che la gravidanza è un evento a cui partecipano la donna, l’uomo, i rispettivi genitori e altre figure vicine alla gravida, come il medico che di lei si occupa : la vicinanza e l’apporto di tali figure ha un suo peso e può essere importante ai fini di un sereno svolgimento della gravidanza (ibidem).

Le persone coinvolte e il tipo di ruolo che svolgono cambia a seconda della società a cui si fa riferimento (non si dimentichi che la gravidanza è un’esperienza personale ma regolata dal sistema sociale).

Marie Langer sottolinea che il maggiore o minor grado di accettazione della gravidanza da parte dell’ambiente sociale immediato contribuisce a rafforzare il senso materno.(Langer,M.,1951)

La stessa Langer, e Piera Brustia citano gli studi antropologici comparati di diverse società fatti da Margaret Mead, che arriva alla conclusione che ogni società ha dei preconcetti rispetto alle funzioni procreative della donna e che la maggior parte delle donne vi si adatta.(Ibidem, Brustia,P.,1996)

Si può osservare quindi che nelle società in cui si crede che la gravidanza debba essere accompagnata da nausee e il parto sia doloroso e pericoloso, la maggior parte delle donne incinte soffre effettivamente di nausee ed ha parti difficili.

Ciò che Margaret Mead ha osservato in varie società avviene anche in cerchie più ristrette : nelle famiglie in cui la madre non si lamenta di paure e dolori relativi alla gravidanza e al parto, le figlie, seguendo le convinzioni materne, soffriranno meno delle donne le cui madri descrivono l’esperienza del parto come angosciosa e dolorosa, che avranno probabilmente un parto difficile.(Mead,M.,1962,op.cit.in Langer,M.,1981)

Questo fenomeno si spiega col meccanismo d’identificazione della donna con la madre nelle sue funzioni materne.

Occorre però precisare che nonostante l’atteggiamento dell’ambiente che attornia la donna sia nell’infanzia che in età adulta influenzi il suo modo di percepire la femminilità, intervengono anche fattori molto più personali a condizionare il suo comportamento ; ecco perché nella stessa società e persino nella stessa famiglia ogni donna sviluppa diversi modi di affrontare la gravidanza e diversi tipi di disturbi.

John Bowlby, nell’ambito dei suoi studi sull’attaccamento, evidenzia le condizioni peri- e post-natali che aiutano o ostacolano un felice sviluppo della relazione madre-bambino.(Bowlby,J.,1989)

Partendo dal presupposto che la sensibilità materna comune rende capaci di adattarsi alle esigenze del bambino e di rispondere ai suoi segnali, perché un genitore sviluppi tali capacità occorrono un tempo adeguato e un’atmosfera rilassata.(Ibidem)

Ecco perchè i genitori, soprattutto la madre, necessitano di tutto l’aiuto possibile, sia di un aiuto pratico che di un sostegno emotivo. Una madre gravata da pesanti incombenze domestiche sarà meno disponibile a concentrarsi sulle sue sensazioni e su quelle del nascituro durante la gravidanza, o a provvedere a tutti i bisogni del piccolo appena nato (ibid.).

E’ fondamentale che sia aiutata in questo dalle persone che le stanno a fianco in modo ch’ella possa dare la precedenza alle cure del bambino.

Bowlby cita in proposito il caso di uno studio antropologico condotto in alcune isole dei mari del Sud in cui la futura madre, sia durante sia dopo la nascita del figlio, viene accudita da due parenti donne che si occupano di lei durante tutto il primo mese lasciandola libera di dedicarsi al figlio(ibid.).

In Senegal, dove la gravidanza è considerata un’apertura al cosmo, intorno alla donna si crea un clima di estrema permissività e la madre e le sorelle si prodigano in ogni sorta di cure ed attenzioni. (Brustia,P.,1996,pag.108)

Ma tornando alla nostra società, gli aiuti e il sostegno morale non dovrebbero limitarsi ai membri della famiglia.

Brazelton e Cramer sottolineano che mentre la donna incinta si dibatte tra i tormenti causati dall’ambivalenza (si veda oltre), è particolarmente ricettiva ad aiuti esterni ; i consigli di un medico, di un’infermiera o di un’amica con esperienze di maternità saranno ben accetti (Brazelton,T.,Cramer,B.,1991).

Ai nostri giorni le tecniche ostetriche hanno progredito e normalmente una gravidanza è seguita con molta assiduità dall’ambiente medico, quindi le figure professionali stanno acquistando sempre maggior peso in questa esperienza ; per quanto a volte tali figure possano risultare intrusive e togliere naturalezza e spontaneità ai processi della gravidanza e del parto, specie per l’uso delle nuove tecnologie (Brustia,P.,1996, Oakley,A.,1985) spesso il loro supporto può essere prezioso e rassicurante (Brazelton,T.,Cramer,B.,1991).

 

Il periodo della gravidanza può essere suddiviso in stadi, e la maggior parte degli autori sono concordi nell’associare tali stadi allo sviluppo fisico del feto.

Brazelton e Cramer ne individuano tre, ciascuno correlato a dei precisi "compiti" che i genitori devono assolvere : come è già stato detto, la gravidanza è un periodo di preparazione psicologica.(Ibidem)

Nel corso del primo stadio, i genitori prendono atto della notizia e della nuova situazione che andrà a crearsi ; avvengono dei cambiamenti corporei nella madre, ma la presenza del feto non è ancora manifesta. Dopo un primo momento di euforia, si comincia a sentire il peso delle responsabilità che la genitorialità comporta. Il futuro genitore ha bisogno di ripiegarsi su se stesso e di regredire per riorganizzarsi ; l’angoscia può farlo tornare a conflitti e sentimenti ambivalenti nati da adattamenti anteriori. Il primo compito della donna è di accettare il “corpo estraneo” che si è impiantato in lei.(Ibid.)

Il secondo stadio comincia al quinto mese di gravidanza, quando si manifestano i primi movimenti fetali e quindi i genitori riconoscono il feto come un essere separato dalla madre. Fino a questo momento la mamma e il bambino sono considerati come un’unità indistinta e si è mantenuta un’immagine narcisistica di fusione totale.

Durante il terzo stadio, negli ultimi mesi di gravidanza, i genitori cominciano a percepire il bambino come individuo, individuazione alla quale il feto contribuisce con una varietà di attività dai ritmi distinti. La personificazione del nascituro è sempre più netta : è spesso a quest’epoca che si sceglie un nome e che si riorganizza la casa in funzione del suo arrivo. (Ibid., Brustia,P.,1996)

Dato che i movimenti fetali e i loro livelli d’attività cominciano a organizzarsi in cicli e a seguire degli schemi, la mamma può riconoscerli e sapere in anticipo quando si manifesteranno : la sua reazione può essere considerata come una forma d’interazione precoce, del resto la relazione e l’attaccamento tra madre e bambino cominciano in gravidanza. (Brazelton,T., 1991, Schaffer,H.,1977)

Nel prossimo paragrafo verrà approfondito tutto ciò che accade durante ognuno di questi stadi e che fa parte del cammino che ogni genitore, soprattutto la madre, dovrà intraprendere per prepararsi all’evento della nascita. Come si vedrà, non è sempre un cammino facile.


1.2.1. Aspetti psicodinamici

 

 

Il periodo gestazionale è per la donna un periodo ricco di problematiche che ha tutte le caratteristiche di una crisi.

Sono davvero tante le implicazioni psicologiche di  questa esperienza così naturale eppure così sconvolgente.

Basti solo pensare al fatto che si tratta di uno stato temporaneo, un momento di passaggio da una condizione ad un’altra che si potrebbe descrivere con questa immagine : si è già lasciata una sponda (alla quale non si potrà più tornare), ma non si è ancora giunti a toccarne un’altra benché già la si scorga.

In gravidanza si è ancora figlia ma si è già madre ; il bambino c’è già ma non si vede ancora ; il rimando alle esperienze passate è molto forte, ma intanto si fanno progetti per il futuro : è tutt’altro che ovvio riuscire a trovare un equilibrio in un tale stato di vaghezza.

Quasi tutti gli autori sono concordi nell’affermare che nonostante il buon svolgimento della gravidanza e il sussistere di buone condizioni psicofisiche, si è sempre in presenza di conflitti e di sentimenti ambivalenti.

Cito in proposito Brustia : “Anche nel caso in cui la gravidanza sia vissuta nelle migliori condizioni fisiche, psichiche e sociali, è impossibile presupporre l’esistenza di un amore materno completamente aconflittuale”[3] (Brustia,P.,1996, pag.182); e ancora: “La scelta materna non è mai veramente libera da conflitti ed è luogo in cui s’incontrano coppie di opposti : pienezza e perdita, fusione e separazione, ripetizione e cambiamento" [4].(Ferraro F.et al.,1985, pag. 73).

Brazelton e Cramer :“La prospettiva di essere genitori rimanda bruscamente gli adulti alla propria infanzia, e nessun adulto rivede la sua infanzia come un periodo di felicità assoluta”[5].(Brazelton,T.,1991,pag.34).

Il ritorno alla propria infanzia, associato alla presa di coscienza delle responsabilità che avere un figlio comporta, provoca angoscia nei genitori, che sperano di essere capaci di proteggere i loro figli da sentimenti d’incapacità e dai fallimenti che scorgono nella loro vita.

Dietro a questa fantasia c’è dell’ambivalenza, e l’irreversibilità del processo della gravidanza può essere sentita come una “prigionia”.

I sentimenti ambivalenti e l’influenza delle delusioni vissute nell’infanzia scatenano diverse paure e fantasie nella donna, tra cui quella di fare del male al bambino, o quella di partorirne uno “anormale”.(Ibidem)

Al fine di superare tali angosce e l’ambivalenza che vi soggiace, la futura madre deve mobilitare molte difese. Si comincia a idealizzare il piccolo, a rappresentarselo come un essere perfetto e molto desiderato: il lavoro effettuato per superare le forze negative intensifica i desideri positivi riguardo al bambino e l’ambizione di essere un genitore ideale.

Pertanto è già nato il bambino immaginario, creato dai desideri e dalle proiezioni, la cui immagine verrà definita a tal punto da andare poi a scontrarsi con quella del bambino reale al momento della nascita .

Il processo quasi automatico di creazione del bambino immaginario è facilmente comprensibile: dobbiamo dare un volto a ciò che esiste ma non vediamo ancora, e si cerca sempre di dare un volto a ciò che spaventa; la creazione di tale immagine può costituire dunque un sollievo rispetto a certe paure che pervadono la donna in gravidanza, ma è anche insidiosa, come si vedrà, in quanto può causare ben più grandi problematiche se non si riuscirà a conciliarla con la realtà (Brazelton,T., 1991, Brustia, 1996, Romito,P., 1992, Soifer,R., 1985).

Raquél Soifer ha classificato in modo chiaro le angosce specifiche della gravidanza e il momento esatto in cui compaiono. I momenti di maggiore incremento dell’angoscia si delineano: all’inizio della gestazione; al secondo e terzo mese  (in corrispondenza della formazione della placenta); verso i tre mesi e mezzo (al percepire i primi movimenti fetali); al quinto mese (al palese instaurarsi dei movimenti fetali); al settimo mese (in corrispondenza del rivolgimento interno del feto); all’inizio del nono mese; nei giorni che precedono il parto.(Soifer,R.,1985)

Con l’aiuto di questa distinzione, vediamo ora nel dettaglio ciò che caratterizza i principali momenti della gravidanza da un punto di vista psicologico.

All’inizio della gestazione si verifica comunemente un’ipersomnia, che è manifestazione del principio di un processo regressivo, e che favorisce l’identificazione col feto. (Ibidem, Boncinelli,V.,1993)

L’ipersomnia ha anche una funzione biologica difensiva: garantisce all’organismo una quota maggiore di riposo in vista dello sforzo fisico che la gravidanza comporta.(Ibidem)

Anche il constatare l’assenza delle mestruazioni può causare angoscia, in quanto manifestazione tangibile dei primi cambiamenti corporei e prova del doversi adattare al nuovo stato.(Soifer,R.,1985)

A partire dal secondo mese compaiono spesso nausee e vomiti , che rivestono un doppio significato e conseguentemente una doppia funzione: da un lato tendono a rassicurare sull’essere effettivamente incinta in un momento in cui ancora ciò non è visibile e può sorgere il dubbio che si tratti di un ritardo, dall’altro rappresentano il rifiuto della realtà e la difficoltà ad accettare la gravidanza.(Ibidem)

Nausee e vomiti sono quindi espressione del conflitto tra rifiuto e accettazione della gravidanza, tra desiderio e paura di aspettare un bambino.(Deutsch,H.,1945, Langer,M.,1951)

A volte è soprattutto l’ansia determinata dall’incertezza di essere incinta che provoca questi sintomi, in altri casi prevale la componente persecutoria perché si comprende il proprio rifiuto e se ne ha paura, quindi si cerca di manifestarlo espellendo ciò che è cattivo (la parte che rigetta la maternità) e conservando ciò che è buono (il bambino).(Brustia,P.,1996)

In ogni caso, come segnala la Soifer, è solo una parte della donna che rifiuta la gravidanza, perché se è stato possibile che questa si sia instaurata significa che una parte più grande la desidera. (Soifer,R.,1985)

Non deve stupire il fatto che esista un rifiuto della gravidanza anche quando questa sia stata desiderata e provocata, si tengano sempre presenti l’ambivalenza insita nell’animo umano e il meccanismo di scissione che separa un oggetto in buono e cattivo.(Klein,M.,1957)

E’ Melanie Klein che ha voluto insegnarci che la distruttività è presente in noi sin dalla nascita nella sua prima veste: l’invidia. (Ibidem)

E allo stesso modo in cui l’oggetto primario viene scisso in seno buono e seno cattivo a seconda che dia o tolga il nutrimento desiderato, si può postulare un’analoga scissione tra il “bambino buono”, quello che sarà bello e bravo e che già fa in modo che tutti si occupino della sua mamma, e il “bambino cattivo”, colui che deforma  il corpo, che causa dolori fisici e stanchezza, che impedisce di fumare.

Quando questi processi seguono uno sviluppo sano, si andrà incontro ad un’integrazione dell’oggetto-bambino e dell’Io della madre, così come è avvenuta in precedenti fasi di sviluppo l’integrazione dell’oggetto primario.

L’integrazione dell’oggetto riduce l’angoscia persecutoria, ma se tra le esperienze passate prevalgono quelle negative l’integrazione avviene difficilmente.(Ibid.) Ecco perché sono così importanti le precedenti fasi di sviluppo, quando si verifica una regressione si regredisce comunque a nuclei psichici preesistenti.

Come rimarca Brustia, il fatto di nutrire per il bambino anche dei sentimenti ostili, nonostante lo si ami e lo si desideri, è un fattore che preserva la madre da un annientamento masochistico (Brustia,P.,1996); pertanto i sentimenti negativi vanno intesi come una sorta di tutela per la mamma e per il figlio e in ultima analisi come facenti parte delle difese messe in atto in gravidanza.

Nell’alternarsi di vomiti e voglie ritroviamo le modalità di espellere e incorporare (la modalità trattenere/espellere caratterizza ora gli impulsi protettivi e ostili nei confronti del feto).

La donna reagisce quindi al feto durante i primi mesi di gravidanza con ambivalenza orale: cerca di espellerlo con il vomito e di reincorporarlo con le voglie.(Ibidem, Soifer,R.,1985)

Riguardo alle angosce che caratterizzano questo periodo ricordiamo quanto era stato detto a proposito del desiderio di maternità sulla fantasia della bambina di penetrare all’interno del corpo della madre per impossessarsi del suo contenuto, ebbene il ritorno a questa fantasia infantile provoca l’angoscia di essere distrutta all’interno del proprio corpo, di conseguenza si teme per la propria incolumità e per quella del bambino.(Klein,M.,1957)

Secondo Marie Langer, l’angoscia all’inizio della gravidanza è dovuta al senso di colpa per aver rubato il bambino alla madre e alla paura della sua vendetta. Questo timore viene rafforzato dall’invidia infantile per la sua capacità creatrice e dall’odio provato in seguito al suo realizzarsi.

(Langer, M.,1951)

A partire dal terzo mese e mezzo di gestazione è possibile la percezione dei movimenti fetali; in realtà, pur corrispondendo questa fase dello sviluppo fetale alla comparsa della motilità, in molti casi i movimenti non vengono percepiti che a partire dal quinto mese, se non addirittura dopo.

Un ritardo eccessivo nella percezione di tali movimenti va attribuito al meccanismo della negazione, una difesa tipica ad esempio di quelle donne che confondono la gestazione con l’amenorrea. (Soifer,R.,1985)

L’angoscia si manifesta a questo punto della gestazione sotto molteplici forme: paura del figlio (questo sconosciuto); paura della responsabilità assunta (una paura che cresce di pari passo con le dimensioni della pancia); paura di morire di parto: sebbene questo accada sempre più di rado ai giorni nostri, il permanere di tale paura è giustificato dal fatto che  fino a neanche troppo tempo fa accadesse spesso, quindi è rimasto nell’immaginario collettivo (Deutsch,H.,1945, Oakley,A.,1985, Rich,A.,1977); paura di generare un bambino deforme:  questo timore non sempre viene fugato dalla presenza delle nuove tecnologie che permettono di rilevare eventuali anomalie e si può manifestare sotto forma del timore di non essere in grado di generare un bambino sano o di non essere in grado di allevarlo bene. (Brazelton,T.,1991)

In gravidanza spesso si assiste anche alla comparsa di meccanismi maniacali: i sogni e le fantasie di un figlio bello e buono permettono la prosecuzione della gravidanza.

Ma a volte tali meccanismi si presentano in forma esagerata, ad esempio in quelle donne che continuano a svolgere un’attività intensa e ostentano indifferenza riguardo ai sintomi dell’essere incinta, attribuendo al contrario grande valore all’efficienza[6]. (Soifer,R.,1985, Langer,M.,1951)

Al contrario ci sono donne che assoggettano tutta la famiglia ai loro capricci e voglie, ingrassano di molti chili e affrontano con contentezza i conseguenti disagi (espiazione masochistica).

Secondo la Soifer, l’uso eccessivo di meccanismi maniacali rappresenta in realtà una difesa per proteggersi contro l’intensificarsi del timore di partorire un bambino deforme. (Ibidem)

La Langer cita il caso di una donna che all’inizio della gravidanza decise di andare a cavallo, come tentativo inconscio di abortire e di nascondere alla madre la propria gravidanza (…). (Langer,M.,1951). E’ evidente, quindi, come atteggiamenti simili celino a volte vissuti diversi in ogni donna.

All’inizio del quinto mese si palesano i movimenti fetali e il fatto di percepire la presenza del bambino determina l’esigenza d’immaginare questo essere invisibile e presente al tempo stesso: a questo scopo si rafforza la creazione del bambino immaginario e compaiono sogni di parto. Fino al quinto mese la mamma e il bambino sono una cosa sola, nel momento in cui inizia la percezione dei movimenti del feto, primo contributo del futuro bambino alla relazione, finisce la fusione e comincia la relazione. (Brazelton,T.,1991, Soifer, R.,1985)

Nella donna ha luogo una doppia identificazione: col feto e con la madre. “L’Io della donna incinta deve trovare un armonico compromesso tra la sua identificazione con il bambino, che è rivolta verso il futuro, e la sua identificazione con la madre, che è rivolta verso il passato.”(Deutsch,H.,1945, pag.143). “L’identificazione, che consente alla donna di diventare lei stessa bambino, compenserà la perdita primitiva dello stato di fusione e di indistinzione” (Brustia, P., 1996, pag.168).

La tendenza regressiva può attivare conflitti e reazioni patologiche, facilmente ci si sente minacciate per la propria identità dato il risveglio di forti sentimenti di fusione tra la donna e sua madre. Ma se il processo ha uno svolgimento positivo, la regressione all’identificazione simbiotica col feto produrrà un rinnovamento di energia psichica e si trasformerà in sorgente di conoscenza empatica del bambino.

Il fatto d’identificarsi col bambino aiuta inoltre la madre a non percepirlo come un corpo estraneo e un parassita del proprio corpo.

In questa nuova fase prendono forma nuove fantasie portate dal concretizzarsi della presenza del bambino, aumentata dall’uso dell’ecografia. (Ibidem, Brazelton,T.,1991)

E’ il caso a questo punto di fare alcune riflessioni sul ruolo delle nuove tecnologie ostetriche.

L’esperienza dell’amniocentesi e dell’ecografia per visualizzare il feto producono un effetto complesso sul lavoro di adattamento al bambino. L’immagine della creatura ancora in via di sviluppo che si vede sullo schermo non collima con quella di un bambino già formato esistente nella mente dei genitori. (Ibidem)

Il vantaggio psicologico è che il vedere il proprio bambino può aiutare la madre a viverlo come essere indipendente e favorire l’inizio del processo volto a far combaciare il bambino immaginario con quello reale.

D’altro canto molte donne provano di fronte allo schermo sentimenti contrastanti. Ciò avviene in special modo fra le primipare, che vedono un’immagine del bambino che le spaventa, come se fosse incompleto o fragile o addirittura “difettoso”, anche se difficilmente esprimeranno apertamente queste sensazioni. (Ibid.)

E’ compito del medico rassicurare la futura partoriente sul fatto che il bambino non abbia nessuna imperfezione. (Ibid.)

E’ anche importante riconoscere il ruolo del padre, per ridurre i sentimenti di onnipotenza legati alla creazione del bambino e con essi le eventuali angosce e vissuti di colpa relativi alla possibilità di aver generato un essere fragile e potenzialmente imperfetto. (Ibid.)

Dunque l’ecografia può rassicurare sullo stato e la salute del piccolo, ma anche spaventare ed essere percepita come intrusiva. Non si dimentichi che ci si deve tutto sommato ancora abituare all’uso di queste tecnologie che nei racconti delle nostre madri non sono presenti.

Tuttavia personalmente credo e spero che , nonostante gli anni passino e ci si abitui al progresso e alle evoluzioni scientifiche, lo stupore di fronte all’immagine di una vita che vive e cresce in noi siano destinati a non scomparire mai. La giusta misura sta forse nell’accettare le innovazioni tecnologiche nell’ambito dell’ostetricia come si accettano quelle in altri campi, guardandone soprattutto i vantaggi e i benefici che s’inseriscono in quadro di cure sempre più perfezionate rivolte alla mamma e al suo bambino, ma senza immiserire il valore degli aspetti naturali : la scienza deve affiancare, non prevaricare l’uomo, non bisogna mai dimenticare che la forza creatrice è nelle mani dell’uomo e della donna, uniti, e mai perdere la meraviglia di fronte al miracolo della vita che si rinnova. La donna che si vede attorniata da un ambiente medico che tiene tutto sotto controllo anche grazie all’aiuto di mezzi sofisticati, è da un lato rassicurata nel verificare che le proprie angosce relative ad un bambino danneggiato fossero infondate, ma dall’altro si sente meno procreatrice e perde parte della sua identità e unicità per uniformarsi a tutte le altre donne che ricevono lo stesso tipo di cure.

Grazie a queste tecniche è anche possibile conoscere il sesso del bambino, ma secondo Brazelton un numero alto di genitori non desidera saperlo (circa il 40%). (Brazelton,T., Cramer,B.,1991,pag.38)

Egli cita anche una ricerca condotta da Elisabeth Keller al Children’s Hospital di Boston, che ha fatto emergere dei dati interessanti e perfino sorprendenti: sono stati comparati i genitori che hanno voluto conoscere il sesso del bambino dopo un’ecografia o un’amniocentesi a quelli che invece l’hanno ignorato fino al momento della nascita. Ebbene ci si aspetterebbe che la personificazione precoce e l’attaccamento al bambino siano intensificati dal fatto di conoscerne il sesso, ma la ricerca ha dimostrato il contrario (Keller,E.,1981, op.cit. in Brazelton,T.,1991). Si può attribuire il fenomeno al fatto che l’attaccamento verso un bambino richiede del tempo per svilupparsi e i tentativi precoci in tal senso possono essere rifiutati.

Può essere utile citare in proposito la definizione dell’ecografia data da Michel Soulé: “interruzione volontaria di una fantasia”.(Soulè,M., op.cit. in Brazelton,T.,1991, pag.39)

Queste ultime riflessioni mettono in evidenza il problema dell’adattamento ad un bambino nato prematuro, per il quale il lavoro preparatorio della gravidanza è stato ridotto. Questo argomento verrà approfondito oltre.

Al termine del quinto mese l’aumento delle contrazioni uterine provoca un nuovo intensificarsi dell’angoscia. La Soifer suggerisce in proposito l’impiego di tecniche di respirazione e rilassamento; la musica può svolgere un ruolo prezioso in tal senso. (Soifer,R.,1985)

Dopo i sei mesi e mezzo si verifica il rivolgimento interno del feto. L’abbassamento e la nuova collocazione del bambino sono funzionali al proseguire del processo di separazione dalla madre in vista dell’avvicinarsi del parto. Il peso della pancia e la stanchezza aumentano, così come l’angoscia causata da fantasmi di svuotamento; diminuisce invece ulteriormente l’attività sessuale, poiché oltre alla paura di nuocere al bambino che già era presente nei mesi precedenti sorgono fattori fisici che rendono difficoltoso il rapporto. In realtà l’attività sessuale risulta benefica in tutto l’arco della gravidanza: contribuisce infatti al mantenimento dell’armonia della coppia ed è efficace per allentare l’angoscia. In questo periodo sembrano aumentare i sogni a contenuto erotico. (Boncinelli,V.,1993)

La Soifer ha osservato che molto spesso crisi d’angoscia molto intense conseguenti al rivolgimento interno del bambino sono causa di un parto prematuro.(Soifer,R.,1985)

Proprio a causa del riacutizzarsi delle angosce (di separazione, di morte, persecutorie), la donna ora più che mai necessita di aiuti e sostegno dall’esterno, in special modo da parte del partner e della madre.

L’abbassamento del bambino favorisce il processo di separazione psicologica cominciando la separazione fisica. Ciò va a vantaggio dell’attaccamento, che pare abbia origine proprio a quest’epoca della gestazione, infatti la madre diviene davvero capace d’instaurare una relazione d’amore e d’attaccamento col bambino solo quando sia avvenuta la separazione psicologica.(Ibidem, Brustia,P.,1996)

In base a questo si può dividere la gravidanza in due grandi stadi: dal concepimento al quinto-sesto mese, in cui si sperimenta la fusione, e dal sesto mese fino alla nascita, in cui si sperimenta la separazione.

In questo periodo aumentano anche i sogni che servono ad anticipare la separazione.

Dal settimo mese compaiono anche sintomi psicosomatici più o meno accentuati che fungono da difesa contro l’angoscia: ad esempio la diarrea, che simboleggia l’espulsione del persecutore, o l’eccessivo aumento ponderale, che è una difesa incorporativa e ritentiva contro l’angoscia connessa allo svuotamento.(Langer, M.,1951)

A tutto ciò si affiancano timori realistici quali quello di non essere in grado di allevare il bambino (si noti come si anticipi il momento della nascita), e la paura di morire di parto, che come si è già avuta occasione di menzionare corrisponde ad una paura ancestrale di un evento che solo fino a trent’anni fa era molto realistico. Si aggiunga l’angoscia causata dai racconti di parti dolorosi o difficili, in cui si è verificata ogni sorta di complicazione, racconti che spesso vengono fatti alle partorienti e di cui non si capisce lo scopo.

Verso la fine della gestazione la paura e le ansie si riaccendono: la preoccupazione del parto e di tutto ciò che esso implica affligge la gestante; ma la paura è bilanciata dal desiderio che l’evento della nascita si verifichi, desiderio stimolato anche dalla stanchezza e la noia di nove mesi di gravidanza.(Boncinelli,V.,1993)

A volte viene messa in atto una difesa estrema contro l’angoscia che si traduce in un parto anticipato : è un modo per sottrarsi all’attesa e alle paure ricorrendo al meccanismo di evacuazione/espulsione spostato in questo caso sul parto (Soifer, R., 1985). Dopo un parto di questo genere le donne di solito ne attribuiscono la causa al bambino, motivando l’accaduto con frasi come: “aveva fretta di uscire”.

Nei giorni che precedono il parto si avverte spesso la sensazione di non percepire i movimenti del bambino, a volte per un giorno intero, il che acutizza notevolmente l’angoscia e fa temere per l’incolumità del bambino: in realtà ciò si deve al fatto che il bambino si muova effettivamente di meno a questo punto, perché la sua crescita ha ridotto lo spazio in cui si trova; inoltre l’intensificarsi dell’angoscia da un punto di vista psichico ostacola la capacità percettiva e da un punto di vista fisico causa una contrattura muscolare.(Ibidem, Boncinelli,V.,1993)

Un modo per attenuare l’angoscia è il cosiddetto “falso allarme”, quando cioè si scambiano delle contrazioni per quelle che preannunciano il parto: in realtà ciò può essere utile e benefico perché consente un’abreazione dell’angoscia e perché rappresenta una “prova generale”.(Soifer,R.,1985)

Anche la fantasia di partorire un bambino anormale è funzionale, infatti aiuta la madre a far fronte all’angoscia nonché alla situazione reale nel caso in cui la fantasia si avveri. (Brazelton,T.,1991)

La personificazione del feto diviene ormai sempre più netta ed ha come scopo principale quello di far sì che il bambino non sia un estraneo al momento della nascita : per questo si fantastica del sesso del bambino, o gli si sceglie un nome.(Ibidem)

A questo punto il periodo preparatorio è finito, i genitori dovrebbero essere pronti ad accogliere il bambino così tanto fantasticato fino a questo momento e che finalmente avrà un volto : il rischio forse più grave è quello di non riconoscere in quel volto il bambino che ci si attendeva.

Ma prima di riflettere del parto e delle sue implicazioni psicologiche sui membri della relazione, chiedo al Lettore di essere paziente, perché vorrei soffermarmi ancora sulla gravidanza, esaminandone questa volta gli aspetti sociali.

 

 

 


1.2.2. Aspetti sociali

 

 

E’ già stato affermato che la gravidanza è certamente un’esperienza unica e personale, ma regolata dal sistema sociale, al quale la maggior parte delle donne si uniforma. In questo non differisce da altri eventi della vita: tutto è inscritto in un più vasto contesto, che stabilisce delle norme a cui l’uomo in quanto creatura sociale difficilmente riesce a sottrarsi e dalle quali viene inconsciamente influenzato.

In questo paragrafo si tornerà su alcuni punti precedentemente accennati, che verranno approfonditi, e verranno fatte ulteriori riflessioni in proposito, cercando di cogliere i recenti mutamenti del costume.

Occorre precisare che la società di riferimento è quella occidentale.

Vorrei iniziare prendendo spunto da un articolo di Leta Hollingworth apparso sull’American Journal of Sociology, dal titolo Social devices for impelling women to bear and rear children (strategie sociali per spingere le donne a partorire ed educare i figli), che appare molto illuminante e ancora attuale nelle idee di fondo nonostante sia stato scritto nel 1916. (Hollingworth, L.S., 1916)

La Hollingworth si rifà all’opera di Ross Social Control (Ross, E.A.,1904), in cui l’autore afferma che l’opinione pubblica e la religione “cospirano” contro la donna per indurla a mettere da parte le aspirazioni personali occupandosi esclusivamente della cura dei figli, in modo da preservare la famiglia e lasciare all’uomo la prerogativa di occupare posti di rilievo in politica ed economia.

La Holligworth suggerisce di mettere momentaneamente da parte la concezione sentimentale e romantica della maternità per attenersi ai fatti, cita poi Sumner che stila un elenco di questi fatti partendo dal presupposto che gli interessi dei genitori e dei figli sono antagonisti, e che questo è specialmente vero nel caso delle madri. (Sumner, W.G.,1906)

Sumner paragona il procreare e accudire i figli al lavoro dei soldati: è necessario per la sopravvivenza di una nazione, implica il sacrificio delle esigenze personali, comparta rischi e sofferenze fino, in certi casi, alla perdita della vita.(Ibidem)

Negli esseri umani, i piccoli sono bisognosi di cure e incapaci di sopravvivere senza di esse per un lungo periodo dopo la nascita, ed è in un certo senso naturale che coloro che non sono biologicamente predisposti a fornire tali cure spingano chi lo è (le donne) ad occuparsene.

In effetti si può notare un consistente sforzo sociale volto a sviluppare e mantenere nelle donne il desiderio di procreare ed in seguito di occuparsi assiduamente della prole, anche se le donne sono comunque caratterizzate dall’istinto materno che garantisce loro capacità di sacrificio e tendenza naturale a sperimentare la maternità anche nei suoi svantaggi.[7]

Questi dunque sono i fatti. La società dal canto suo opera in modo da garantire il mantenimento e l’incremento della popolazione: una nazione deve garantirsi la sopravvivenza ed essere in grado di tollerare le perdite in caso di guerra o malattie.

Ross ha classificato i mezzi utilizzati dalla società per raggiungere tale scopo ed assicurarsi che l’individuo segua gli interessi del gruppo. Essi sono: l’opinione pubblica, la legge, la suggestione sociale, l’istruzione, il costume, la religione e l’arte. (Ross, E.A., 1904, op.cit. in Hollingworth,L.,1916).

In realtà, se alcuni di questi mezzi sono ancora oggi funzionanti ed efficaci, altri lo sono un po’ meno per via dei mutamenti della società e del ruolo della donna, ma come si è detto nel complesso tali modalità sono ancora  attuali. Vediamo in che modo esse operano e sono utilizzate per condizionare la donna.

Un esempio di controllo sociale è che le donne che non vogliono bambini sono considerate devianti (Becker,H.,1987), molti non esiterebbero a definirle anormali, specie tra gli uomini, che temono che una donna, investendo su altro dalla maternità, possa divenire una concorrente nell’ambiente lavorativo.

Ma onestamente bisogna riconoscere che la maggior parte di noi manifesta un certo stupore, seppure minimo, non dinanzi a una donna senza figli perché le circostanze non l’hanno permesso, ma a chi dice chiaramente di non voler essere madre. Molte persone sono inconsciamente persuase che la maternità sia un obbligo.

Ho già esposto la mia visione della cosa nel paragrafo sul desiderio di maternità[8], aggiungo solo, anche a rischio di generalizzare laddove occorrerebbe guardare i casi specifici, che secondo la prospettiva bowlbiana, colei che non si sente adatta al ruolo di madre e preferisce concentrarsi su altri obbiettivi non deve essere forzata a cambiare idea o fatta sentire come carente di qualcosa, si corre altrimenti il rischio di generare madri divenute tali per assecondare l’ideale proposto dalla società e che non sono effettivamente in grado di svolgere serenamente il proprio ruolo. Tutto ciò andrebbe a scapito del bambino innanzitutto, nonché delle sue future capacità genitoriali ed è a questo che bisogna pensare.

I giornali e gli altri mass media sono probabilmente i principali agenti nel formarsi dell’opinione pubblica. Il materiale e gli spunti di riflessione in proposito non mancano; vorrei sorvolare sui casi di foto o immagini di neonati abbandonati o prematuri, come nel recente caso degli otto gemelli partoriti da una donna italiana, e soffermarmi invece su altri esempi relativi al periodo della gravidanza. Esaminerò due aspetti in particolare: la grande quantità d’informazione oggi alla portata di tutti, e l’apparente inconciliabilità di due attributi femminili: la maternità e la seduzione.

I mezzi di comunicazione forniscono oggi una gran quantità d’informazioni relative alla gravidanza : è sufficiente acquistare un quotidiano o un periodico per avere a disposizione consigli di ogni sorta da parte degli esperti (medici, psicologi, sociologi) alle future mamme; per non parlare poi della stampa specializzata, vi sono infatti diverse testate dedicate ai genitori e ai figli, e delle trasmissioni televisive.

Il flusso d’informazioni è uno degli aspetti che differenziano l’attuale ambiente intorno alla maternità rispetto a quello di una volta, e i suoi effetti si possono in un certo senso paragonare a quelli delle nuove tecnologie ostetriche : contribuisce a diminuire i rischi e rende più consapevoli di ciò che si sta vivendo, ma può provocare dei conflitti e accrescere l’ansia.

Per chiarire questo punto prenderò come esempio il fumo in gravidanza: occorre conoscere i suoi effetti sul feto, ma può essere fonte di angoscia al pensiero di aver fumato quando ancora non si sapeva di essere incinta o alle possibili conseguenze dell’essere esposta al fumo passivo.

Anche Brazelton e Cramer affermano che le molte informazioni oggi disponibili accrescono le paure delle donne incinte: proprio il conoscere i rischi può rafforzare le angosce di partorire un bambino anormale. (Brazelton,T.,Cramer,B., 1991)

E le conseguenze non si limitano a questo. Restando sull’esempio sopracitato, un interessante reportage sul fumo in gravidanza trasmesso dalla televisione francese spiegava come fosse difficile per alcune donne incinte smettere di fumare e quale senso di colpa ne derivasse. Le donne che si sono sottoposte alla ricerca ammettevano che essendo delle “forti fumatrici”, come si suol dire, erano riuscite a ridurre considerevolmente il numero di sigarette (o di pacchetti!) giornalieri, consce dei rischi per il bambino che aspettavano, ma che non riuscivano a smettere.

Questo provocava in loro sensi di colpa, rimorsi, sentimenti d’inadeguatezza (“Non sono una buona madre”), e queste donne riconoscevano che le aspettative e il giudizio degli altri avevano un peso piuttosto considerevole sul loro modo di sentirsi. (cfr. Castelfranchi,C.,

et al., 1994).

Per offrire sostegno alle donne che si trovano in questa situazione, in Francia sono stati organizzati degli incontri di gruppo affiancati da professioniste.

Dopo le possibili conseguenze della ricchezza d’informazioni proposta dai media, veniamo al secondo aspetto: il ruolo dei mezzi di comunicazione sulla dicotomia donna madre/donna seduttiva.

E’ sempre esistita una discrepanza tra il ruolo erotico e quello materno ed è presente da tempo nella nostra cultura la tendenza a separare il sesso visto come piacere dal sesso visto come procreazione. (Brustia,P.,1996)

In questo quadro non stupisce che l’immagine di seduzione proposta dai media fosse antitetica a quella di una madre: quest’ultima ha sempre evocato tenerezza, nobiltà, sacrificio, difficilmente la si lega ad un’idea di erotismo.

Ma sembra che qualcosa stia cambiando. Lo fanno pensare decine di immagini di mamme famose e sexy che compaiono sui giornali e alla televisione. Oggi è quasi una moda per le dive del cinema, che da sempre vengono proposte come modelli ideali di bellezza e seduzione, esibire “pancioni” e bambini al seguito. Anche tra le top-models sta diventando comune farsi ritrarre incinte, in un tipo di fotografie molto simili a quelle che normalmente si vedono per dei servizi di moda: ciò che appare non è un ritratto della maternità, ma un’immagine di una donna bella, incinta e seducente e questo contribuisce a cambiare il gusto collettivo.

Fino a pochi anni fa difficilmente la gravidanza veniva associata alla seduzione, oggi una cosa non esclude l’altra, anche prima era così, forse è più corretto dire che adesso lo si riconosce.

Fino agli anni cinquanta le attrici considerate come dei “sex simbols” venivano invitate da chi si occupava della loro immagine se non proprio a nascondere, quantomeno a non rendere nota una loro eventuale maternità, per via di questo dualismo che vuole che una madre non possa essere vista come oggetto di desiderio; di recente, come si è già affermato, non mancano documentazioni di come le più belle e affermate esponenti del mondo di celluloide mostrino le loro gravidanze e i loro bambini con una certa fierezza, che forse non è solo la naturale fierezza di una mamma nei confronti del suo bambino, ma simboleggia in questo caso una vittoria della donna che riesce a essere al tempo stesso madre, creatura seducente e persona affermata in campo professionale, e una rivalsa sul maschio. (cfr. Rich, A., 1977).

Certo sono molti i passaggi che andrebbero citati e analizzati prima di tentare di descrivere i recenti mutamenti sociali e del costume, non si pretende in questa sede di farne un’analisi approfondita, ma di sottolineare alcuni degli aspetti che sono cambiati o sono in fase di cambiamento, individuarne i segnali e leggere dietro a tali differenze alcuni possibili significati.

Oggi si chiede molto alle donne, anche durante la gravidanza. (Rich,A.,1977)

Un tempo le si guardava con un occhio benevolo e compiaciuto mangiare in modo esagerato e ingrassare di parecchi chili, adesso si sa che non è vero che bisogna mangiare per due: (Badinter,E.,1981) il vantaggio è che vi è una maggiore consapevolezza dello stato in cui ci si trova e la donna non si sente in obbligo di sovralimentarsi per nutrire il figlio che sta aspettando, lo svantaggio è che non è possibile dare una veste altruistica alla soddisfazione dei propri desideri orali, così al gran numero di angosce che si sperimentano in gravidanza accade che vi si aggiunga quella legata all’esigenza di contenere l’aumento ponderale e mantenere un’immagine socialmente accettata. Non è raro trovare ginecologi tolleranti sul fumare una sigaretta di tanto in tanto ma che non esitano a mettere a dieta le “pazienti” che hanno anche solo un paio di chili in più rispetto all’aumento fisiologico dovuto alla gravidanza.

Questo ci fa capire che oltre alla salute della mamma e del suo piccolo, oggi si tiene in conto anche l’immagine della donna .

Un vantaggio secondario è che questo permette effettivamente di poter tornare al proprio peso con più facilità dopo il parto, oltre al fatto che limitando l’aumento ponderale si limitano anche i disturbi e gli inconvenienti fisici ad esso comunemente associati.(Boncinelli,V.,1993) D’altra parte lo stress di un regime alimentare controllato può essere ancor più pesante da tollerare in un periodo delicato come quello della gravidanza, specie in un’epoca in cui il peso dell’ideale fisico corrente impone costantemente sforzi per conquistare la forma desiderata.

Ritorneremo a queste tematiche nel paragrafo seguente, a proposito dell’immagine corporea.

Il tenere sotto controllo in modo particolare il peso in gravidanza è anche funzionale allo stile di vita attuale delle donne incinte: è lontana la figura della gravida che viene trattata quasi come se fosse una malata anche in assenza di complicazioni, che è invitata a non fare il minimo sforzo e a riposarsi. (Badinter,E.,1981). Sicuramente situazioni di questo tipo esistono ancora, ma accanto ad esse vi sono quelle in cui le protagoniste lavorano fino a uno stadio avanzato della gravidanza, fanno esercizio fisico (si predilige spesso il nuoto), insomma non modificano sostanzialmente le loro abitudini: in passato le donne hanno lottato per conquistarsi il diritto ad avere pari opportunità rispetto all’uomo, a lavorare, ad avere tutta una serie d’interessi che le spingessero fuori casa e non sempre sono disposte ad abbandonare tutto questo durante o dopo la gravidanza.(Romito, P., 1992)

Dunque le donne sono soddisfatte nel mostrare a se stesse e agli altri che l’essere madri non è una condizione limitante, allo stesso tempo sentono di dover fare ciò che la società si aspetta da loro: essere belle, smettere di fumare, non ingrassare troppo, adeguarsi alle nuove tecnologie, non trascurare il lavoro visto che l’hanno voluto, ma allo stesso tempo desiderare fortemente la maternità ed essere pronte ad andare incontro ad ogni tipo di sacrificio.

In particolare si vedrà oltre quali sono le implicazioni sulla relazione madre-bambino per le donne che lavorano.( cfr. Romito,P.,1992)

Tornando al controllo sociale, per dirla con le parole di Ross e della Hollingworth, sono stati fino a qui esposti gli effetti dell’opinione pubblica sul modo di percepire e di vivere la gravidanza, ma i mezzi d’informazione e comunicazione non sono gli unici ad esercitare un’influenza in proposito.

Anche la religione opera una forma di controllo sociale condannando la contraccezione e l’aborto; l’immagine della Madonna, poi, è considerata come l’immagine stessa della maternità, una maternità accettata senza condizioni e disgiunta dall’atto sessuale (quello della verginità di Maria è uno dei dogmi della Chiesa). (Ross, E.A.,1904, op.cit. in Hollingworth,L., 1916).

Perfino l’arte contribuisce alla creazione dell’ideale di maternità, oltre a riflettere le tendenze dell’uomo e la sua epoca: l’essere madre è uno dei soggetti preferiti da pittori e scultori, che lo rappresentano sia nella coppia madre-bambino, sia nel ritratto di una mamma; in questo processo l’arte si lega alla religione, in quanto sono numerosissimi i quadri che rappresentano la Madonna col bambino ed è già stato rimarcato come  Maria sia l’emblema della maternità. (Ibidem)

La poesia abbonda di allusioni alla sacralità e al fascino dell’essere madre.

Moltissime canzoni sono state dedicate alle mamme in ogni epoca. (Ibid.)

La Hollingworth, proseguendo la sua analisi, si sofferma anche su aspetti meno espliciti, come il fatto che molto più spesso si richiami l’attenzione pubblica sui casi di mortalità infantile che su quelli di mortalità della madre durante il parto. I rischi e i pericoli della gravidanza sono spesso stati considerati un taboo o minimizzati, ma probabilmente non è solo per contribuire a rendere la maternità desiderabile, ma anche per diminuire le angosce delle donne. (Hollingworth,L.,1916)

Infine c’è un’ulteriore categoria di strategie sociali di condizionamento che non sembrano rientrare nelle categorie proposte da Ross: sono dei luoghi comuni, delle convinzioni che vengono trasmesse nella vita di tutti i giorni e che possono facilmente costituire un condizionamento. Ad esempio è convinzione comune che sia meglio avere figli quando si è giovani, convinzione per la verità sostenuta in parte da criteri biologici ed evidenze empiriche, questo fa sì che non si voglia rimandare troppo la gravidanza.

Un’altra convinzione con riscontri empirici più discutibili è che le madri vivano più a lungo. E ancora è opinione diffusa che i figli unici crescano peggio: l’ennesimo incentivo a procreare.(Ibidem)

McDougall e Ross suggeriscono che quando queste strategie sociali per spingere la donna ad avere bambini e ad occuparsi di loro non funzioneranno più, probabilmente ne sorgeranno di nuove, anzi prospettano che se questi mezzi economici non bastassero, ne verrebbero messi in atto di più costosi: preservare il futuro della nazione non è comunque in nessun caso antieconomico.(McDougall, W.,1908, op.cit. in Hollingworth,L.,1916)

In caso contrario, ci sarà sempre il naturale desiderio di maternità a matrice biologica a garantire la prosecuzione della specie: qualcosa di più potente e radicato delle influenze sociali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


1.2.3 L’immagine corporea in gravidanza

 

 

Uno degli aspetti più caratteristici della gravidanza è il cambiamento che avviene a livello corporeo.

Tale fenomeno comporta conseguenze biologiche e psicologiche, queste ultime profondamente legate ai mutamenti esterni visibili e alla percezione di sé.

I processi che avvengono all’interno del nostro corpo ne influenzano l’immagine; noi abbiamo una percezione corporea che deriva dalle sensazioni interne (quello che Scheler chiama leib[9], un corpo interno), ed una percezione derivante dall’esterno, dall’immagine che proviene dal di fuori e che può essere influenzata da quella che gli altri hanno di noi.

La gravidanza è il vivere di due organismi in uno spazio condiviso.

In tale spazio il bambino è ospite, dal punto di vista biologico è un parassita, poiché non fornisce nulla che contribuisca alla sopravvivenza dell’organismo che lo contiene e al contrario sopravvive grazie ad esso (Ferenczi parla del bambino come di un endoparassita). (Ferenczi,S.,1913, op.cit. in Brustia, P., 1996, pag.231).

Questo elemento può essere vissuto come una minaccia per la propria identità, così come il modificare la propria immagine, che comporta la perdita del primo Sé corporeo. (Brustia,P.,1996, Ferraro, F. et al., 1985)

A causa di tale perdita si necessita una sorta di elaborazione del lutto prima che avvenga nella donna una completa accettazione del nuovo stato.

Il cambiamento esteriore testimonia quello che avviene interiormente, dove la madre dovrà fare spazio sia fisicamente che psicologicamente al suo bambino. Per “fargli spazio” deve quindi morire e rinascere, superare la crisi d’identità ed evolversi, il tutto nello spazio di nove mesi.(Ibidem)

Secondo la terminologia proposta da Ferraro e Nunziante Cesaro, dunque, dallo spazio cavo originario si passa al corpo saturato. (Ibid.)

L’accettazione dell’esistenza di un organismo ospite-parassita comporta anche l’accettazione dei cambiamenti che quest’ultimo provoca, primi fra tutti i mutamenti corporei: laddove parlando di corpo si intende comprendere i fenomeni biologici, ovvero interni, e quelli relativi alla immagine, vale a dire esterni.

La comprensione che una tale rivoluzione é necessaria e funzionale ad accogliere un figlio indica che é in atto una corretta elaborazione dei vissuti legati alla gravidanza. (Langer,M.,1951)

Non si tratta pero` di una rivoluzione silente poiché quello che avviene interiormente si manifesta all'esterno, e si ripercuote sull’immagine in cui noi ci specchiamo e che rimandiamo agli altri.

Si potrebbe quindi operare una distinzione fra corporeità e fisicità, secondo cui il termine “corporeità” sta a indicare l’unità fra i processi fisiologici interni e il loro corrispondente sull’aspetto esteriore; “fisicità” simboleggia un’immagine, che coinvolge la percezione di sé e il rapporto con gli altri.

Queste considerazioni, nonché quelle che seguiranno, si basano su di un assunto fondamentale: esiste una corrispondenza continua tra fattori organici e fattori psichici; i due tipi di fenomeni non sono separati da una barriera invalicabile, ma al contrario si fondono e si influenzano a vicenda. (Schilder,P.,1935)

Al tempo di Freud l’isteria era un disturbo diffuso tra le donne: un perfetto esempio della conversione somatica di un disagio psichico, un modo in fondo per mostrare chiaramente il disagio e poter chiedere quindi aiuto.

La donna incinta, al contrario, non ha “bisogno di farsi vedere”, é anzi fin troppo visibile e non é detto che desideri sempre esserlo.

Per accogliere il bambino é necessario rendere concava l’immagine corporea , che significa soprattutto assecondare dal punto di vista psichico ciò che avviene naturalmente a livello fisico, essere pronte a ricevere, a fare spazio.(Ferraro, F., et al.,1985)

La capacità di accogliere e di formare uno spazio interiore é alla base non solo della gravidanza, ma della maternità in generale: dallo spazio reso cavo e riempito del ventre materno, si passa allo spazio cavo dell’abbraccio materno che delimita e contiene (holding). (cfr. Brustia, P., 1996)

Ma le vicende connesse allo spazio cavo e alle dinamiche pieno-vuoto hanno una lunga storia nello sviluppo della femminilità, quindi non hanno inizio in gravidanza, ma vanno pensate come inscritte in una circolarità.

Sono vicende spesso connesse con gli orifizi e le cavità corporee (basti pensare alle fantasie infantili di espulsione del bambino con la stessa modalità con cui vengono espulse le feci).

L’importanza fisiologica di tutte le aperture del corpo é ovvia, dal momento che é per mezzo di tali aperture che noi entriamo in contatto col mondo. (Schilder,P.,1935)

Queste aperture rivestono anche un’importanza erotica, che si concentra su alcune di esse a seconda della fase di sviluppo psicosessuale (ad esempio la bocca nella fase orale), inoltre si tratta di aperture tramite le quali compiamo le nostre funzioni vitali : dunque l’energia si raccoglie spesso intorno a questi punti. (Peri,G.,1992)

Avendo sottolineato l’importanza di cavità, orifizi e zone erogene, si può desumere che l’immagine corporea non é sempre un’immagine unitaria .

In differenti momenti una o alcune parti assumono un rilievo maggiore: questo é un processo naturale, nonché funzionale a certe fasi di sviluppo, ma può generare delle sproporzioni.

Come sottolinea Schilder, ogniqualvolta una singola parte acquisti un rilievo preminente, la simmetria e l’equilibrio interni dell’immagine corporea saranno sconvolti. Ebbene in gravidanza esiste decisamente questa sproporzione.(Schilder,P.,1935)

Ma Schilder riflette anche sulla differenza fra le parti del corpo visibili e quelle non visibili, e sul problema del dolore, non solo da un punto di vista fisiologico: egli sostiene che quando si é colpiti da un dolore organico, il modello corporeo subisce una modificazione nella struttura libidica e tutte le energie afferiscono all’organo malato, come del resto hanno messo in rilievo Freud e Ferenczi.

Il modello posturale del corpo é dunque sovraccaricato nella parte dolente di libido narcisistica. Col mutamento erotico si verifica anche un mutamento percettivo per cui la mano va a toccare la parte che duole.(Ibid.)

Analogamente, si deduce che la pancia della donna incinta possa essere considerata in tal senso come un organo dolente: le sue dimensioni e il suo inestimabile contenuto creano attorno ad essa un sovraccarico di energia: l’organo dolente (per estensione del termine in questo caso, ma anche perché a volte é realmente sede di dolori), diventa un centro di rinnovata sperimentazione corporea ed assume il ruolo che di solito é tenuto dalle zone erogene.

Dolore, zone cariche di energia libidica, l’azione della mano sul nostro corpo, e l’interesse degli altri per esso, interesse che aumenta in condizioni di particolare visibilità, sono tutti fattori importanti nella strutturazione definitiva dell’immagine corporea.

Schilder insiste sul fatto che l’interesse che gli altri provano per il nostro corpo nelle sue differenti parti, e che le altre persone ci tocchino é di enorme importanza nello sviluppo dell’immagine corporea: essa cresce e si arricchisce sulle varie esperienze di contatto col mondo.(Schilder,P.,1935) Esperienze di questo tipo sono frequenti durante la gravidanza: molti esprimono il desiderio di toccare il ventre di una donna incinta, le persone legate affettivamente alla mamma e al nascituro in molti casi lo accarezzano e lo baciano.

La libido narcisistica ha come proprio oggetto l’immagine corporea.(Ibid.)

Non vi é libido o energia senza un oggetto al quale essa sia congiunta, e gli oggetti sono parte del mondo che ci circonda. Anche il nostro corpo esiste quindi in quanto parte del mondo.

Non c’è dunque una netta demarcazione fra il corpo e il mondo circostante, e si è detto quanto sia importante il contatto con l’ambiente circostante per la formazione dell’immagine corporea, ma se tale contatto arricchisce, può anche essere fonte di complessi.

La donna incinta vede aumentare sempre di più le dimensioni di alcune parti del proprio corpo, soprattutto il ventre e il seno, può quindi non riconoscersi più in questo nuovo corpo e talvolta sentirsi brutta. (Boncinelli,V.,1993)

Un simile disagio comincia di solito nel momento in cui gli abiti che si portano abitualmente non si riescono più ad indossare.

Nel momento in cui i cambiamenti fisici sono palesi, l’angoscia, come si é già detto precedentemente, può sorgere sotto diverse forme: fra esse vi é anche il timore di vedersi sformata e di non poter più tornare come si era prima (il fatto che la maternità sia una condizione di non-ritorno si estende nel caso di queste preoccupazioni anche all’aspetto fisico).

Questa sensazione di essere brutta non deve essere considerata con leggerezza perché é alla base di molte depressioni e scatena sentimenti di gelosia verso il partner, di cui si teme l’allontanamento e l’infedeltà. (Soifer,R.,1985)

Ne consegue anche una diminuzione del desiderio sessuale che fomenta ancor di più sentimenti di gelosia. (Ibidem)

Ancora una volta la donna può trovare conforto nell’affetto e nel sostegno delle persone che la circondano, e che potranno aiutarla a ritrovare fiducia e a costruire quell’immagine corporea che, al pari dell’identità, é messa a dura prova in questi mesi così delicati e importanti.

 

 


1.3. Il  parto: separarsi per unirsi

 

 

Il momento del parto è un momento di passaggio da uno stato provvisorio, la gravidanza, ad uno definitivo, l’essere madre .

Esso rappresenta dunque una transizione dalla condizione di gravida a quella di madre. La gravidanza, stato passeggero e preparatorio, inizia questa transizione con l’abbandono della condizione di figlia a favore di quella di futura madre.

La figlia diventa dunque una donna che aspetta un bambino e poi una madre.

Il periodo gestazionale ha quindi consentito un passaggio meno brusco dalla condizione di figlia a quella di non-ritorno di madre e ha inoltre permesso la sviluppo fisico del feto e quello psicologico della madre.

Al termine della gravidanza il bambino è formato e pronto per nascere e la madre è quasi sempre pronta per riceverlo.(Brazelton,T.B.,1991)

Ma questo nuovo inizio, per quanto naturale, atteso e preparato da mesi, implica una rielaborazione della realtà e un nuovo processo di adattamento per la madre.(Brustia,P.,1996)

Vi sono diverse letture possibili dell’evento parto: biologica, sociale, medico-scientifica, antropologica, così come sono molteplici le sue implicazioni a livello psicodinamico.(Oakley,A.,1985)

Il significato biologico del parto è la separazione di due organismi che fino ad allora avevano vissuto uniti, l’uno dentro l’altro e in uno stato di assoluta dipendenza; da questo momento il bambino si farà carico di tutte quelle funzioni fisiologiche prima espletate dalla madre. (Boncinelli,V.,1993)

Il parto è anche un fatto sociale con cui un nuovo essere umano viene incorporato nella società e contribuisce alla sua sopravvivenza.

Momento riproduttivo e momento sociale trovano il loro punto d’incontro nelle donne, che rappresentano il legame fra natura e cultura: un legame così unico e potente che può spaventare e che per questo la società patriarcale e le istituzioni hanno cercato in diversi modi di controllare.(Oakley, A.,1985)

Ann Oakley definisce il parto un evento biosociale: è biologico perché accade al corpo in quanto entità a sé stante e perché soggiace al meccanismo di leggi fisiche; è sociale perché la capacità della donna di dare alla luce dei figli la pone in una posizione ben precisa all’interno della società e implica l’impossibilità di allevarli senza toccare altri aspetti della propria vita, ad esempio quelli lavorativi.(Ibidem)

E’ probabile che il significato sociale possa estendersi all’esperienza della maternità in generale più che all’evento del parto in sé, e ne è già stata fatta menzione in questa sede.

Da non trascurare è l’aspetto medico: oggi in molti Paesi quasi tutte le nascite sono istituzionalizzate. La ragione ufficiale è che l’ospedalizzazione garantisce sicurezza per la mamma e il bambino specie in caso di complicazioni, ma spesso più che per le donne si tratta di una conquista per la professione medica, il cui ruolo sta assumendo un’importanza crescente nel processo che conduce alla nascita.

Molte autrici sono concordi nella critica ad un eccessivo approccio medico-scientifico al parto, e al fatto che quest’ultimo sia spesso considerato alla stregua di una malattia e trattato di conseguenza (Rich,A.,1977,Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992). Così si esprime Adrienne Rich in proposito : “Niles Newton racconta che gli indiani Cuna del Panama considerano il parto un fatto tanto anormale che la donna si reca ogni giorno dallo stregone, durante la gravidanza, per averne medicine e consigli, e durante il parto è continuamente assistita dal medico. Nello stesso modo nei nostri ospedali d’oggi il parto viene spesso considerato alla stregua di un’operazione, e sempre come un fatto che richiede l’intervento del medico”. (Rich,A.,1977, pag.163)

Silvia Vegetti Finzi (1985) sostiene che la scienza medica ha per oggetto le malattie, perciò se essa contempla il parto lo fa equiparandolo ad un morbo, così da poterlo meglio definire.(Vegetti Finzi,S., op.cit. in Oakley,A.,1985)

Ann Oakley mette in evidenza come la pratica del partorire supine vada a vantaggio del medico, abituato a visitare e ad interagire con pazienti distese, e non della partoriente; la Oakley è inoltre convinta che la causa di travagli difficili e parti strumentali risieda anche in tale pratica. Anche l’assistenza pre-natale coincide attualmente con le pratiche tecnologiche (come ecografia e amniocentesi, di cui si è già discusso). (Ibidem)

Piuttosto critica in proposito è la posizione di Patrizia Romito, secondo la quale la medicalizzazione della gravidanza e del parto ha le sue origini in una società ed in una cultura maschiliste, meccanicistiche e tecnologiche, in cui il corpo della donna e le sue capacità riproduttive sono viste come difettose e inaffidabili. La Romito prosegue segnalando che tale tendenza è stata sostenuta per motivi d’interesse personale e professionale dalla classe medica (anche Oakley concorda), ma anche da quelle donne che desideravano ridurre i rischi e il dolore da sempre associati all’atto di partorire.(Romito,P.,1992). Sul dolore nel parto si tornerà più avanti.

Nella nostra storia il parto è rimasto a lungo un evento essenzialmente domestico, racchiuso nell’ambito della famiglia e del vicinato. Se si accosta la memoria di un simile passato al parto ospedaliero di oggi, non si può non avvertire un senso di discontinuità. Numerose rappresentazioni delle culture del passato (dal mito, al rito, alla tragedia), portano testimonianze di un sapere arcaico del corpo femminile che è stato del tutto bandito in seguito al consolidarsi del sapere medico. (Oakley,A.,1985)

Da un punto di vista antropologico, il parto si può considerare come un rito di passaggio. Van Gennep ha scritto che in tutte le società, la vita di un individuo è scandita da una serie di riti che sanzionano pubblicamente il passaggio da una condizione sociale a un’altra. (Van Gennep, op.cit. in Fabietti, U., 1991)

Più una società è primitiva e più i riti hanno un carattere cerimoniale.

Van Gennep distingue tre fasi in ogni rito di passaggio: separazione (riti preliminari), margine (riti liminari) e aggregazione (riti postliminari); la fase più importante è a suo parere quella intermedia perché consente un passaggio meno traumatico da una condizione all’altra. (Ibidem)

Ora, il parto può essere visto come un rito di passaggio perché si abbandona una condizione a favore di un’altra e perché tale passaggio è inscritto nella società ed essa vi partecipa, ma a cosa si possono far corrispondere le tre fasi di Van Gennep in questo caso?

I momenti che precedono l’evento, come l’inizio del travaglio e l’ingresso in sala parto, possono essere considerati riti preliminari e come tali fanno già parte della fase di separazione, mentre l’unione col bambino già nato fa parte dei riti postliminari e s’inserisce nella fase di aggregazione (termine apparentemente più appropriato per riferirsi alla gravidanza, ma in realtà calzante per descrivere l’incontro col bambino).

L’unico punto che contrasta con la definizione data da Van Gennep è la fase intermedia, nella quale secondo quanto detto sopra si dovrebbe inserire il parto vero e proprio, ma che in realtà non consente un passaggio meno traumatico da uno stato all’altro poiché rappresenta esso stesso un trauma.

Ciò che conta è comunque il significato simbolico del rito di passaggio, e il fatto che esso aiuti coi riti che lo circondano a comprendere ed accettare la transitabilità da una condizione ad un’altra.

Per quanto riguarda il significato psicologico, un aspetto degno di nota è il nuovo processo di adattamento al quale va incontro la madre: dopo aver affrontato numerose angosce durante la gravidanza, era giunta ad adattarsi a questo stato e ad accettare il feto come facente parte del proprio schema corporeo, e ora deve passare attraverso un nuovo processo di adattamento.

La perdita di uno stato e il passaggio ad un altro, riattiva profonde angosce nella partoriente (Soifer,R.,1985)

In gravidanza il bambino è un oggetto solo potenziale, col parto diventerà reale. Scrive la Deutsch in proposito: “L’accettazione realistica del figlio come un oggetto futuro, che deve essere amato in quanto tale, non può far tacere completamente la riluttanza intima che la donna prova a perdere l’unione attuale, profondamente soddisfacente”.(Deutsch,H.,1945,pag.156)

Si ha paura della separazione, ma l’idea lieta del bambino serve ad addolcire e mitigare tale timore.(Ibidem)

Al momento del parto sono diversi i “compiti” che la donna deve svolgere, tra cui principalmente: reagire allo choc della separazione anatomica, adattarsi al bambino reale che si scontra con quello fantasticato fino a questo momento, investirsi in una nuova relazione in cui combinare i propri bisogni con quelli del bambino.(Brazelton,T.,Cramer,B.,1991)

Si tenterà di esaminare questi compiti nel dettaglio.


1.3.1 Il trauma della separazione anatomica

 

 

Col parto viene interrotto quel dialogo silenzioso nello spazio condiviso del corpo materno.

La separazione dà origine alla vita, ma per le donne essa è spesso emblema di perdita.

Accade per il parto ciò che si verifica in molte situazioni: si sono fatti dei sacrifici e si sono sperimentate angosce prima di adattarsi ad uno stato non sempre facile da vivere come quello della gravidanza, e quando infine ci si è riusciti, si deve abbandonare una condizione ormai nota a favore di una sconosciuta e ancor più impegnativa: essere madre.

L’identificazione col feto aveva aiutato la madre a non percepirlo come un elemento disturbatore, il feto era dunque stato accettato perché facente parte del corpo fisico e mentale della mamma: ecco perchè col partorire la donna accoglie un bimbo (sconosciuto), ma perde irrimediabilmente una parte di sé. (Deutsch,H.,1945, Brustia,P.,1996)

E’ perciò molto importante che la madre realizzi davvero che il bambino è un essere indipendente, ed un oggetto reale e non potenziale come era il feto, perché il parto non venga vissuto come una dolorosa separazione da una parte del proprio Io. (Ibidem)

Scrive Hélène Deutsch che il bambino è psicologicamente ciò che il feto è biologicamente, cioè una parte della personalità della madre. Il processo biologico ha creato un’unità tra madre e figlio, per cui la sostanza organica dell’uno passa all’altro. Lo stesso si verifica in campo psichico: grazie ad una tenera identificazione che la porta a vedere nel frutto del proprio corpo una parte di se stessa, la donna incinta riesce a trasformare il “parassita” in un essere amato. (Ibid.,pag.137). Si può dunque comprendere perché la separazione può risultare dolorosa: essa può essere vissuta come una mutilazione se si pensa che una parte di sé verrà perduta, o può essere considerata più obbiettivamente e causare l’angoscia di perdere il bambino perché egli lascerà il ventre materno e quindi “non sarà più qui” (Ibid.,pag.157).

A questo proposito la Deutsch afferma anche che la paura della morte al parto non deriva solo dal fatto che si tratti di un timore realistico, ma ha origine nella sensazione di perdere una parte di sé. (Ibid.)

Questo spiega come mai la paura di morire di parto permanga tutt’oggi nella nostra società, nonostante rappresenti un’eventualità piuttosto remota in condizioni normali (laddove per normali si vuole intendere non patologiche).

L’angoscia di fronte al cambiamento è una ripetizione del trauma della nascita, alla base del quale vi è l’angoscia di separazione. (Langer,M.,1951)

Essa è provocata dal riadattamento, la Soifer ne sottolinea due aspetti: la paura della perdita e quella di un attacco da parte dell’ignoto. (Soifer,R.,1985)

“Nella donna che dà alla luce il primo figlio c’è in primo luogo la paura dell’ignoto. (…) La paura della morte è inseparabile dalla paura dell’ignoto.” ( Rich, A.,1977, pag.163).

L’ignoto è rappresentato in larga misura proprio dal bambino, una creatura familiare ma allo stesso tempo mai veramente vista o toccata.

“Durante il travaglio la coscienza è ridotta e le influenze psichiche incoscienti hanno via libera.” (Deutsch,H.,1945, pag.222).

Nel periodo espulsivo si riacutizzano le angosce e si risvegliano diversi fantasmi, come il fantasma di svuotamento; esso è collegato al timore della perdita di una parte di sé e può essere superato grazie al desiderio di dare alla luce il bambino. Se viceversa questo fantasma s’intensifica, ostacola la capacità di collaborazione della partoriente e causa l’inibizione delle contrazioni uterine e il conseguente impiego del forcipe, strumento che invade drammaticamente lo spazio madre-bambino e che davvero rende traumatico il momento della separazione.(Soifer,R,1985,Brazelton,T.,1991)

Un altro aspetto che contribuisce a incrementare i timori relativi al momento di partorire è il dolore.

Alcune ricerche hanno messo in luce che circa l’ottanta per cento delle donne dopo il parto dichiara di aver provato più dolore di quanto non si aspettasse.[10] (Fonte: Romito,P.,1992)

Ann Oakley segnala come molte donne siano spaventate dal parto, in quanto ne sopravvalutano i rischi e la pericolosità e sottovalutano invece la propria capacità di farvi fronte. Anche secondo Hélène Deutsch molte donne non si sentono all’altezza di affrontare il parto.

Si può dedurre che dietro questo sentimento d’inadeguatezza si celi anche la paura di soffrire, e quella di soffrire inutilmente (ovvero mettere al mondo un bambino che non è sano).

Il concetto di dolore è del resto da sempre associato al parto: il monito biblico “Partorirai nel dolore”, punizione divina alla quale non ci si può sottrarre, ci segue da millenni; la stessa parola travaglio etimologicamente significa lavoro e sofferenza, non solo nella lingua italiana.

Silvia Vegetti Finzi sostiene che evidentemente bisogna imparare attraverso la punizione e la sofferenza, come si conviene ad un modello sempre diffuso di educazione, e questo vale anche per l’imparare ad essere madri.(Vegetti Finzi, S., op.cit. in Oakley,A., 1985).

Ciò che aiuta la donna a sopportare il dolore che tutto il processo riproduttivo comporta, è una certa dose di masochismo, associata al senso di colpa che in gravidanza è particolarmente intenso.(Deutsch,H.,1945)

Hélène Deutsch propone un’analogia tra parto e coito, così che subito dopo può affiorare un senso di delusione, un po’ come la tristezza post coitum, ma questo avviene prima, o anche dopo aver provato l’estasi della maternità. (Ibidem)

Le ultime tracce d’ansia si manifestano nel chiedere e controllare se il bambino è normale, e finalmente la donna, libera da dolore e paura, prova trionfo ed estasi e va verso l’incontro con suo figlio.

La paura della separazione, il dolore del parto e i rischi che esso comporta sono un tabù, non se ne parla molto perché se ne privilegiano aspetti più gradevoli (si è visto come ciò rientri anche in un più ampio disegno di strategie sociali per rendere la maternità desiderabile), tuttavia non bisogna aver paura di parlarne: in ogni storia d’amore, in ogni esperienza piacevole, c’è o c’è stata una componente o un momento di sofferenza, ma questo non la immiserisce, anzi accresce il suo valore.

Del resto, se siamo al mondo così numerosi significa che la spinta alla vita e a dare la vita è comunque più forte di qualunque paura, in ultima analisi essa riveste principalmente il ruolo di una difesa: la paura dell’ignoto altro non è dunque che una difesa contro l’ignoto.

 


1.3.2 “Incontro” tra il bambino immaginario e il bambino reale

 

 

Per la madre, aver accettato la separazione anatomica implica che si percepisce il bambino come individuo, come altro da sé, e che pertanto non si vive il distacco come una perdita di una parte del proprio Io.

Ma questo è solo un primo passo: il considerare il bambino come oggetto reale non è un puro mezzo per tollerare il momento della separazione, ma deve far parte di un più ampio processo in cui lo si deve vedere e accettare per quello che realmente è, non per come era stato pensato e desiderato durante l’attesa.

Le aspettative idilliache che avevano contribuito a rendere accettabili le difficoltà tipiche della gravidanza, non devono ora diventare un ostacolo per l’instaurarsi di una buona relazione col neonato.

In gravidanza il bambino era presente ma non tangibile, reale ma con caratteristiche derivanti dalla fantasia. Per la sua peculiare condizione di presenza e allo stesso tempo assenza, al feto vengono attribuite tutta una serie di caratteristiche per dare corpo ad un essere che è fortemente presente, ma che non conosciamo, altrimenti è come se intrattenessimo un dialogo con una persona senza volto: certamente ci spaventeremmo.

Dunque il nascituro acquista dei tratti e viene caricato di molte aspettative, prima fra tutte quella, perlopiù inconscia, che alla nascita egli confermi i tratti che gli sono stati attribuiti.

D’altro canto è abbastanza difficile che il piccolo sia esattamente come era stato figurato (non si vuole intendere come lo si voleva), di qui possono nascere delle difficoltà.

Dopo la nascita, dunque, non avviene solo l’incontro fra la mamma, il papà e il resto della famiglia e il bambino, ma anche quello tra il bambino immaginario preesistente, e il bambino reale che si vede ora per la prima volta. (Brazelton,T., Cramer,B.,1991)

Come sottolineano Brazelton e Cramer, durante la gravidanza, parallelamente alla crescita del feto vi è uno sviluppo progressivo della sua rappresentazione ad opera della madre, rappresentazione fondata sia sui bisogni e le aspirazioni narcisistiche, che sulle percezioni dello sviluppo del feto. (Ibidem)

E’ ora necessario elaborare il lutto per la perdita di questo bambino immaginario e adattarsi alle caratteristiche particolari del proprio bambino.

Questi autori continuano mettendo in evidenza che si tende a dare un senso al comportamento del bambino già a partire dal momento in cui si trova nel ventre materno, attribuendo a dei tratti caratteriali ogni movimento che compie; tali attribuzioni di senso corrispondono a delle proiezioni dell’immagine che si ha di se stessi. Questo è un modo per introdurre il bambino nel mondo simbolico dell’adulto. (Ibid.)

Scrive in proposito Brustia: “Lo stimolo percettivo può essere utilizzato come spunto per dar sfogo a tutto l’immaginario relativo a come sarà il bambino, che carattere avrà, consentendo identificazioni con tratti del carattere e comportamenti dei genitori (è tranquillo come suo padre)”.[11] (Brustia,P.,1996, pag.223).

La riuscita dell’essere madre dipende in gran parte dall’equilibrio tra l’identificazione proiettiva e l’empatia da un lato, e una lettura obbiettiva del bambino dall’altro.

Purtroppo, ogni neonato porta con sé un potenziale di disillusione, nel senso che difficilmente corrisponde alle fantasie dei genitori. (Bowlby,J.,1983)

Nel momento in cui ci si renderà conto della discrepanza tra l’immagine che si aveva del bambino e quella reale, può nascere un sentimento di delusione, specie se tale discrepanza è netta, come ad esempio nei casi di parto prematuro, del quale si parlerà oltre.(Brazelton,T., e Cramer,B.,1991)

In assenza di processi patologici, dopo un certo tempo la madre accetterà la perdita del bambino della fantasia che l’aveva accompagnata per molte settimane e si adatterà al neonato col quale instaurerà una nuova relazione, per altro favorita dal bambino stesso. (Schaffer,H.R., 1977)

L’immagine che si aveva prima dell’incontro col bambino della realtà è un’immagine composita, perché formata dalle proiezioni delle aspettative, dalle proiezioni di parti di sé e dalle proiezioni di immagini derivanti da attaccamenti precedenti. Anche per questo si tratta di processi che non devono essere considerati come un rifiuto del bambino in sé, ma come un adattamento progressivo a questo piccolo sconosciuto. (Ibidem)

Del resto i meccanismi di proiezione fanno parte di un funzionamento normale, diventano patologici solo nel momento in cui prendono dimensioni e caratteristiche estreme.

Il bimbo appena nato incarna e realizza le aspettative dei genitori, specie quella immediata di avere un figlio sano e normale, nel caso che non vi siano anomalie, ma contemporaneamente, come si è detto, se ne allontana.

Per alcune donne, il primo incontro con il bambino risulta essere un’esperienza piuttosto deludente. In ogni caso le reazioni e i sentimenti immediatamente dopo il parto variano molto da donna a donna e spesso appaiono contraddittori . (Brazelton,T. e Cramer,B.,1991, Romito,P.,1992)

Patrizia Romito ha condotto una ricerca in proposito, chiedendo alle madri cosa avessero provato dopo il parto, e tra i risultati compaiono questi dati: il 7% delle donne intervistate aveva riferito una reazione negativa, un terzo una reazione positiva, ma il dato più interessante è che il 59% ha risposto di non aver avuto la reazione che si aspettava.[12]  (Fonte: Romito,P.,1992)

Ecco dunque che in alcuni casi le conoscenze sul parto, o ad esempio sul dolore che si prova, e le relative aspettative, producono effetti diversi: in taluni casi l’aspettativa di provare una grande sofferenza è tale che questo accade realmente, in altri la prova da superare appare meno difficile del previsto proprio perché si era preparate al peggio.

I sentimenti sperimentati al primo incontro col bambino sono svariati: indifferenza, felicità immediata, una gioia più cauta, commozione, delusione, assenza di reazioni evidenti. La ricerca evidenzia che le reazioni di indifferenza non hanno nessuna influenza sui sentimenti che la madre sviluppa in seguito. (Ibidem)

Al fine di favorire l’attaccamento al bambino reale e superare la perdita di quello immaginario, può essere utile un’interazione fisica immediatamente dopo la nascita (secondo Klaus e Kennell è necessario): questa pratica è oggi ampiamente utilizzata e il bambino viene dato alla madre almeno per qualche istante subito dopo la nascita.

A questa pratica spesso segue quella del rooming-in, ovvero si lascia il neonato in stanza con la mamma anziché metterlo nel nido.

Questo è gradito a un gran numero di madri e può avere delle conseguenze positive sull’allattamento, oltre che favorire l’instaurarsi di quel particolarissimo dialogo fra la mamma e il suo piccolo; non deve però essere un’imposizione, anche perché nel caso in cui la donna sia troppo stanca e provata dal parto e non si senta ancora pronta a stabilire il legame con il figlio, le conseguenze sarebbero negative: il vero incontro col bambino, quello intimo non ne trarrebbe certamente vantaggio e la madre sperimenterebbe con molta probabilità il senso di colpa per non essere in grado di svolgere il suo ruolo. Alcune donne desiderano che dopo il parto sia il personale della maternità a prendersi cura del bambino, soprattutto durante la notte, perché hanno bisogno di riposo e per motivi di sicurezza.

E’ per questo che anche il luogo dove avviene l’incontro ha il suo peso.

Essere sensibili ai bisogni delle madri è un dovere, e inoltre va a tutto beneficio del bambino appena nato e della relazione.


1.4 Dopo il parto: puerperio e allattamento

 

 

Si è visto come immediatamente dopo il parto, le madri provino sentimenti diversi e spesso contraddittori nei confronti del figlio che incontrano per la prima volta. (Romito,P.,1992)

Si è detto anche che avviene un altro “incontro” fondamentale: quello fra il bambino immaginario che era esistito fino a quel momento, e il bambino reale che comincia a esistere solo ora e che verrà sovrapposto alle fantasie ed aspettative che l’hanno preceduto, nella speranza più o meno inconscia che combaci con esse.

Ma molte cose possono cambiare nelle prime settimane dopo il parto, a volte anche nei giorni che seguono. Un’esperienza che a quest’epoca fa solitamente la sua comparsa e che forse più di tutte è degna di nota è quella dell’allattamento.

Si è parlato e si farà riferimento in seguito alle prime settimane successive alla nascita poiché il puerperio viene comunemente definito come il periodo che segue il parto e il secondamento, fino al ritorno alle condizioni normali. Tale periodo dura approssimativamente 60 giorni, ma chiaramente varia da persona a persona e il limite in termini di durata non è da concepirsi rigidamente.

Il lavoro psichico richiesto alla puerpera consiste essenzialmente nella riorganizzazione del proprio mondo interiore in base ai nuovi dati di realtà, e non è cosa da poco, considerando anche si tratta di un’ulteriore rielaborazione nello spazio di alcuni mesi, dato che lo stesso tipo di lavoro si era reso necessario già  in gravidanza. Ciò accade, dunque, ogni volta che si verifica un cambiamento sostanziale del proprio stato.

E’ in questo periodo che si pongono le basi dell’attaccamento, le cui premesse esistono già durante la gravidanza, e la cui origine risiede essenzialmente in attaccamenti e relazioni precedenti. (Bowlby,J.,1972)

Solitamente giunge un momento in cui la mamma sente che il bambino è davvero suo; per alcune donne questo accade molto presto: in genere quando tengono in braccio il figlio per la prima volta o quando per la prima volta si guardano negli occhi. Per una minoranza di primipare che partoriscono in ospedale, questa sensazione può farsi attendere fino ad una settimana, cioè quando di solito tornano a casa propria.(Bowlby,J.,1989)

L’allattamento è un momento fondamentale del legame precoce madre-bambino, ne costituisce l’essenza e il suo buon svolgimento è quasi sempre un indicatore importante del buon instaurarsi della relazione.

Il legame precoce madre-bambino è intimamente legato al soddisfacimento dei bisogni alimentari (Brustia, P.,1996), ma l’allattamento non coincide solo col nutrimento e il piacere che ne trae il piccolo va ben oltre il desiderio di sentirsi sazio : è il contatto con la madre e la relazione con l’oggetto seno a dare a questo momento un così grande valore.

Ciò che accade durante l’allattamento è talmente ricco di risvolti da potersi considerare come una microrelazione inserita in un contesto relazionale più ampio.

Si tenterà di mettere in evidenza il significato e i principali aspetti di questa esperienza.


1.4.1 Riorganizzazione del mondo interno della madre e nascita di una    

         nuova relazione

 

 

Con la gravidanza si doveva raggiungere un equilibrio tra il proprio mondo interno e il mondo oggettuale esterno, e armonizzare le fantasie e le aspettative con la realtà. Dal momento del parto, evento che sconvolge l’equilibrio raggiunto basato sulla fusione e l’indistinzione, è necessario raggiungere una nuova posizione adattativa, continuando sì a cercare un’armonia fra lo stato interiore e la realtà esterna, ma operando una nuova riorganizzazione in base agli attuali dati di realtà.

Dal momento del parto la donna deve essere pronta a creare un nuovo legame e ad entrare in quella condizione chiamata da Winnicott preoccupazione materna primaria, e da lui stesso definita come una forma di malattia normale: uno stato di totale partecipazione in cui la madre riesce a mettersi al posto del bambino, a tutto vantaggio della relazione. (Winnicott,D.W.,1971)

Questo stato psicologico particolarissimo consente alla donna di superare i vissuti di ostilità verso il suo piccolo, che può essere visto all’inizio come un pericolo per il suo corpo e per la sua vita, soprattutto al momento del parto. Ma la preoccupazione materna primaria è una condizione semipsichiatrica temporanea che deve poi cedere il posto al recupero da parte della madre della propria identità di persona globale (Ibidem, Brustia,P.,1996).

Se tale stato durasse oltre un certo limite, dunque, nuocerebbe alla madre, al bambino, e ad altri aspetti ed interessi della vita.

L’instaurarsi della preoccupazione materna primaria è fondamentale per favorire la relazione: la donna perde temporaneamente qualunque interesse al di fuori del figlio, in questo modo è “costretta” a concentrarsi solo su di lui/lei così da poter essere sempre disponibile a rispondere ai segnali che le manda. (Schaffer,H.R.,1977)

Ciò fornisce la base per imparare a prendersi cura con piacere del neonato e a soddisfare i suoi bisogni, primo tra tutti quello dell’alimentazione.

Questo cambiamento è talmente sconvolgente che assomiglia ad uno stato patologico transitorio, ma il risultato è una nuova identificazione materna, una focalizzazione dei suoi investimenti e la capacità di riconoscere un’altra realtà irrinunciabile e di adattarvisi ( Brazelton,T.,1991).

Ancora una volta il partner, nonché la famiglia e il medico, hanno un ruolo di sostegno importante. Allo stesso modo, la partecipazione attiva del partner rinforza la propria identità di padre, attenuando il rischio di sentirsi escluso dalla diade madre-bambino (si tenga presente che non esiste un istinto paterno innato, analogo a quello materno nella donna, ma esso si acquisisce in seguito alla paternità). (Ibidem)

E’ importante che anche l’uomo sviluppi le sue capacità paterne e sia comprensivo nei confronti dell’esclusività del legame tra la mamma e il bimbo appena nato; questo è un momento che mette alla prova la stabilità della coppia e della famiglia, l’uomo può sentirsi trascurato perché la sua partner riserva al piccolo le attenzioni che prima erano rivolte solo a lui, e perché il suo sentimento paterno è in fondo ancora tutto da costruire.

Va aggiunto a questo il fatto che il periodo del puerperio sia l’unico che in tutte le culture mostra un’assenza di attività sessuale (Boncinelli,V.,1993).

L’assenza di un’attività sessuale della coppia, le cui ragioni sono molteplici e piuttosto evidenti, è al contempo causa e conseguenza di un possibile disagio. (Ibidem)

Boncinelli riferisce che la ripresa della sessualità è generalmente lenta e graduale, per quasi la metà delle puerpere per i primi tre mesi la sessualità permane scarsa a causa di stanchezza, torpidità sensoriale e dispareunia.(Ibid.)

Un’ulteriore causa è la comparsa della depressione post- partum, che verrà discussa nel paragrafo successivo.

Bowlby ci aiuta a comprendere i meccanismi della nascita della nuova relazione sottolineando il carattere innato del legame madre-bambino e le grosse potenzialità sia della madre che del neonato di partecipare con successo all’interazione.(Bowlby,J.,1989)

Egli cita le osservazioni di Klaus e Kennell su come le madri si comportino nei confronti del neonato quando dopo il parto si dà loro la libertà di fare come preferiscono: la madre prende in braccio il figlio e comincia ad accarezzargli il volto con la punta delle dita e a questo gesto il bambino si acquieta. Poi la mamma comincia a toccargli la testa e il corpo ed è facile che dopo cinque o sei minuti, ella lo accosti al seno ed anche a questo il bambino risponde, prendendo in bocca il capezzolo (Op.cit. in Bowlby,J.,1989).

Tra la mamma e il suo bambino di due o tre settimane, quando si trovano faccia a faccia, avvengono fasi di vivace interazione sociale alternate a fasi di disimpegno. Il bambino contribuisce all’interazione con saluti, espressioni facciali e vocalizzi ed è in genere lui a condurre e la madre a seguire. Del resto Bowlby sottolinea che in una relazione che si sviluppa felicemente ciascuno dei partner si adatta all’altro. (Ibidem)

Secondo la prospettiva di questo autore, le condizioni peri e postnatali che più favoriscono uno sviluppo positivo del legame sono l’aiuto pratico e il sostegno emotivo da parte delle persone che la circondano, mentre ciò che più lo ostacola è l’influenza di esperienze infantili negative.

Prima di descrivere gli aspetti salienti dell’allattamento, è utile soffermarsi brevemente su un fenomeno piuttosto diffuso dopo il parto: la depressione puerperale.


1.4.2 Disturbi post partum: la depressione puerperale

 

 

Il periodo che segue il parto è da considerarsi critico, e come tale va inteso dalle persone che circondano la giovane madre per meglio comprenderne le esigenze e darle sostegno, senza però arrivare a considerare come del tutto naturali gli eventuali disturbi che possono comparire in questo periodo.

Non bisogna perciò né sottovalutare la criticità del momento che la donna sta attraversando, né giustificare qualunque malessere o disturbo pensando che sia normale espressione di tale criticità, perché con quest’ultimo atteggiamento si rischia di non occuparsene con l’attenzione che merita.

Col termine depressione post partum ci si vuole riferire in tal sede unicamente a quel fenomeno diffuso (tanto da essere considerato da molti una normale conseguenza della separazione biologica), chiamato anche baby blues, non alle meno frequenti sindromi depressive croniche o alle ancor più rare e gravi situazioni patologiche definite psicosi puerperali.

I sintomi tipici di questo disturbo sono ansia, tristezza talora accompagnata da crisi di pianto, irritabilità. In condizioni favorevoli essi scompaiono dopo una settimana dal parto. (Romito,P.,1992, Brustia,P.,1996)

La definizione di questo malessere è in realtà problematica.

Ancora una volta si è tentato di dare un nome a qualcosa che spaventa, quasi a voler rassicurare chi si trova a fronteggiare degli stati d’animo che sembrano fuori posto in un momento di gioia come la nascita di un bambino, come se si volesse dire alla madre angosciata: “Non ti preoccupare, ciò che stai provando ha un nome, esiste e capita”.

Vero è che il sapere che ciò che si sta attraversando viene ricondotto ad una sintomatologia specifica e che molte donne lo sperimentano nelle stesse condizioni, allevia il senso di colpa dovuto al fatto di sentirsi depresse quando tutti si aspettano che si provi grande felicità.

Alcuni autori, come Hopkins[13], operano una distinzione fra baby blues (o maternity blues), depressione post partum e  psicosi post partum; la quasi totalità della letteratura è concorde sulla definizione di quest’ultima, prevalentemente in base alla sua rarità (Kendell parla di uno o due casi su mille madri), e alla sua gravità (in alcuni casi le madri tentano di uccidere se stesse ed il loro bambino). (op.cit. in Romito,P.,1992)

E’ la gravità stessa del fenomeno che lo rende riconoscibile, e più le manifestazioni sono gravi, più si è concordi sulla definizione e sugli interventi (quasi sempre presa in carico da parte di un servizio psichiatrico).

Quando invece il fenomeno non raggiunge una dimensione psicotica e non si teme per l’incolumità della madre e del bambino, si parla comunemente di depressione post partum:  difficile da identificare e definire perché si situa a metà fra la comune instabilità emotiva dei giorni che seguono il parto (disforia, per usare un termine tecnico), fino alla gravità di uno stato psicotico.

Il pianto e l’irritabilità sono considerati tipici sia del baby blues che della depressione, ecco perché i due termini spesso coincidono.

Uno “stato di mezzo”, dunque, ma molto diffuso.

Quanto diffuso? La frequenza varia in base ai criteri di definizione del fenomeno e gli strumenti di misura utilizzati. Se si prendono in considerazione i sintomi sopracitati, nei giorni dopo il parto le donne colpite sono l’80%. (Fonte: Romito,P.,1992)

Se si fa riferimento a scale psichiatriche, come quella di Raskin, l’incidenza non supera il 30%. (Ibidem) Si noti che i dati in merito provengono da ricerche inglesi o nord americane poiché non esistono studi italiani in proposito.

Anche per questo motivo farò riferimento quasi esclusivamente  ai dati forniti da Patrizia Romito e alle ricerche da lei recentemente condotte.

Un altro aspetto sul quale è bene interrogarsi per comprendere il fenomeno è la sua durata.

Anche questo è un dato controverso, specie perché spesso si valuta la depressione nel momento in cui i sintomi si manifestano (vale a dire nei giorni successivi al parto), o comunque nel momento in cui un ricercatore ha intervistato le donne (anche questo accade spesso quando le donne si trovano ancora in ospedale); ci si preoccupa in genere meno di verificare la durata effettiva del fenomeno, ciò è in buona parte dovuto al fatto che questo implicherebbe ricerche più dispendiose, più intrusive e alle quali non si saprebbe dare all’inizio una stima precisa della durata.

Se ci si riferisce al baby blues, e sia il bambino che la mamma sono in buona salute, i sintomi scompaiono in genere dopo una settimana dal parto, ma spesso si ritiene che la depressione abbia una durata media di un mese: si dice che la durata vada dalle tre alle otto settimane dopo il parto.

Ma se nella maggioranza dei casi questo stato non permane più a lungo di una settimana, per alcune donne essa può durare molto di più, anche in relazione a fattori associati.

Tuttavia è corretto affermare che se lo stato depressivo perdura per diversi mesi ci si trova di fronte ad un fenomeno che si è cronicizzato e che assume le caratteristiche di una depressione classica piuttosto che di una depressione post partum.

Il concetto di depressione post partum è dunque di problematica definizione. In base alle cause ritenute responsabili e all’area e al tipo d’indagine che viene condotta per identificare questo stato, si possono distinguere diversi modelli: quello medico, che lo considera come una malattia e ne identifica i sintomi più che definirne le cause; quello biochimico, che ne attribuisce la causa a cambiamenti ormonali (caduta di estrogeni e progesterone e innalzamento della prolattina); l’approccio psico-sociologico, che considera la depressione post partum come una deviazione dalla norma, qualcosa che si discosta sia dall’esperienza tutta in positivo della maternità che dall’infelicità e dall’insoddisfazione come vengono generalmente intese, e che identifica questo stato come un’entità specifica, da non confondere con la depressione che insorge in altri momenti. (Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992, Boncinelli,V.,1993)

Non si può fare a meno di notare una contraddizione: la depressione dopo il parto è una deviazione dalla norma, ma allo stesso tempo viene sperimentata durante i primi giorni da circa l’80% delle donne.

Eppure verrebbe da pensare che una simile percentuale rappresenti la norma.

Nel presente lavoro si è precedentemente parlato di deviazione dalla norma nel caso di donne che non manifestano il desiderio di maternità: esse sono in verità una minoranza e anche per questo vengono talora considerate devianti.[14]

Ma in questo caso coloro che sono definite devianti rappresentano la maggioranza delle puerpere: se ne deduce che il contesto sia diverso e che per norma s’intenda qui una condizione di benessere e  per devianza, conseguentemente, l’allontanarsi da tale condizione.

Per quanto riguarda i differenti modelli esistenti nello studio di questo fenomeno, si noti che l’adesione ad uno non esclude che si possano condividere aspetti che emergono da un altro: un approccio privilegia una componente, ma tale componente può venire contemplata anche in altri modelli, essi rappresentano dei riferimenti ma la loro distinzione non è così netta.

In ambito psicologico si è tentato di dare un modello esplicativo della depressione post partum, e questo ha portato talvolta alla formulazione di teorie che appaiono piuttosto complesse rispetto alla relativa semplicità (da non leggersi come banalità o facilità di comprensione) del fenomeno in sé.

La causa sembra risiedere nella separazione biologica, che segna la fine dello stato fusionale, e nel tentativo di elaborare i nuovi dati di realtà. (Brustia,P.,1996)

Piera Brustia scrive che l’intensità dello stato depressivo è direttamente proporzionale al desiderio di trattenere: più la donna teme la rottura della simbiosi e si oppone più o meno inconsciamente ad essa, più sarà acuta la depressione post partum, e meno la donna sarà in grado di “contenere” il bambino e di fornirgli il sostegno che gli è indispensabile. (Ibidem)

In base a quanto detto fin’ora, sembra plausibile affermare che la depressione post partum sia espressione della difficoltà di riorganizzare il proprio mondo interiore e di armonizzarlo con quello esterno.

Le ricerche ad orientamento sociologico pongono l’accento sulla mancanza di un adeguato sostegno sociale: la depressione appare allora come una risposta alle difficoltà oggettive della vita. E’ da segnalare che l’approccio sociale alla depressione post partum nasce negli anni ’80 nell’ambito di studi inglesi[15] sugli effetti degli avvenimenti della vita e del sostegno sociale sulla depressione post partum (se si escludono gli studi pioneristici alla fine degli anni ’50 di Richard Gordon e di sua moglie Katharina Gordon, che però non erano dei sociologi, ma uno psichiatra e un’infermiera, e che misero in evidenza un’associazione tra la depressione e alcune tensioni sociali riportate dalle donne). (op.cit. in Romito,P.,1992)

La tesi proposta da Patrizia Romito è che il disagio delle madri, specie se prolungato, ha le sue origini nel contesto della vita quotidiana: nelle condizioni di lavoro, nella relazione di coppia, nell’aiuto dentro e fuori casa; se tali condizioni non sono favorevoli il disagio ha buone possibilità di perdurare nel tempo. (Ibidem)

Non bisogna inoltre dimenticare, come la stessa Romito mette in evidenza, che le prime settimane dopo il parto sono caratterizzate da stanchezza e da un certo numero di disturbi fisici, e che questi disturbi possono avere ripercussioni sul benessere psicologico delle madri. (Boncinelli,V.,1993)

Per concludere, si può dire che sono numerosi i fattori che possono avere un ruolo sulla depressione post partum, come pure le interpretazioni di questo fenomeno, mentre le soluzioni e i rimedi appaiono meno evidenti.

Se il baby blues viene visto come qualcosa che non è necessariamente un male, ma una risposta adattativa ad uno stato nuovo e temporaneo, e se la sua durata rimane circoscritta ai giorni seguenti al parto, forse sono sufficienti i seguenti interventi: fornire un sostegno adeguato alle madri fin dal momento della nascita del bambino, far sapere loro che hanno tutta la comprensione e l’appoggio delle persone che la circondano, sgravarle il più possibile da obblighi che toglierebbero loro tempo ed energie che potrebbero essere investite nell’ascolto dei bisogni del figlio e nella costruzione della relazione, non farle sentire in colpa se in questo momento hanno meno attenzioni per il proprio partner, o se si sentono frastornate dalle troppe attenzioni. (cfr. Soifer,R.,1985, Bowlby,J.,1989, Brazelton,T.,1991 e Romito,P.,1992).

Bisogna evitare sia di minimizzare, sia di drammatizzare sul loro malessere, e cercare di star loro vicino.

Forse la soluzione non è così semplice perché in fondo non riguarda le donne, ma il comportamento del partner e della società: è da essi che bisogna partire per diminuire il disagio femminile e aiutare la maternità. (Ibidem)


1.4.3 L’allattamento

 

 

Le teorie e i contributi sull’allattamento in letteratura sono numerosissimi: non s’intende in questa sede darne un panorama completo ed esaustivo, ma sottolinearne l’importanza all’interno della relazione madre-bambino ponendone in rilievo alcuni aspetti significativi.

A questo scopo verranno illustrati brevemente il valore dell’allattamento in una prospettiva interazionista secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby e i suoi prosecutori, in particolare Schaffer), e nelle prime relazioni oggettuali secondo la psicanalisi  (Esther Bick e Melanie Klein come principali contributi scelti).

Prima di tutto occorre stabilire che si parte da un presupposto fondamentale: sebbene l’immagine materna sia intimamente legata nei primi mesi al soddisfacimento dei bisogni alimentari, come alcuni autori non mancano di sottolineare[16], questo non significa che il valore dell’allattamento risieda unicamente nel fornire il nutrimento necessario alla sopravvivenza del bambino: c’è molto di più attorno a questo, c’è una relazione, come si è già precedentemente accennato e come si vedrà oltre.

Bowlby afferma che il dialogo fra mamma e neonato ha un carattere innato e che esso inizia immediatamente; tale dialogo é fatto di fasi di vivace interazione alternate a fasi di disimpegno. (Bowlby,J.,1989)

Anche l’allattamento si inscrive in questo dialogo: secondo Schaffer tutte le prime interazioni si organizzano intorno a questa attività.(Schaffer, H.R.,1977)

Proprio Schaffer descrive in maniera dettagliata i patterns che vengono attivati durante l’allattamento e analizza la diade madre-bambino come sistema d'interazione. (Ibidem)

Un aspetto fondamentale dell’allattamento è il riflesso di suzione, che é in realtà più complesso di quanto appaia: il bambino sotto stimolo tattile vicino alla bocca si volge verso lo stimolo (riflesso di ricerca), quindi ritira la lingua e si mette a succhiare. (Peri,G.,1992). Appare evidente che si tratta di uno schema innato, così come si tratta di una capacità preprogrammata quella della madre di rispondere ai segnali del figlio.

Schaffer e altri rilevano che già dai primissimi pasti la suzione appare organizzata secondo un modello di alternanza di attività e pausa: la madre sollecita il neonato nelle pause e il neonato riprende quando la stimolazione materna cessa (ricerche di Kaye et al.)[17]. Quando il neonato succhia la madre é passiva, e viceversa: é davvero un dialogo.

Gli scambi durante l’allattamento e l’interazione faccia a faccia costituiscono infatti delle protocomunicazioni. (Schaffer,H.R.,1977)

Nello schema di suzione, l’unica funzione adattativa delle pause è quella di favorire l'interazione con la madre. (Ibidem)

Vi sono anche delle attività simultanee, come la co-orientazione visiva.

L’esistenza di una regolazione congiunta nell’interazione faccia a faccia è stata dimostrata anche da una serie di esperimenti in cui veniva richiesto alla madre di violare le aspettative del bambino bloccando improvvisamente, per un breve periodo, l’espressività facciale o atteggiando il viso in modo incongruo (esperimenti di Tronick sul viso impassibile, op.cit. in Schaffer,H.R., 1977, e in Brazelton,T.B. e Cramer.B,1991).

Da questi esperimenti è emerso che il bambino reagisce intensamente già nei primi mesi di vita alla violazione delle regole, sia cercando di ristabilire la relazione con la madre, sia mostrando segni di disagio, sia infine distogliendo l’attenzione. In tutti i casi la sua reazione dimostra che il bambino si è ormai formato alcune aspettative circa l’andamento dell’interazione.

Ciò che rende possibile una tale coordinazione sono da un lato le predisposizioni innate del bambino, e dall’altro le capacità materne di adattarvisi. (Schaffer,H.R.,1977)

Brazelton riconduce la precocità con cui madre e bambino coordinano le loro interazioni alla sincronia intrauterina riscontrabile tra madre e feto a partire dal terzo trimestre di gravidanza. Egli ipotizza che il bambino alla nascita abbia già una certa familiarità coi segnali uditivi e cinesici della madre, oltre ad una certa esperienza di coordinamento ai suoi ritmi: torneremo ulteriormente su questo punto, quando andremo a esaminare l'importanza della musica nella relazione madre-bambino. (Brazelton,T.B.,1982, op.cit. in Schaffer,H.R.,1977)

Schaffer definisce gli scambi che si verificano nei primi mesi come pseudodialoghi, differenziandoli dai dialoghi veri e propri che si svilupperanno in un periodo successivo in cui il bambino, avendo acquisito le capacità d’intenzionalità e reciprocità, è in grado di cooperare in misura analoga all’adulto al raggiungimento della sincronia interpersonale. (Ibidem)

Le madri ricorrono ad una gran varietà di tecniche diadiche per mettersi in relazione col loro bambino, che vengono classificate come tecniche di: phasing, adattamento, facilitazione, elaborazione, avvio dell'interazione e controllo (Ibid.).

Il pattern “attività-pausa” (burst-pause pattern) della suzione durante il primo mese, è il precursore di una serie di cicli di attività-pausa che si svilupperanno successivamente in numerose forme di comportamento.

All’inizio le madri interpretano frequentemente le pause come segni di perdita d’interesse o di scarsa fame, ma gradualmente s’instaurano sincronia e consapevolezza, il bambino viene stimolato meno e le pause si fanno più brevi.(Ibid.)

L’allattamento è dunque secondo quest’ottica l’attività attorno alla quale si organizzano tutte le successive interazioni, e il suo andamento e relativo successo o insuccesso può influenzare la relazione tra mamma e bambino.

Quest’approccio appare particolarmente utile al fine di analizzare l’allattamento in quanto fenomeno facente parte della relazione madre-bambino e di primaria importanza al suo interno.

Ma non si può tralasciare la prospettiva psicanalitica, per comprendere le dinamiche profonde delle prime relazioni oggettuali.

Ciò che il bambino riceve non é solo il latte, ma sono le cure materne e il contatto. Prima di tutto il contatto con la pelle, quella particolarmente morbida e profumata del seno. E poi ci sono lo sguardo e la voce della mamma, l’abbraccio che cinge tutta l’esperienza dell’allattare, la ripresa di quel dialogo fatto di calcetti che era iniziato in gravidanza.

Il bambino si specchia nella madre, per usare l’efficace espressione di Winnicott, e mai come durante l’allattamento i due si riconoscono reciprocamente come madre e figlio. (Winnicott,D.W.,1971)

Ma per il bambino il riconoscimento della madre come oggetto unitario avviene in un secondo tempo: la prima relazione oggettuale é in realtà quella col seno, inoltre vi é subito un processo di scissione dell’oggetto seno (Klein,M.,1957). Anche secondo Esther Bick vi é inizialmente una scissione e l’allattamento può favorire l’integrazione delle parti dell’oggetto. Ecco in che modo.

Nel breve scritto “L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali”(1968), la Bick parte dall’assunto che la pelle, insieme ai primi oggetti del bambino, svolga la funzione di collegamento fra componenti della personalità non ancora differenziate da parti del corpo. (Bick,E.,1968, in Isaacs,S., et al.,1984)

L’ipotesi é che le componenti primitive della personalità non abbiano capacità coesiva e debbano quindi essere tenute insieme attraverso la pelle che funge da confine; ma questa funzione interna di contenimento delle componenti del Sé dipende inizialmente dall’introiezione di un oggetto esterno adatto a svolgere tale funzione. L’oggetto ottimale é il seno.

Più tardi, l’identificazione con questa funzione svolta dall’oggetto permette al bambino di superare lo stato di non-integrazione e dà origine alla fantasia di un duplice spazio, interno ed esterno. (Ibidem)

Secondo la Bick, é solo a questo punto che possono entrare in gioco i meccanismi di scissione primaria e di idealizzazione del Sé e dell’oggetto descritti da Melanie Klein. Fino a che non vengono introiettate le funzioni di contenimento, non é possibile la costituzione di uno spazio interno al Sé e conseguentemente la costruzione di un oggetto interno. (Ibid.)

Il bisogno di un oggetto contenente, vissuto come una pelle, é motivato dallo stato di non integrazione in cui si trova inizialmente il bambino, e spinge alla ricerca di un oggetto quale una voce o un odore, che favorisca l’integrazione: in questo processo si può inserire l’allattamento e si legga l’autrice in proposito: “L’oggetto ottimale é costituito dal capezzolo in bocca, insieme con la percezione dell’essere tenuto tra le braccia della madre, della sua voce e del suo odore ormai familiare”.(Bick,E.,1968, in Isaacs,S., et al.,1984, pag.91)

Nel suo libro “Invidia e gratitudine”, come in altri suoi lavori, la Klein sottolinea l’importanza fondamentale della prima relazione oggettuale del bambino, ovvero il rapporto con il seno materno e con la madre: se l’oggetto primario, che viene introiettato, si radica saldamente nell’Io, costituisce una solida base per uno sviluppo soddisfacente.(Klein,M.,1957)

L’oggetto primitivo, il seno, sotto il predominio degli impulsi orali, viene percepito come la sorgente del nutrimento e perciò fonte della vita stessa.

Se le cose vanno bene, questo contatto fisico e psichico col seno gratificante aiuta a ristabilire almeno in parte la perduta unità prenatale con la madre e il senso di sicurezza ad essa connesso. Il seno buono viene introiettato e diventa parte dell’Io: il bambino ha ora la madre dentro di sé.

Le circostanze della realtà esterna influiscono sul rapporto iniziale col seno: ad esempio un parto difficile, con complicazioni, può condizionare in maniera negativa il rapporto col seno materno. (Ibidem)

In tal caso non si può introiettare un oggetto primario completamente buono. Un altro fattore che influisce é la capacità della madre di allattare con gioia profonda e di accudire adeguatamente il bambino, capacità minata ad esempio dalla presenza di angosce.

La Klein afferma che il seno non rappresenta per il bambino un oggetto puramente fisico: l’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce fanno sì che al seno vengano attribuite delle qualità che vanno ben oltre il nutrimento che esso fornisce. (Ibid.)

Il desiderio del bambino di possedere un seno inesauribile e sempre presente, la delusione nello sperimentare che non é così e i conseguenti impulsi distruttivi portano il bambino alla scissione dell’oggetto: a credere cioè che esista un seno buono e un seno cattivo.(Ibid.)

Le prime esperienze emotive sono dunque caratterizzate dalla sensazione di perdere e riconquistare l’oggetto buono.

Il primo oggetto d’invidia é il seno che nutre, poiché possiede tutto quello che il bambino desidera, ovvero una quantità illimitata di latte e di amore che però tiene per sé. (Ibid.)

La prima relazione oggettuale si fonda dunque sull’esperienza del nutrimento e non deve stupirci se é caratterizzata da ambivalenza poiché essa é insita nei sentimenti umani.

Le tendenze sono dunque conservare e risparmiare l’oggetto da un lato, dovuta alla gratitudine, e prosciugarlo e danneggiarlo dall’altro, causata dall’invidia. Se la gioia serena dell’allattamento é stata provata spesso e il desiderio di conservare l’oggetto é predominante, l’introiezione del seno buono sarà realizzata in modo sicuro.

Si é fatto accenno alle angosce della madre relative all’allattamento e alla loro possibile influenza sul suo svolgimento, occorre a questo punto capire quali possano essere tali angosce e la loro origine.

Marie Langer attribuisce le angosce connesse all’allattamento a due fattori principali riconducibili ad un’insoddisfazione orale: il desiderio di conservare una posizione ricettiva infantile, e il persistere di tendenze aggressive infantili rivolte alla propria madre. (Langer,M.,1951)

Raquél Soifer evidenzia la paura di non avere latte e altre angosce più generiche relative alla relazione col bambino. (Soifer,R.,1985)

Vi sono ad esempio bambini più attivi, più vitali nell’approccio col seno, e altri più passivi (la Soifer li definisce “dormiglioni”): ebbene se ad esempio la madre non é preparata alla vivacità dei primi bambini, può accadere che si contragga causando l’invaginazione del capezzolo e il pianto del bambino. Il pianto del neonato spaventa ancor più la mamma e si instaura un circolo vizioso in cui l’angoscia della donna causa ansia nel bambino, che a sua volta accresce l’angoscia materna e così via. (Ibidem)

Nel caso in cui invece il piccolo si addormenti al capezzolo, la mamma può non comprendere questa attitudine e ancora una volta sentirsi impreparata, nonché sperimentare frustrazione e non sapere come comportarsi; se la madre é in grado di tollerare l’iniziale frustrazione e di attendere secondo i ritmi del bambino, gradualmente l’allattamento seguirà un corso positivo, in caso contrario si instaurerà probabilmente il circolo dell’angoscia sopra descritto e una reazione di rifiuto sia del neonato che della madre.(Ibid.)

Ancora una volta occorre che la mamma, specie se primipara, abbia accanto delle persone che la tranquillizzino e che le spieghino che certe reazioni sono normali e possono accadere: di questo può incaricarsi sua madre, o un’infermiera, o un’amica più esperta in materia, e se si tratta solo di impreparazione da parte della donna e non di angosce più profonde e radicate, allora la situazione non può che migliorare con l’aiuto delle persone che la circondano. (cfr. Brazelton,T. e Cramer,B.,1991)

Non bisogna comunque dimenticare che le difficoltà iniziali dell’ allattamento o della relazione a volte si superano in pochi giorni e in maniera naturale. E’ giusto far sapere ad una giovane mamma preoccupata di non “saper fare abbastanza” per costruire il proprio legame con il figlio, che la sola presenza della madre é di per sé uno stimolo per il bambino, come ci spiega Spitz. (Spitz,R.A.,1962)

Se ne deduce che l’allattamento é una delle forze formative nel rapporto madre-bambino e che la comunicazione fra il lattante e la mamma nello stadio preverbale riveste un’importanza notevolissima. (Ibidem)

E’ bene dunque cercare di favorire questa comunicazione, dedicandosi ad allattare con la maggiore serenità possibile e dando a questa esperienza, se la si vuole sperimentare, l’importanza che merita: é preferibile in questi momenti concentrarsi sul bambino, sui suoi ritmi, sui suoi sguardi, isolarsi dalle altre persone se necessario perché non ci distraggano e non perturbino questa incredibile occasione di conoscenza e di costruzione del legame tra madre e bambino. (cfr. Peri,G.,1992)


 

 

 

 

 

 

 

                      PARTE SECONDA:

 IL SIGNIFICATO DI PERDITA E RECUPERO

                    DELLA RELAZIONE

                                    E

            L’UTILIZZO DELLA MUSICA

 


                2) IL  RECUPERO  DELLA  RELAZIONE

                                  MADRE - BAMBINO

 

 

Cosa significa recuperare la relazione? Per rispondere a questa domanda occorre prima stabilire perché e in che modo il legame sia stato perduto, e soprattutto cosa s’intende per perdita.

E’ opportuno chiarire immediatamente questi punti, poiché su essi si basano l’ipotesi di questo lavoro e le considerazioni che seguiranno.

Partendo dal presupposto che esistono una relazione madre-bambino reale e una psichica (che possono coincidere in misura variabile), allo stesso modo vi sono da un lato situazioni di perdita o di distacco reali, e dall’altro dei vissuti di perdita. (Bowlby,J.,1983)

Non si farà riferimento alle situazioni di perdita reale di uno dei membri della relazione o della relazione stessa, ma ai casi in cui si ha la percezione di perdita del legame tra madre e figlio.

Si prenderà dunque in considerazione la sensazione di perdita della relazione, intesa principalmente come relazione psichica piuttosto che reale, sapendo tuttavia che la prima influenzerà inevitabilmente la seconda (si ricordi un’osservazione di Hinde: “Quello che una persona pensa di una relazione può essere più importante dell’interazione che ha luogo effettivamente”, op.cit. in Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991,pag.165).

Alcune delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti verranno in questa parte riprese poiché fungono da presupposto alle condizioni di perdita e recupero.

Occorre precisare che i vissuti di perdita cui si farà riferimento vanno più che altro intesi come un’interruzione momentanea e spesso breve del legame: si tratterà quindi di una perdita temporanea e non di una rottura.

Questa interruzione temporanea del legame madre-bambino può avere diversi significati. Talora può essere causata da una reazione della donna, cioè una risposta a uno o più eventi percepiti come traumatici: è possibile che in tal caso rappresenti una difesa da parte della madre (Deutsch,H.,1945, Spitz,R.A.,1962, Freud,A.,1967). Oppure può trattarsi di una fase difficile che precede l’instaurarsi di una relazione positiva (Soifer,R.,1985 Brazelton T.B.,1991). O potrebbe essere una conseguenza dell’angoscia (ibidem). O è possibile che sia una normale reazione di fronte a difficoltà e complicazioni legate alla nascita (Langer,M.,1951, Romito,P.,1992).

Le cause possono dunque essere molteplici: i precedenti esempi sono stati citati allo scopo d’introdurre l’argomento, questi casi verranno chiariti ed esaminati oltre in maniera più dettagliata.

Un caso in particolare in cui si riscontra una perdita temporanea della relazione tra la madre e il figlio appena nato (ricordo che questo lavoro verte sulla relazione peri e post-natale), é quello della nascita di un bambino prematuro.

Verranno dunque esaminate queste situazioni, si tenterà in seguito di ipotizzare alcuni possibili strumenti per favorire il recupero del legame, quali l’utilizzo della musica e di attività ad essa legate.


2.1 La perdita del legame

 

 

Gli elementi che possono condurre alla perdita temporanea della relazione madre-bambino, secondo l’approccio seguito dal presente lavoro, sono essenzialmente i seguenti: lo choc della separazione del parto e la conseguente perdita dello stato fusionale raggiunto con la gravidanza, e la discrepanza tra il bambino immaginario e il bambino reale. (Ferraro,F. et al.,1985, Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991, Brustia,P.,1996)

Come si può notare, parlando di perdita del legame si fa riferimento al momento che segue la nascita. In gravidanza si trovano le premesse dell’attaccamento, e benché si é affermato che la relazione cominci con la gravidanza, anche nel caso di difficoltà nell’adattarsi alla condizione di donna incinta non é corretto in questo periodo parlare di perdita del legame, poiché un legame vero e proprio col bambino non si é ancora instaurato.  La relazione esiste già, ma nei confronti di un oggetto interno, di un bimbo che non é ancora fisicamente separato dalla sua mamma, che é presente e non presente al tempo stesso e che dunque é per il momento un bambino fantasticato. Per parlare di relazione, di interazione o di diade madre-bambino occorre che il bambino sia nato, che sia un essere vivente indipendente. (Brazelton,T.B.,1991,Schaffer,H.R.,1977)

Perché si possa davvero parlare di relazione occorre insomma che i membri che la compongono siano due: essa ha dunque effettivamente inizio col taglio del cordone ombelicale, e si può pertanto parlare di perdita della relazione solo dopo la nascita.

Si é già discusso precedentemente di come la separazione anatomica sia per molti versi traumatica, o comunque possa essere vissuta come tale: il termine dello stato fusionale implica il distacco da quella che é percepita come una parte di sé (e che effettivamente dal punto di vista fisico lo era fino a quel momento), ed é necessaria una nuova rielaborazione della realtà. (Deutsch,H.,1945, Brustia,P.,1996)

Questo é normale e necessario: come si è detto bisogna separarsi per unirsi, infatti la separazione permette d’incontrare il bambino e di mettere in atto i meccanismi dell’attaccamento. (Bowlby,J.,1972)

La separazione crea l’unione, é necessaria per diventare genitori. (Rousseau,H.,1993)

Ma spesso, come si è già avuta occasione di affermare, ci si trova impreparati anche quando il bambino é atteso e desiderato, e la madre può avere dei problemi a stabilire la relazione col figlio appena nato: il divario tra la realtà della gravidanza e quella della nascita é grande e può suscitare un sentimento d’inadeguatezza nei confronti del bambino e d’incapacità ad interpretare i messaggi che manda, specie se si tratta del pianto.(Ibidem)

Ci si trova in questo caso di fronte alla difficoltà di stabilire un contatto psichico, di trovare un linguaggio comune.

Difficoltà dovuta anche al fatto che l’immagine del bambino che si era andata costituendo durante i mesi di gravidanza, difficilmente combacia con l’immagine reale che si viene a conoscere dopo la nascita (Brazelton,T.B.,1991,Brustia,P.,1996): la realtà può venire in un primo momento rifiutata e questo può costituire in sé una perdita temporanea della relazione.

Si noti come ciò avvenga in assenza di perdita fisica ed effettiva del bambino, ma dinanzi alla perdita della sua immagine, che si era fatta potente e significativa.

Una situazione di questo tipo é più grave se non vi sono malformazioni, o difetti fisici, o malattie, e nonostante questo permane la mancata accettazione del bambino.(Ibidem)

A volte non lo si accetta per motivi “banali”, ad esempio se si desiderava a tutti i costi un maschio e nasce una femmina, o viceversa. (Bowlby,J.,1983)

I casi in cui prima del parto, grazie alle moderne tecniche, si sa già che il piccolo nascerà affetto da anomalie, possono pregiudicare l’andamento della relazione dopo la nascita, o al contrario possono favorirlo poiché si ha il tempo di accettare la realtà e di prepararsi ad affrontare una situazione che pur tuttavia resta critica.

Dunque una delle difficoltà maggiori dopo la nascita é quella di elaborare il lutto per la perdita del bambino immaginario e riconciliarsi con quello reale. (Brazelton,T.B.,1991,Brustia,P.,1996)

Come sottolineano Bowlby e Brazelton, tutti i genitori attraversano una forma più o meno intensa di delusione nei confronti del loro bambino (questo accade spesso già prima della nascita, ad esempio al momento della prima ecografia), ma ciò fa parte di un processo normale che conduce alla genitorialità. (Ibidem)

Ma quando il neonato presenta dei difetti reali, una malattia congenita o nasce prematuro, la mancata corrispondenza tra il bambino reale e quello immaginario diventa molto più problematica, continua Brazelton. (Ibid.)

Si tornerà sul neonato prematuro nel paragrafo seguente, poiché merita una riflessione più approfondita.

Prima è opportuno citare alcune possibili cause di perdita precoce  o di mancato instaurarsi del legame. Tra esse si possono trovare la depressione puerperale[18] (cfr. Romito,P.,1992); il senso di colpa, generato dall’ambivalenza dei sentimenti verso il figlio (cfr.Brustia,P.,1996), o quello che si prova ad esempio verso un partner “trascurato” a causa del bambino, con la conseguente paura irrazionale della donna di essere abbandonata, che può indurre a rifiutare il bambino (cfr.Soifer,R.,1985). Anche il sentirsi inadeguata rispetto ai bisogni del bambino è un fattore ostacolante la relazione: si sente il peso di tale responsabilità e delle aspettative sociali e come difesa si mette in atto il distacco dal bambino. (cfr. Romito,P.,1992)

Vi sono infine dei fattori pre e perinatali che possono influire sulla relazione.

Tra questi fattori compaiono un travaglio difficile e gli effetti degli anestetici e degli analgesici usati nella pratica ostetrica. (Schaffer,H.R.,1977)

Schaffer sottolinea l’influenza dei fattori legati alla gravidanza e al parto sui primi patterns interattivi e sullo stato del bambino nel periodo neonatale. (Ibidem)

Poiché un’interazione é il prodotto del contributo di entrambi i partecipanti alla situazione comune, l’andamento della relazione madre-bambino sarà influenzato sia dallo stato della madre che da quello del bambino. (Bell,1968, op.cit. in Schaffer,H.R.,1977, pag.497)

Tra i fattori perinatali figurano gli effetti dei farmaci usati nella pratica ostetrica: Brazelton ha dimostrato che l’uso di alcuni farmaci era correlato a difficoltà nell’allattamento; altre ricerche hanno confermato che la suzione nutritiva e l’assunzione di cibo sono influenzate da questi farmaci. (Brazelton,T.B.,op.cit. in Schaffer,H.R.,1977, pag. 498)

Si possono fare a questo punto ulteriori considerazioni sulla moderna medicina occidentale, che se da un lato ha ridotto la morbilità e la mortalità perinatale, dall’altro ha interferito sempre di più con le prime interazioni sociali fra madri e neonati. (Ibidem)

Tale interferenza può avere svantaggi psicologici che devono essere valutati insieme ai vantaggi e agli svantaggi medici. A volte esiste un conflitto fra rischi medici e rischi psicologici: ad esempio l’incubatrice per i neonati prematuri costituisce una garanzia per l’igiene e le cure che si possono fornire loro, ma crea isolamento ed elimina il contatto con i genitori, il che é sicuramente traumatico tanto per un bambino quanto per un genitore (cfr. Schaffer,H.R.,1977, Soifer,R.,1985). Si tornerà su questo punto in maniera più approfondita.

Per quanto riguarda, infine, l'influenza dei fattori connessi al travaglio e al parto sull’andamento della relazione madre-bambino, occorre precisare, come rimarca Schaffer, che un travaglio difficile può determinare un comportamento postnatale alterato nel bambino, o nella madre, o in entrambi. Esso inoltre potrebbe riflettere qualche caratteristica della madre che di per sé influenza la sua successiva interazione col bambino. (Ibidem)

Si andranno ora ad analizzare più nel dettaglio le caratteristiche e le implicazioni del parto prematuro.


2.1.1 Un caso di perdita temporanea del legame: il bambino prematuro

 

 

Il bambino nato prematuramente costituisce un particolare problema di ordine medico ma anche di ordine psicologico.

I criteri di definizione sono in relazione al peso del bambino alla nascita e alla durata della gravidanza: viene solitamente definito prematuro un neonato di peso inferiore a 2.500 grammi e che sia nato prima della trentasettesima settimana di gestazione. (Peri,G.,1992)

Più il parto è anticipato e minore è il peso del bambino, più sono critiche le sue condizioni.

Il neonato prematuro presenta di frequente difficoltà respiratorie, ipotonia, ipotermia e un ritardo nello sviluppo motorio e cognitivo, che però può venire facilmente recuperato in poco tempo. (Ibidem)

Attualmente molte ricerche sono orientate verso la famiglia del prematuro più che sul neonato stesso, forse perché si è compreso fino a che punto un evento di questo tipo incide sui genitori, in particolar modo sullo stabilirsi della relazione madre-bambino, e che ha delle conseguenze psicologiche da non sottovalutare. (Ibid.)

Nel caso particolare di una nascita prematura, i fattori che causano la perdita temporanea del legame possono essere determinati sia dalla situazione reale che dai vissuti interni della madre: questi fattori si possono identificare essenzialmente nell’isolamento del bambino e nel senso di colpa della madre.(Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)

Per tornare alla distinzione precedentemente citata tra relazione madre -bambino reale e relazione psichica, l’isolamento è un dato reale e comporta una separazione fisica, mentre il senso di colpa, unito ad altri sentimenti, fa parte dei vissuti interni della madre.

Si può dedurre che il momentaneo distacco fisico sia una delle cause della sensazione di perdita, ma, come si è detto, spesso avviene il contrario, e cioè che siano i vissuti psicologici ad influire sulla relazione reale. (Spitz,R.A.,1962, Bowlby,J.,1983)

Anziché di perdita della relazione, è forse più corretto parlare di difficoltà o impossibilità a mettere in atto quei meccanismi volti a stabilire una relazione: difficoltà che nascono in questo caso più dalla oggettiva condizione di isolamento in cui viene posto il bambino, che da blocchi mentali. (Soifer,R.,1985)

E’ utile fare alcune riflessioni sull’opportunità di questa condizione d’isolamento.

Il neonato prematuro viene tenuto in una macchina incubatrice che lo aiuta a svolgere le funzioni vitali deficitarie, che permette di tenerlo costantemente sotto controllo e che lo preserva dai microbi. Le cure mediche e fisiche e il mantenere il neonato in condizioni igieniche sono stati sempre prioritari rispetto alle cure relazionali. (Peri,G.,1992)

Ultimamente, però, ci si è resi conto di quanto sia penoso per i genitori non poter avere un contatto col proprio figlio e dovergli parlare attraverso un vetro, e quanto anche il bambino, per il suo benessere psicofisico, necessiti di questo contatto. (Soifer,R.,1985, Rousseau,H.,1993)

In particolare Raquél Soifer, e con lei altri esponenti della scuola sudamericana , è convinta di come, per preservare un ambiente igienico attorno al neonato prematuro, si perdano di vista fattori più importanti: infatti questa prescrizione non tiene conto della necessità di non staccare il bambino dai genitori. (Ibidem)

Come si potrà leggere oltre, ho visitato una clinica a Saint Etienne, in Francia, che, concordando su questa posizione, ha sviluppato un sistema alternativo di cure per neonati prematuri e per le loro mamme.(cfr.pag.134)

Ma anche laddove si continui a occuparsi dei prematuri nel modo tradizionale, degli aggiustamenti sono in atto e vi sono state delle recenti migliorie nell’attenzione alla relazione, al benessere psicologico di genitori e neonati e nel tentativo di non tenere troppo separati i genitori dai loro figli nati prematuramente. (Wolff,L.,1999)

Se è vero, come è stato detto, che la figura del medico e le tecniche di cui dispone costituiscono una presenza che può risultare intrusiva già in gravidanza, e che è sempre crescente la medicalizzazione del parto (Oakley,A.,1985), è pure vero che i genitori vengono resi più partecipi di ciò che accade all’interno dell’ambiente ospedaliero. Se ne deduce che il medico oggi si “intromette” nella coppia che attende un bambino, la “perturba” con l’ecografia, si prende a volte gran parte del merito dopo il parto, ma lascia poi che il padre s’introduca nell’ambiente medico e lo fa assistere alla nascita, e dal 1966 permette alle famiglie maggiore libertà di movimento all’interno dell’ambiente ospedaliero.(Rousseau,H.,1993)

Fino alla metà degli anni ’60, infatti, nella maggior parte delle strutture, i genitori non potevano avvicinarsi che per pochi minuti all’incubatrice e in presenza di un’infermiera, a volte non potevano neanche entrare nella stanza e guardavano dunque dalla porta o attraverso una vetrata. (Ibidem)

E’ un’immagine che appare molto triste. Quanto era effettivamente necessaria una precauzione di questo tipo? Difficile a dirsi. La principale ragione addotta in proposito era il timore dei microbi. In effetti, molti microbi provengono dall’esterno, ma lo stesso personale medico non ne è immune. (Ibid.)

Il fatto è che all’epoca numerose ricerche sul legame madre-bambino, sulle interazioni che lo contraddistinguono e sull’osservazione diretta dei bambini, non erano ancora state svolte, o portate a termine o suffragate da dati empirici, perciò si prendevano misure precauzionali principalmente nei confronti del neonato e in misura minore della relazione coi suoi genitori. (Ibidem)

Il voler tenere da parte la famiglia può tuttavia celare una tendenza più o meno inconscia ad appropriarsi del bambino, a voler depauperare l’autorità parentale per dare valore al personale che opera nelle strutture. (Wolff,L.,1999)

In questo atteggiamento vi sarebbe dunque un’affermazione di potere.

Viene in mente a riguardo ciò che scrive Hélène Deutsch su alcune donne che, per paura della sessualità, possono soddisfare i loro sentimenti materni solo in modo indiretto, e abbracciano quindi professioni dove possono appagare la loro sete di maternità, come quella dell’ostetrica, lasciando ad altre la parte sessuale e l’esperienza della riproduzione. (Deutsch,H.,1945)

In ogni caso, quello che è probabilmente importante è permettere che si crei un legame tra genitori e figli, e ultimamente ciò sembra venire sempre più spesso compreso.(Rousseau,H.,1993)

A facilitare tale compito intervengono non solo le recenti acquisizioni della psicologia, ma anche quelle della medicina: i progressi tecnici sono stati considerevoli negli ultimi anni e hanno ridotto il tasso di mortalità e morbilità prenatale; per i neonati prematuri, i progressi  concernono tecniche di terapia intensiva che comportano una migliore speranza di vita e di sviluppo ottimale e talvolta una più breve permanenza nell’incubatrice, o comunque una minore fragilità immunitaria del bambino se venisse a contatto coi genitori. (Ibidem)

Queste tecniche prevedono un’assistenza termica perché questi bambini hanno una temperatura che si abbassa molto in fretta, un’assistenza nutrizionale che si effettua con sonde o sistemi a perfusione intra-venosa, e nei casi più gravi un’intubazione e una ventilazione assistita.(Ibid.)

Questo può spaventare i genitori.

Da parte sua, il neonato è un essere che vive, che tenta di comunicarsi e che necessita di amore e di sentire il contatto della pelle della propria madre, non solo di cure mediche. (Spitz,R.A.,1962)

Come favorire la relazione quando cure intensive sono tuttavia necessarie?

Come integrare i genitori nei servizi di maternità e neonatologia?

Può essere utile ridurre le loro paure, che potrebbero interferire con le attitudini genitoriali e con le capacità di mettersi in relazione col figlio (vedere il piccolo in una tale condizione di sofferenza è forse quanto di più lontano dall’immagine preesistente del bambino perfetto).Sembra inoltre consigliabile renderli partecipi e tentare di ricongiungere appena possibile la mamma e il suo bambino. (Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)

Quando giunge questo momento, molte mamme quasi non osano toccare il figlio e preferiscono affidarsi al personale ospedaliero, a loro dire più competente. (Romito,P.,1992) Prima queste richieste venivano spesso assecondate, la tendenza attuale sembra essere invece quella di rassicurare queste donne sulle loro capacità materne, assecondare i loro ritmi, mostrare loro “come si fa”: insomma aiutarle a scoprire il loro istinto materno.(Rousseau,H.,1993)

L’isolamento causa sofferenza, ma sebbene questo distacco impedisca momentaneamente la messa in atto dei sistemi d’attaccamento, allo stesso tempo può favorire tali sistemi in futuro: è opinione di alcuni operatori del settore che il recupero successivo della relazione sia immediato poiché il ricongiungimento è fortemente anelato (testimonianza raccolta presso il Dipartimento di Solidarietà Sociale della Provincia di Torino,cfr. par.3.1.1)

Parlando con un’ostetrica che ha più di vent’anni di esperienza nel suo lavoro[19], è emerso che il vissuto e il problema più ricorrente nelle madri di bambini prematuri è il senso di colpa.

In base a questa testimonianza, la madre si sente in colpa perché si attribuisce la responsabilità dello stato in cui si trova il suo bambino: ella sente di non aver portato a termine il suo compito accorciando i tempi della gravidanza. (cfr.Brazelton,T.B.,1991)

In alcuni casi (si vedano oltre le cause socio-economiche e psichiche), vi è effettivamente una parte di responsabilità nella donna, ma anche qualora non vi sia la minima responsabilità da parte sua, il senso di colpa s’instaura ugualmente. (Castelfranchi,C., et al.,1994)

Questo sentimento così potente è presente anche in assenza di colpe reali: di qui la sua ineluttabilità. (Ibidem)

Le cause di un parto prematuro possono dividersi in : cause di ordine medico, socio-economiche, e psichiche. (Rousseau,H.,1993)

Le cause mediche riguardano essenzialmente la presenza di antecedenti quali: aborti, neonati nati morti, minacce d’aborto, malformazioni uterine, rottura prematura delle membrane, e quando è previsto un parto gemellare.

Alcune cause di ordine socio-economico sono: il fumo, l’alcolismo, la tossicodipendenza; lo svolgere un lavoro troppo faticoso, la cattiva sorveglianza della gravidanza; le situazioni familiari problematiche quali attendere un figlio senza la presenza del partner e provenire da un ambiente molto povero; o ancora avere meno di vent’anni o più di quaranta,o avere altri figli di cui occuparsi. (Ibidem)

Le cause psichiche appaiono meno chiare e difficilmente quantificabili.

Infatti tali cause, più che essere definite a priori, sono riscontrabili a posteriori analizzando i singoli casi.(Peri,G.,1992) Alla base sembra esserci una tendenza espulsiva che prevale su quella ritentiva, e il fatto di non riuscire più a tollerare l’angoscia. (Soifer,R.,1985, Brustia,P.,1996)

Occorre in merito ritornare su quanto detto in precedenza sulla percezione del rivolgimento interno del feto al settimo mese di gravidanza, e sul conseguente incremento dell’angoscia.

Scrive la Soifer: “In tutti i casi di parto prematuro che abbiamo avuto modo di osservare, vi era una relazione stretta fra la percezione del rivolgimento e la crisi di angoscia. L’analisi della situazione ha sempre rivelato un incremento dell’angoscia a livelli insostenibili”.(Ibidem, pag.41)

L’autrice cita in proposito il caso di una donna che, pur essendo ben disposta verso la maternità e avendo già due figli, in seguito all’acutizzarsi di problemi economici che riattivavano in lei antichi timori infantili, partorì al sesto mese e mezzo di gestazione, dopo aver percepito il processo di rivolgimento interno. (Ibidem)

Come emerge da questo caso, cause socio-economiche e psichiche possono coesistere, in verità si è notato che questo accade di frequente: le condizioni familiari ed economiche influiscono sul benessere psicologico, specie in un momento delicato come la gravidanza.(Romito,P.,1992)

E’ opportuno a questo punto analizzare il momento della separazione in un parto prematuro.

Questo momento, come è stato detto, si può considerare di per sé traumatico (Wolff,L.,1999), ma in più il bambino prematuro passerà da uno stato di simbiosi con la madre ad uno stato ambientale che per lui reca molti pericoli, e alla separazione brutale seguirà l’isolamento.(Peri,G,1992) Questa fragile creatura verrà subito staccata da sua madre e si troverà in un ambiente sconosciuto, dove subirà una serie di interventi e non potrà sentire la voce della mamma, ma solo il rumore delle macchine che lo circondano (Rousseau,H.,1993). Questo punto appare importante, e per questo vi si ritornerà a proposito dei possibili interventi volti a favorire il recupero della relazione madre- bambino: come si vedrà, secondo alcune ricerche intervenire con la musica può avere un ruolo benefico. Ma siccome di questo si rifletterà oltre, si chiede al Lettore un po’ di pazienza.

Il parto prematuro può essere previsto o imprevisto.

Nel caso in cui sia stato precedentemente diagnosticato, la donna conosce il rischio cui va incontro; ella viene di frequente messa sotto osservazione e a riposo nel reparto maternità o di ginecologia, dove l’equipe medica tenta di ritardare il più possibile il parto perché si avvicini al suo termine normale.(Ibidem)

Nel frattempo, in base a quanto viene insegnato alla Scuola per ostetriche professioniste La Forge à Metz , l’ascolto alle famiglie e la disponibilità da parte del personale ospedaliero sono importanti.

Una procedura consigliata in questa scuola, è quella di far visitare ai futuri genitori la struttura e spiegare loro come verrà curato il bambino dopo la nascita: può servire ad attenuare l’angoscia poiché una situazione nota, per quanto sgradevole, è in genere meglio di una sconosciuta e che coglie impreparati.

In ogni caso, per quanto la donna possa essere preparata a questo evento, i sui vissuti saranno molto simili a quelli di chi affronta una nascita prematura imprevista. (Ibid.)

Quest’ultima circostanza sembra essere ancor più penosa e brutale, soprattutto perché il passaggio dalla fantasia alla realtà (una realtà drammatica per giunta) si è svolto troppo bruscamente e senza che la donna vi fosse preparata. (Ibid.)

La donna prova sentimenti contrastanti, colpa, inadeguatezza, insoddisfazione. Tutto è rimesso in causa e necessita una rielaborazione.(Soifer,R.,1985, Brazelton,T.B.,1991)

Il bambino tanto atteso e sognato è così diverso da ciò che ci si aspettava, così piccolo e fragile.(Ibidem) Ecco perché si può parlare di rottura del legame: il neonato deve essere immediatamente preso in carico dal personale medico anziché riunirsi a sua madre e suo padre.

E’ l’equipe dell’ospedale che prenderà a questo punto le decisioni concernenti il bambino: il rischio che si corre è quello per i genitori di disinvestire il loro bambino. Per questo sembra utile renderli partecipi di quello che accade. (Rousseau,H.,1993)

Se il parto non è stato vissuto nelle condizioni sperate può assumere il valore di un atto mancato. Inoltre la condizione e l’assenza del bambino provocano una ferita narcisistica nei genitori. (Brazelton,T.B.,1991)

Nella donna può manifestarsi uno stato depressivo.(Rousseau,H.,1993)

Tutto questo è ancora più vero quando la nascita è avvenuta col parto cesareo sotto anestesia totale.(Ibidem)

A questo proposito, il dottor T., che lavora all’ospedale “Santa Croce” di Moncalieri, afferma con fierezza che egli pratica il cesareo senza anestesia totale, per non far perdere alle donne un momento importante come quello del parto: altrimenti, cito, “mancherebbe loro un pezzo”.

Dopo un parto prematuro la separazione è ancora più dolorosa.(Ibid.)

Risulta difficile per mamma e bambino sperimentare quello stato che Winnicott chiama preoccupazione materna primaria, in cui il piccolo può godere dell’attenzione esclusiva della sua mamma.(Winnicott,1971)

Un altro “pezzo che manca”. Infatti la donna avrà appena il tempo di vederlo e toccarlo prima che venga portato via. (Brazelton,T.B.,1991)

Oggi si cerca di lasciare per qualche istante il neonato sul ventre materno prima di allontanarlo, sempre che le condizioni del piccolo lo permettano.(Rousseau,H.,1993)

A questo punto occorre elaborare il lutto per la perdita del bambino immaginario, ma ciò avviene anche tramite l’attaccamento al bambino reale, e purtroppo nel caso di una nascita prematura l’attaccamento si realizzerà solo in secondo tempo perché manca il contatto, e  quella comunicazione speciale, quel dialogo pre-verbale tra mamma e bambino non può al momento essere sperimentato.(Ibidem)

Se dopo il parto si prova una sensazione di svuotamento, dopo un parto prematuro questa sensazione viene accentuata dalla mancanza del bambino: non solo si perde la fusione, ma anche la relazione, o comunque la possibilità di costruirla. (Soifer,R.,1985)

Secondo questa prospettiva, quindi, non solo si è interrotto quel dialogo fatto di calcetti così familiare e rassicurante, ma nemmeno si può instaurare un nuovo tipo di dialogo, questa volta col bambino in carne e ossa, poiché questi si trova in un’incubatrice anziché fra le braccia di sua madre.

Alla luce di tutto questo, appare più chiaro perché si parli di perdita della relazione. Ma la relazione può essere recuperata, ed è compito di tutti gli operatori del settore e di tutti coloro che siano coinvolti in questa situazione chiedersi cosa si può fare per favorire questo recupero. (Wolff,L.,1999)

Può essere utile chiedersi quali mezzi usare a questo scopo: alcune recenti ricerche identificano nella musica un possibile strumento (Delalande,F.,1982,Wolff,L.,1999).


2.2 Recuperare il legame

 

 

Recuperare la relazione tra la madre e il bambino significa favorire le condizioni per l’instaurarsi di quel legame innato che è stato interrotto.

Non sempre è facile, come nel caso di una nascita prematura in cui prima che alla relazione si pensa all’incolumità di un neonato fragile e bisognoso di cure mediche. Ma anche in questa circostanza, privilegiare un aspetto non significa dover necessariamente escluderne un altro.

Anche la musica può essere uno strumento di relazione. (Lecourt,E.,1980)

Secondo uno studio condotto a Metz (Rousseau,H.,1993), essa acquista il valore di un oggetto transizionale perché si colloca in quell’area che sta tra la madre e il bambino.

Si è detto che la comunicazione fra la mamma e il suo bambino comincia quando i due si guardano negli occhi e si toccano, quando la pelle del piccolo entra in contatto con quella della donna.(Bowlby,J.,1989)

Strumenti di comunicazione come la voce e il canto si accompagnano naturalmente a questo contatto fisico, ma dato che si tratta di uno stadio preverbale si tende ad attribuire ai suoni poca importanza, come se la voce e il canto acquistassero valore solo nel momento in cui si possono comprendere le parole e conversare. (Delalande,F.,1982)

Le parole vengono in realtà comprese, ma non nel senso linguistico o della sintassi, esse rappresentano per il neonato uno stimolo che proviene dalla madre, egli impara a conoscere e riconoscere la sua voce, è dapprincipio l’unico suono familiare in mezzo a molti altri “rumori di fondo” che si odono. (Cfr. l’effetto Brazelton, in Cramer,B.,2000, pag.182).

Da ciò si può dedurre che il piccolo sia in grado di apprezzare la dolcezza del canto molto prima di poter capire il significato delle parole.

A questo proposito è emblematica una scena del film Tre scapoli e un bebé (remake americano del film francese Trois hommes et un berceau, ovvero tre uomini e una culla), in cui i tre protagonisti si trovano ad occuparsi di una neonata senza preavviso e senza avere alcuna esperienza in materia; nella scena in questione, uno dei tre tenta di addormentare la piccola leggendole qualcosa, ed ha sottomano solo un giornale sportivo: comincia allora con voce vellutata a leggere la cronaca di un incontro di boxe, con particolari piuttosto cruenti. Quando un altro dei protagonisti lo sente, subito lo rimprovera -“Sei matto! Leggere queste cose a una bambina!”- ma l’altro lo tranquillizza: “Non preoccuparti, non conta quello che si legge, ma l’intonazione della voce”.

Si tratta ovviamente di un film ad intento comico, non di un documentario su come si allevano i bambini, ma sembra un buon esempio di come a volte gli adulti tendano a riconoscere il valore delle parole solo in funzione del contenuto, perché per loro esse non rappresentano un suono, ma il mezzo comunicativo di elezione (se si escludono coloro che purtroppo non hanno la facoltà di parlare). (cfr. Delalande,F.,1982)

Si andrebbe direttamente al significato, insomma, senza fermarsi al significante (la parola tale quale è scritta) e ai suoni da cui è formato.

La comunicazione nello stadio preverbale è essenzialmente una comunicazione sensoriale, dunque non bisogna dimenticare che comprende tutti i sensi: mamma e bambino si guardano intensamente, i loro corpi si toccano, il loro calore sprigiona le sostanze che si tramutano in messaggi olfattivi, la mamma sente il dolce sapore del suo bambino baciandolo e il neonato sente il sapore del seno, del latte, del capezzolo che gronda latte (quanti sapori in uno!); infine ma non ultimo i due membri della relazione si scambiano messaggi uditivi: la mamma parla, canta e sussurra al suo piccolo e questi emette a sua volta dei vocalizzi, peraltro diversi a seconda della circostanza e dei bisogni che vi sottostanno. (Peri,G.,1992)

Alcuni sono concordi sul non sottovalutare quest’ultima modalità espressiva, del resto è la prima in assoluto utilizzata dal neonato al momento della nascita: i suoi occhi sono ancora chiusi, l’ambiente circostante è sconosciuto e difficile da interpretare, egli non può fare altro che esprimere il suo disagio piangendo e gridando. (Delalande,F.,1982,Wolff, L.,1999)

Si potrebbe dire che la vita comincia con un suono.(Attali,J.,1977)

Didier Anzieu[20] afferma che la comunicazione originaria tra il neonato e l’ambiente materno e familiare è uno specchio sia tattile che sonoro.

Inoltre il corpo ha una memoria in cui ogni stimolo rimane inscritto. (Castets,B.,1986,op.cit. in Rousseau,H.,1993,pagg.43-44)

In base a questa prospettiva, la miglior cosa sembra essere che la modalità sonora e quella tattile si accompagnino. Nei casi in cui questo non sia possibile, o comunque non in modo continuativo, come nel caso di un neonato prematuro che si trova in un’incubatrice e non può essere toccato da sua madre, sarebbe utile allora cercare  di toccarlo, di raggiungerlo almeno con la voce: è probabile che si sentirà meno solo e isolato, e che la madre si sentirà meno in colpa. (Soifer, R.,1985, Rouseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)

E se la madre non potesse restare vicino all’incubatrice? Allora la musica può diventare uno strumento per prolungare quel contatto anche solo vocale che si era cercato di stabilire. (Ibidem, Delalande,F.,1982)

I contributi sopracitati propongono, oltre alle cure mediche, che si favoriscano le cure relazionali: il personale ospedaliero può allora proporre l’uso di nastri musicali, o cantati, e magari delle cassette su cui sia registrata la voce materna. In base ad alcune ricerche, sembra che il bambino possa entrare  in tal modo in relazione con sua madre, ed ella sente a sua volta che tale relazione viene incentivata dalle persone che la circondano: l’intento collaborativo può essere di grande aiuto e ridurre l’isolamento. (Couronne,M.,1988, Estournet,B.,1992, op. cit. in Rousseau,H.,1993; Wolff,L.,1999)

Da questi contributi di deduce che non bisogna permettere che la relazione venga oltremodo interrotta.

Inoltre i genitori, scegliendo e portando delle registrazioni musicali possono sentirsi utili, infatti apportano il loro contributo: non sono tagliati fuori dalle cure che vengono prestate a loro figlio e hanno la possibilità di entrare in relazione con lui. (Ibidem)

La madre può così sentire di portare il suo contributo alla relazione, cominciare a superare l’angoscia e sviluppare l’attaccamento al bambino.

Il bambino entrerà a fare parte del mondo della madre, poiché fruisce di qualcosa che proviene da lei; ella avrebbe dunque un mezzo per farsi conoscere: condividere con il bambino la sua canzone preferita, o il racconto di un fatto avvenuto nella giornata. (Ibid.)

In tal modo si aiuterebbe anche quel processo di differenziazione che permette di vedere ed accettare il bambino come altro da sé, e di elaborare il lutto della perdita di una parte di sé. (cfr. Deutsch,H.,1945)

Pare che sia efficace far ascoltare al neonato musiche o canti che udiva quando si trovava nel ventre materno. Infatti degli studi hanno dimostrato che il feto reagisce agli stimoli sonori (Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton, T.B.,1991) e altri studi testimoniano che il bambino riconosce le melodie ascoltate dalla madre durante la gravidanza (L’esperienza di Feijoo sul tema Pierino e il lupo di Prokofiev).

Brazelton sottolinea che, qualunque sia la tecnica utilizzata per fornire sostegno alla madre, ogni professionista deve prestare molta attenzione al problema dell’amor proprio: l’attaccamento verso il bambino deludente (ovvero diverso da quello della fantasia), può svilupparsi solo se si riesce a superare la ferita narcisistica. Questa ferita è ancora più accentuata se si tratta di un neonato prematuro o che è affetto da anomalie. (Ibidem)

Sempre Brazelton sostiene che anche un bambino affetto da gravi anomalie può sviluppare un attaccamento molto forte da parte dei genitori (nella realtà si trovano esempi che lo confermano, a volte anche più forte che per neonati “normali”), ma bisogna fornire sostegno e puntare sull’aspetto relazionale, poiché solo le gratificazioni ricevute dalla relazione compensano il dolore causato da una ferita dell’amor proprio.(Ibid.)

Non bisogna stupirsi di questa ferita: non si dimentichi che un bambino comincia all’interno della madre, e in quanto tale rappresenta una parte intima di se stessa visibile all’esterno. (Langer,M.,1951)

I medici e il personale che assiste mamma e bambino giocano quindi un ruolo importante nel recupero della relazione, e per questo è bene che tengano conto di tutti i possibili fattori e differenziare gli aiuti senza perdere di vista che il fine ultimo, oltre al benessere dei singoli membri, è il favorire un legame soddisfacente. (Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)

Le due cose vanno comunque di pari passo, dato che il buon svolgimento della relazione dipende in gran parte dal benessere dei suoi membri.

Spitz definisce normale la relazione madre-figlio quando essa soddisfa sia la mamma sia il bambino.(Spitz,R.A.,1962) Per favorirne il recupero bisogna quindi pensare sia alla mamma che al bambino.

Il personale medico dovrà prestare particolare attenzione laddove vi siano ulteriori circostanze che possono mettere a repentaglio il benessere comune: sono fattori di rischio una depressione persistente della madre dopo il parto e antecedenti medici quali l’aborto.(Rousseau,H.,1993)

Ad esempio in un caso di parto prematuro cui era preceduto un aborto, può verificarsi un rifiuto del bambino da parte della madre, la quale teme di rivivere il trauma della perdita di un figlio e sviluppa quello che Bowlby chiama lutto anticipatorio.(Bowlby,J.,1983)

In base a ciò sarebbe dunque opportuno considerare una molteplicità di fattori e, se occorre, proporre un supporto psicologico laddove il semplice sostegno dell’ambiente circostante, medico e familiare, non basti.

Un intervento può non escluderne un altro, e anche qualora fosse necessario un aiuto da parte di uno psicologo, l’utilizzo della musica può rivelarsi uno strumento di comunicazione, come pure la voce materna (Aucher,M.L.,1991).

E’ possibile abbinare ad interventi medici un utilizzo della musica come mezzo relazionale, avvalendosi degli eventuali vantaggi che essa può fornire all’ambito terapeutico: ne sono esempi Bernard Auriol e Michel Couronne. Il Dottor Auriol è uno psichiatra e psicoanalista di Toulouse, che ha cercato un legame fra psicoanalisi e ascolto della musica, riassumendo le sue conclusioni in un articolo divulgativo dal titolo Psicoanalizzare l’ascolto (Auriol.B.,1999), comparso recentemente su dei siti Internet.

Il Dottor Couronne è un medico specializzato in neonatologia che lavora in una clinica di Metz; egli s’interessa dell’importanza degli strumenti sonoro e musicale durante la gravidanza, e dell’ambiente sonoro che circonda il bambino nato prematuramente. Al fine di eliminare stimoli sonori nocivi al bimbo, egli ha concepito un apparecchio chiamato Sonincub (Couronne,M.,1988), e per fornire stimoli musicali gradevoli propone alle famiglie nel reparto di neonatologia l’utilizzo di registrazioni musicali da far ascoltare al loro figlio.

Per questo suo interesse, il dottor Couronne collabora con François Jacquemot, direttore dell’Istituto di ricerca e formazione in musicoterapia La Forge, a Metz.

La voce può aiutare a stabilire un contatto fra mamma e bambino (cfr. Aucher,M.L.,1991); anche la musica può fungere da strumento relazionale.

Anche nella vita di tutti i giorni un adulto, se si trova lontano da casa, desidera telefonare ai propri cari e ascoltare magari quelle stesse musiche che ascolta insieme a loro, che gli sono care e familiari: tutto ciò lo fa sentire più vicino a loro, non è probabilmente come abbracciarli, ma nel frattempo stabilisce un contatto che contribuisce a mantenere il legame.

La musica dunque, può essere un mezzo efficace per colmare il vuoto che si può provare dopo la nascita, specie in casi in cui il vuoto è causato dall’assenza del bambino accanto alla madre, o accentuato da vissuti problematici come quelli  considerati in questa sede.(Rousseau,H.,1993, Benassi,E.,1998)

Alla base di questa ipotesi vi sono delle evidenze empiriche concernenti le percezioni sonore del bambino prima e dopo la nascita: già nel ventre materno, infatti, il bambino reagisce a stimoli sonori provenienti dall’esterno. (Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton,T.B., Cramer,B.,1991).


2.3 La musica come strumento di relazione

 

                                                     La nostra scienza ha sempre voluto sorvegliare,

                                                     contare, astrarre e castrare i sensi, dimenticando che

                                                     solo la vita è rumorosa e solo la morte è silenziosa:

                                                     rumori del lavoro, rumori degli uomini e rumori

                                                     degli animali. Rumori comprati, venduti o proibiti.

                                                     Non succede niente d’essenziale laddove il rumore

                                                     non sia presente.                             (Jacques Attali)

 

 

Il mondo sonoro è qualcosa che tutti condividiamo, ma accade raramente che ci si concentri sulla produzione musicale oppure sui rumori.

Si è molto studiato, ad esempio, il gioco infantile, ma non il suo aspetto sonoro; eppure esso è spesso rumoroso. (Delalande,F.,1982)

Si sa ancora poco sulla produzione sonora infantile e del neonato, ma la predisposizione ai suoni e il comportamento musicale sono molto precoci. (Ibidem) La musica, insieme di suoni organizzato, s’inserisce fin da subito nella comunicazione fra mamma e bambino: basti pensare ad una madre che canta una ninna-nanna per acquietare il suo piccolo.

Delalande e Dumaurier hanno svolto delle ricerche per dimostrare che le produzioni sonore nella prima infanzia non sono casuali, ma svolgono delle funzioni ben precise. Facendo un passo indietro, altre ricerche hanno provato che il sistema uditivo raggiunge completa maturazione a partire dal quinto mese di vita intrauterina, e che il feto reagisce agli stimoli esterni.(Ibidem, Tomatis,A.,1983)

Di qui l’ipotesi che il precoce sviluppo della funzione uditiva vada studiato in una prospettiva relazionale in quanto favorisce la comunicazione precoce. (Ibid.) Su questa base si può affermare che anche la musica può rappresentare uno strumento relazionale. (Wolff,L.,1999)

Scrive Edith Lecourt che la musica costituisce un mediatore che possiede un potere affettivo tutto particolare legato alla precocità dello sviluppo uditivo rispetto agli altri sensi. (Lecourt,E.,1980)

L’udito è il primo senso a svilupparsi, insieme al senso cinestesico, e configura una parte del mondo esterno; il primo mondo del neonato è un mondo uditivo e cinestetico. (Ibidem)

In questa prospettiva può essere quindi utile considerare la musica come uno strumento nella relazione precoce madre-bambino.

 

 

2.3.1 Definizione di musicoterapia e di tecniche psicomusicali.

 

 

Vi sono diverse definizioni di musicoterapia, a seconda che si privilegi un dato aspetto piuttosto che un altro, o dell’obbiettivo che si vuole raggiungere; non esiste dunque una musicoterapia, ma varie possibili realtà di uso della musica, che hanno diverse strutture teoriche di riferimento e diverse tecniche di utilizzo. (cfr. Postacchini, P.L.,1997)

Una prima fondamentale distinzione, secondo Pascal Rivière, è da operare tra  musicoterapia attiva e passiva. La prima è centrata prevalentemente sulle produzioni sonore o sul lavoro della voce per facilitare la comunicazione con adulti o bambini in difficoltà: il soggetto si esprime tramite i toni della musica e i suoni; la seconda invece prevede l’ascolto di una serie scelta di melodie. (Fonte: sito internet www.laforge.fr)

Ciò che accomuna molte definizioni, è che il mezzo musicale permette di superare dei blocchi, e favorisce la relazione con gli altri. (Aucher,M.L.,1991, Lecourt,E.,1980)

Essa costituisce inoltre un’efficace modalità espressiva e comunicativa quando le altre non bastano più o non sono attuabili. (Wolff,L.,1999)

Nel presente lavoro si fa riferimento in particolare a questi ultimi aspetti.

Le applicazioni della musica in ambito clinico stanno registrando in Italia un forte sviluppo, che però non è sempre inquadrato in modelli teorici e metodologici coerenti. (Postacchini,P.L.,1997)

Ciò che sta alla base, è che le strategie d’intervento e le tecniche applicative della musicoterapia postulano l’uso della musica come parametro relazionale non verbale. (Ibidem)

Le tecniche psicomusicali consistono nell’utilizzare il suono o la musica per uno scopo che non è lo studio della musica di per sé o per apprendere a suonare uno strumento, ma piuttosto un modo per aiutare una persona in difficoltà in un momento ben preciso.(Pascal Rivière)

Ne fanno parte le tecniche di rilassamento sotto induzione musicale, praticate ad esempio dal Dottor Bernard Auriol, l’analgesia per mezzo del suono, la musica nella chirurgia dentale o nell’ostetricia, l’uso della musica in chinesiterapia e psicomotricità.(Ibid.)


2.3.2 Musica e maternità

 

 

Sono diversi i possibili collegamenti tra la musica usata come strumento di relazione e la maternità.

L’applicazione della musica può trovare spazio ad ogni stadio della relazione madre-bambino fin dai suoi albori: durante la gravidanza, al momento del parto e dopo la nascita.

Prima della nascita, il suo uso sembra  volto principalmente a favorire la tranquillità della madre, e secondariamente al bambino in due sensi: direttamente in quanto il bambino è in grado di percepire i suoni già all’interno del ventre materno, e indirettamente in quanto fa parte della madre e il benessere dell’una coincide con quello dell’altro. (Benassi,E.,1998)

Durante il parto la musica è diretta alla madre perché sembra che faciliti l’espulsione. (Aucher,M.L.,1991, Ibidem)

Dopo il parto il suo utilizzo è volto essenzialmente a favorire la relazione.

Nonostante le varie possibili applicazioni, la diffusione della musica nei servizi rivolti alla maternità è ancora scarsa, e anche in letteratura esistono a tutt’oggi pochi scritti in proposito: spesso si tratta di articoli che appaiono sulle riviste specializzate.(Jacquemot,F.,1999)

Le premesse teoriche che sottostanno a queste applicazioni sono già state in parte esposte nei paragrafi precedenti, per spiegarne meglio i presupposti e riflettere sulla loro effettiva utilità, s’intende ora citare alcuni esempi di applicazioni della musica nella relazione madre-bambino.

Un primo esempio, per seguire in ordine cronologico le tappe della relazione, sono i corsi preparatori al parto che utilizzano la musica.

Fra questi compaiono alcuni dei corsi attivati nelle strutture ospedaliere, alcuni corsi di ginnastica di preparazione al parto che si svolgono nelle palestre, o di ginnastica in acqua nelle piscine; vi sono poi corsi di yoga per la gravidanza che associano le tecniche di rilassamento proprie di questa disciplina a quelle musicali focalizzandole sulla gravidanza, e che si tengono nelle scuole di yoga. (Auriol,B.,1999, Palmegiano,F.,1987)

Dato che sono andata a documentarmi personalmente in una di queste scuole , dove sono state raccolte alcune testimonianze da parte di chi pratica yoga durante la gravidanza, se ne discuterà oltre nella parte in cui verrà esposta la breve indagine svolta.

Un contributo che costituisce un valido riferimento teorico è quello di Alfred Tomatis, creatore di uno strumento chiamato “l’orecchio elettronico”, che permette di sentire la propria voce mentre si parla, esempio di come medicina e musica possano coesistere.

Il fondatore del “metodo Tomatis”, è un medico otorinolaringoiatra, specializzato in foniatria, figlio di un cantante d’opera, che ha esercitato molti anni a Parigi concentrandosi inizialmente sul rapporto tra capacità uditive e fonazione. Egli farà delle scoperte che porteranno alla fine degli anni ‘50 all’enunciazione di alcune leggi riassunte sotto il nome “effet Tomatis”, l’effetto Tomatis: 1)la voce contiene solo ciò che l’orecchio può udire;2) la voce si modifica al modificare dell’udito;3)una stimolazione uditiva può trasformare la fonazione. (Tomatis,A.,1987)

In seguito il suo metodo si svilupperà estendendosi a diversi campi d’applicazione quali: le difficoltà d’apprendimento (lettura, memoria, comprensione, concentrazione, dislessia), lo sviluppo personale (problemi di stress, comunicazione, impostazione della voce) e l’accompagnamento delle donne incinte, di qui l’attenzione per la sua opera.

Adilà delle applicazioni psicologiche del metodo, ciò che colpisce sono le riflessioni di Tomatis sulla vita intrauterina: è allora che il desiderio di comunicare ha origine, è in questo periodo infatti che comincia a svilupparsi la funzione uditiva, e che per trasmissione dei liquidi si ricevono le primissime stimolazioni acustiche. (Ibidem, 1983)

Queste stimolazioni sono ancora più importanti se si pensa che giocano un ruolo nella maturazione del cervello.(Ibid.)

Scopo di Tomatis è riattivare i processi uditivi del periodo pre-natale, grazie al suo strumento orecchio elettronico e all’ausilio di musiche da esso filtrate.

Si tratta di ricostituire la natura dei suoni che hanno sollecitato l’ascolto durante la vita intrauterina, in modo da risvegliare la memoria associata all’ambiente circostante dell’epoca prenatale.

Il principio su cui si fonda il metodo è dunque semplice, e il metodo si può dividere in tre fasi: riattivare l’ascolto arcaico (Tomatis lo definisce “liquido”), per tornare alla memoria fetale, portatrice del desiderio originario di comunicare; lo stato di riattivazione di questa memoria pre-natale deve essere mantenuto per un tempo sufficiente ad attuare il desiderio di comunicare, con l’aiuto della stimolazione ottenuta per mezzo della voce materna; infine, il ritorno progressivo ad un ascolto “aereo” che porterà ad un parto psicologico e permetterà alle basi di questo desiderio di comunicare, così riattivate, di riorganizzare i meccanismi della comunicazione. (Ibid.)

Il lavoro di Tomatis è complesso e per comprenderne a fondo ogni aspetto sarebbe necessaria una trattazione più approfondita, ma ciò che conta in questa sede è di trovare degli esempi di come la musica possa portare un contributo alla medicina ed ai processi di sviluppo e rigenerazione psicologica. Inoltre il contributo di Tomatis dimostra che nella nostra epoca possono coesistere l’uso di sofisticati strumenti e il ritorno all’arcaico, inteso come pre-natale , all’ascolto dei meccanismi più primitivi.

Un altro contributo che può essere utile citare proviene questa volta dall’Italia: è un esempio di come si possa integrare l’uso della musica nell’accompagnamento alla maternità. Si tratta del lavoro di Elisa Benassi, ostetrica e musicoterapeuta che da alcuni anni si interessa della percezione sonora del bambino in epoca prenatale e dell’uso e degli effetti della musica in gravidanza; gestisce corsi di preparazione al parto con l’elemento sonoro-musicale, chiamati “Nascere in musica” presso il reparto di ostetricia dell’Ospedale C.Poma a Mantova, dove si pratica il parto cantato.

Il canto prenatale, che nasce in Francia negli anni ’70 con Marie Louise Aucher, fondatrice della psicofonia, testimonia un grande risveglio umano e culturale all’interno dell’attività istituzionalizzata, in un’epoca di crescente medicalizzazione. (cfr. Oakley,A.,1985)

L’attuazione di tale pratica, per la quale fu comprato un pianoforte dalla maternità di Pithiviers nel 1977, quella stessa che oggi viene chiamata “maternité chantante”, maternità che canta, rappresenta per qualcuno un recupero della tradizione. (Aucher,M.L.,1991)

La manifestazione vocale è espressione dell’istintività umana e avvicina la donna incinta al bambino che porta dentro di sé. (Benassi,E.,1998)

Secondo le ricerche in atto presso L’Ospedale C.Poma, sembra che utilizzare il potere della voce migliori la comunicazione prenatale, e che fin dalle prime doglie sia anche un metodo per soffrire meno durante il travaglio: a Mantova viene dunque attuata per la prima volta una tecnica sperimentale di parto dolce che utilizza il canto e che si basa sulle proprietà analgesiche che quest’ultimo sembra possedere.

Questa forma di autoanalgesia deriva dal fatto che  il corpo, mentre si canta, libera endorfine, le sostanze calmanti prodotte dal nostro organismo (il loro nome sta per morfine endogene), attenuando così la sofferenza psicofisica. (Benassi,E.,1998)

Viene proposto in questo modo un approccio scientifico ad un’abitudine, quella di cantare durante il parto, propria di culture lontane come quella indiana e marocchina. (Wolff,L.,1999)

A questo va aggiunto che il canto, in quanto forma di comunicazione con il feto, sembri infondere alla mamma e al bambino la certezza che tutto va per il meglio, riducendo così l’angoscia legata all’evento.

Il canto può dunque diminuire i dolori del parto. Vediamo come.

Durante il travaglio è naturale gemere e gridare per manifestare e tollerare il dolore, cantare pare che permetta di esprimere tensione e sofferenza e inoltre aiuta la respirazione agendo sul diaframma, che contraendosi la rende più difficoltosa; in questo modo il corpo si rilassa. (Ibidem)

Cantare potrebbe servire anche a mantenere salda la concentrazione della partoriente sulle sensazioni che provengono dal corpo, facilitando l’espulsione.

Per la preparazione ad un parto di questo tipo, si segue una certa metodologia: si svolgono degli incontri con un/una musicoterapeuta negli ultimi due-tre mesi di gestazione, nei quali viene insegnato alle donne a rilassarsi con l’aiuto della musica.(cfr. Benassi,E., Auriol,B., Aucher,M.L.)

Dalla musica, scelta e mirata, si passa al canto e al controllo della respirazione per rendere meno dolorose le contrazioni.

Oltre al rilassamento che induce, è noto che la musica ha un forte potere evocativo (Auriol,B.,1999), il suo ascolto potrebbe quindi portare con sé delle immagini che risvegliano paure annullandone i benefici: per questo è essenziale la vicinanza di un/una professionista che col suo sostegno fughi i timori aiutando la futura mamma a comprendere lo stato in cui si trova.

Il dolore delle contrazioni viene limitato non solo dal benefico effetto del canto, ma anche dalla visualizzazione di un’immagine positiva che aiuta a ritrovare un equilibrio, che, come si è visto precedentemente, è messo a dura prova dalla gravidanza e dal parto.(cfr. Soifer,R.,1985)

In sintesi, la musica è un’efficace strumento e un mezzo per comunicare con il bambino prima, durante e dopo la nascita.

A partire dal quinto mese di gravidanza, (Brazelton,T.B.,1991) il bambino percepisce i suoni: reagisce alle stimolazioni esterne e riconosce il battito cardiaco della mamma e il ritmo della sua respirazione, infatti nel parto dolce il neonato viene appoggiato sul petto della madre perché possa sentire il suo battito cardiaco e sentirsi nuovamente al sicuro grazie a un suono riconoscibile come familiare: è importante in un momento in cui il piccolo appena nato sembra mancare di punti di riferimento.

Al sesto mese di gestazione, il feto reagisce alle stimolazioni uditive: è possibile registrare dei cambiamenti del suo ritmo cardiaco in relazione ad una stimolazione sonora. (Ibidem)

Il canto materno diventerà un ulteriore suono di riconoscimento e di contatto anche dopo il parto, basterà che la mamma accenni la sua canzone per contribuire a ricordare immediatamente al bambino la calma dello stato perinatale.

La memoria sonora potrebbe restituire ad un neonato che si trova in ospedale in una situazione d’isolamento, un contatto con la mamma.

Sono stati fatti degli esperimenti che dimostrano che il bambino riconosce le melodie ascoltate dalla madre in gravidanza, essi consistevano nella diffusione subito dopo la nascita di un brano  ascoltato di frequente nel corso degli ultimi mesi di gravidanza: i neonati che piangevano si calmavano e quelli con gli occhi chiusi aprivano gli occhi. (Esperienza di Feijoo con il tema Pierino e il lupo di Prokofief, cfr.Wolff,L.,1999)

Il Dottor Couronne, a capo del servizio di neonatologia della Clinica C.Bernard di Metz, ha introdotto l’uso di estratti musicali da far ascoltare ai bambini appena nati allo scopo di minimizzare il dolore per la separazione e di sostenere la relazione tra i genitori e il bambino.

Come si può vedere, vi sono diverse possibilità d’impiego della musica, e anche del canto, in ostetricia e neonatologia.

L’utilizzo della musica negli ambiti legati alla maternità presenterebbe secondo questi contributi dei vantaggi sia per il bambino, che per i genitori, ed è un valido supporto alla relazione madre-bambino, specie in casi di difficoltà e di perdita temporanea del legame.

La musica, come l’uso della voce, può dunque agire a diversi livelli e in diversi momenti: la sua forza è soprattutto di coesione e di rilassamento (Auriol,B.,1991), una forza che può vincere la separazione che vivono sia la mamma che il bambino.

Il suo impiego costituisce un cordone ombelicale sonoro (Couronne et.al.,1988), che non sostituisce altre cure o tipi di trattamento, ma rappresenta un efficace alleato che, anche laddove non esistano patologie particolari, può essere utile prendere in considerazione.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

                            PARTE TERZA:

UN’ESPERIENZA NEL CAMPO DELLA MATERNITA’: TESTIMONIANZE A                       CONFRONTO


                    3) DESCRIZIONE DI UN’INDAGINE

                        SU MATERNITA’ E SERVIZI

 

3.1 Scopo e ipotesi dell’indagine

 

 

La breve indagine che verrà presentata, rappresenta un tentativo di trovare un riscontro nella realtà all’ipotesi del presente lavoro e ai dati teorici emersi dalla documentazione  esaminata.

Essa non ha valore scientifico, ma si limita a verificare quali siano le strutture esistenti sul territorio aventi un proposito legato alla maternità, e a raccogliere alcune testimonianze da parte di coloro che operano e che fruiscono di tali servizi.

L’indagine è stata svolta nell’arco di tre mesi nella città di Torino e nei paesi limitrofi, e nella città di Saint Etienne e paesi limitrofi, in Francia.

L’ipotesi di partenza è che la musica apporti un contributo significativo nel recupero della relazione madre-bambino, e che favorisca il rilassamento durante la gravidanza, anche accompagnandosi ad attività di preparazione al parto. (Benassi,E.,1998) Si voleva dunque trovare delle strutture che proponessero attività volte alla maternità, e fra quelle andare eventualmente a verificare se si utilizzasse la musica, in che modo e con quali vantaggi.

Dopo aver stabilito che l’attesa di un bambino è contraddistinta non soltanto da sentimenti di gioia, ma anche da momenti di angoscia, occorre chiedersi cosa si può fare per attenuare questa angoscia, o per aiutare le donne a comprenderne il significato, dando loro un sostegno in un momento così importante e delicato.(Soifer,R.,1985,Brazelton,T.B.,1991)

Nonostante le recenti acquisizioni in campo medico e psicologico, e la loro diffusione al di fuori degli ambienti specializzati, sembra che la gravidanza desiderata sia vista ancora come una scelta libera da conflitti e che le difficoltà connesse vengano considerate come qualcosa da accettare stoicamente e senza resistenze perché la madre è per tradizione incline a sopportare qualunque sacrificio. (Hollingworth,L.,1916,Oakley,A.,1985)

E’ vero che oggi vi sono molti vantaggi che un tempo non esistevano e che la donna può usufruire di numerose attività e tecniche che facilitano il buon decorso della gravidanza (cfr. Palmegiano,F.,1992), ma ciò che emerge dalla mia esperienza è che le strutture che propongono tali attività sono ancora poco visibili, poco incoraggiate dalle istituzioni e che le donne che vi partecipano sono in verità poche rispetto al numero di gravidanze.

Se è vero che nuove acquisizioni in materia e informazioni di ogni tipo sono oggi alla portata di molti, bisognerebbe però aiutare le donne ad organizzare queste conoscenze, e ad armonizzarle con antichi luoghi comuni che, seppure smentiti dalla scienza, restano nella mentalità collettiva e continuano ad influenzarla. (Badinter,E.,1981)

E’ probabile anche che, data l’imperante medicalizzazione del parto e la crescente importanza ricoperta dalle istituzioni (Oakley,1985), sia compito di queste ultime proporsi e spendersi per dare ascolto alle future mamme e fugare i loro timori.

E’ sperabile trovare un atteggiamento più propositivo, collaborativo e aperto alle sperimentazioni proprio da parte delle strutture ospedaliere.

Scopo dell’indagine è quello di individuare la “rete” che gravita intorno alla maternità, per sapere dove una donna incinta possa rivolgersi in caso di necessità: ebbene è emerso che questa rete non è centrale ma periferica.

Occorre spiegare: ci si aspetterebbe di ricevere più informazioni e più proposte di attività negli ospedali, nei consultori, in quelle strutture cioè legate per tradizione all’assistenza delle gestanti e partorienti, invece si è trovato un maggior riscontro in strutture connotate meno fortemente in tal senso, come palestre e scuole di yoga.

Per questo si può definire la rete periferica, perché non c’è una struttura centrale che indirizzi verso tali servizi, ma bisogna arrivarci passando per le strutture “esterne” e meno specializzate.

C’è da chiedersi se questo dipenda dal fatto che nel domandare queste informazioni io mi sia presentata nel mio ruolo, cioè quello di una laureanda che prepara una tesi: forse le donne che aspettano un bambino ricevono direttive più precise (c’è da augurarselo), o non hanno bisogno di chiedere informazioni poiché trovandosi già all’interno di questa rete vengono naturalmente a conoscenza delle offerte a disposizione.

Rispondere a questa domanda è difficile, si dovrebbe condurre un’indagine ben più dettagliata e mirata, o trovarsi nella condizione di donna incinta. Vero è che nel tentare di trovare servizi indirizzati a gestanti e partorienti, ci si trova a volte di fronte a un muro, e ad operatori che hanno difficoltà a capire che cosa si cerchi e perché, e anche una volta compresi questi punti non conoscono nessun tipo di attività e non sanno dove indirizzare.

Che io mi sia spiegata male? Possibile, ma la carenza nella risposta permane. Che io mi sia rivolta alle persone o nei posti sbagliati? Possibile, ma ho fatto diverse ricerche in tal senso, numerose telefonate e mi sono recata in diversi posti. Una donna che aspetta un bambino e desidera cercare servizi e attività di sostegno e di preparazione al parto deve compiere tutti questi spostamenti per venire a conoscenza di qualcosa?

Probabilmente è più facile che venga informata da un’amica che già fruisce o ha fruito in passato del servizio in questione, o dal medico curante (il che è difficile da scoprire in un ambito d’indagine come questo, difficilmente si possono contattare tutti i ginecologi e le ginecologhe della città per chiedere informazioni confidenziali relative alle loro pazienti!).

Le strutture tentano forse di compensare un’adeguata attività informativa contando sul meccanismo del passaparola o delegando e lasciando la responsabilità ai singoli medici.

Aldilà di queste considerazioni, la cui veridicità non è facile da dimostrare perché non poggiano su dati oggettivi e quantificabili, un dato è certo: il legame fra maternità e musica è ancora debole e poco conosciuto, mentre nel corso della mia esperienza sono stati spesso menzionati altri campi d’applicazione della musica.

Gli obbiettivi dell’osservazione da me svolta non potevano dunque limitarsi a trovare quel legame in particolare, né al solo recupero della relazione madre-bambino, ma ad un’area d’indagine più ampia, in cui recuperare il legame significa anche occuparsene prima ancora di averlo perso, in modo, forse, da evitare che possa venire reciso in seguito. (Wolff,L.,1999)

L’obbiettivo, dunque, non è stato quello di svolgere un’indagine completa e con strumenti di rilevazione precisi, ma di acquisire delle conoscenze sul campo, piuttosto che solo teoriche, e di trovare degli spunti di riflessione che solo dall’esperienza diretta sarebbero potuti emergere.

Ne verranno ora esposti i passi salienti.


3.1.1 Come ho intrapreso l’indagine

 

 

Ero già in fase di stesura quando sentivo crescere in me l’esigenza di trovare un riscontro pratico alle teorie e alle ipotesi che sempre più numerose si stavano formando in me in seguito allo studio dei testi.

Gli autori più conosciuti, i libri, le parole altisonanti sono alberi affascinanti che offrono riparo, ma non voglio riposare alla loro ombra (prendo in prestito le parole della poetessa e scrittrice Katherine Mansfield, credo che non potrei trovarne di più efficaci e belle): volevo agire, mettermi in gioco in prima persona, sperimentare la relazione e non solo analizzarla in maniera teorica. (Mansfield,K.,1977)

Per poter fare questo, però, era necessario prima documentarsi, per avere una base teorica da cui partire e sapere con chiarezza cosa cercare.

Dopo aver raggiunto una conoscenza teorica a mio avviso sufficiente per lanciarmi nell’osservazione diretta, ho incominciato a interrogarmi su cosa volessi trovare: ebbene ciò mi era piuttosto chiaro, quello che non sapevo di preciso era come e dove cercare.

Quello che s’intendeva trovare erano delle strutture, pubbliche o private, con un proposito legato alla maternità (servizi di sostegno alle donne durante la gravidanza, centri di preparazione al parto e di assistenza dopo il parto), e una volta trovati i centri preposti a tali servizi, verificare quali siano le cause più frequenti di perdita o interruzione temporanea del legame madre-bambino, intesa come vissuto di perdita e non perdita effettiva.

Si voleva infine verificare se in tali strutture venisse impiegata la musica allo scopo di aiutare nel recupero del legame temporaneamente perso/interrotto e se dal suo impiego si potessero trarre effettivamente dei benefici.

Ho cominciato nel modo più ovvio e immediato: prendendo l’elenco telefonico e le Pagine Gialle per verificare quanti e quali fossero gli ospedali in Torino e nei paesi limitrofi ad avere un reparto di ostetricia e ginecologia, e le cliniche private predisposte ad offrire un tale servizio.

Ho trascritto su un foglio i dati che m’interessavano, con relativi indirizzi e numeri di telefono, e i nomi dei medici responsabili dei reparti di maternità di modo da sapere a chi rivolgermi eventualmente in futuro (avevo trovato una decina di recapiti).

Prima di buttarmi a capofitto nelle strutture ospedaliere, pensai che dovevo cercare altre fonti perché certamente esplorare in un’unica direzione non è sufficiente ad avere un quadro di riferimento completo.

Volevo arrivare a scoprire la “rete” di servizi che gravitano attorno alla maternità, rete che pur doveva esistere ma che non era facile da individuare. Mi sono messa nei panni di chi avesse bisogno di trovare le stesse informazioni che necessitavo io, ma non a scopo di studio come nel mio caso, ma per effettivo bisogno: ebbene cosa e come può una persona in tali condizioni di bisogno trovare questa rete?

Forse rivolgendosi direttamente al medico curante, ma io in quanto studentessa/ricercatrice non avevo un medico curante; però sono una donna, quindi ho chiesto alla mia ginecologa e alle ostetriche che collaborano con lei nel consultorio della ASL della mia circoscrizione: il medico in questione non sapeva dove indirizzarmi e un’ostetrica con diversi anni di servizio alle spalle sembrava aver capito cosa cercassi e con sicurezza mi diede il nome e il recapito di un medico che lavora in un’altra ASL e che chiamerò il dottor M.

Ho telefonato in seguito a questo numero, e prima di trovare la persona che mi era stata segnalata parlai con un altro medico, al quale spiegai chi fossi, cosa desiderassi e il motivo della mia richiesta; egli sembrava non capire e cominciò a pormi diverse domande con un tono che definirei sospettoso, dopo mi disse quando avrei potuto trovare il dottor. M. e io lo ringraziai e gli chiesi il suo nome per sapere con chi avessi parlato.

Ritelefonai al dottor M. sperando che mi fissasse un appuntamento per illustrarmi i servizi e le strutture di cui sembrava essere il responsabile, ma questi rimase incredulo e mi rispose che da alcuni anni non si occupava più delle suddette attività, ma che insegnava educazione sessuale nelle scuole insieme alla persona con cui avevo parlato nella telefonata precedente .

Chiesi dunque se poteva indirizzarmi verso un’attuale responsabile o luogo, e mi disse di tornare nel consultorio da cui provenivo e di rivolgermi all’ostetrica R. Quando lo feci scoprì che si trattava della stessa ostetrica a cui mi ero già rivolta e che con sicurezza mi aveva mandato dal dottor M.

Proseguii non senza un certo stupore la mia ricerca nel consultorio, dal quale, mi dissi, doveva pur risultare qualcosa (si tratta di una struttura che mi è sempre parsa fornire un servizio soddisfacente), e vidi che sullo stesso piano era appena stato aperto uno sportello di assistenza psicologica.

Non esitai a domandare, ma non seppero fornirmi nessuna indicazione sui servizi che stavo cercando.

Pensai allora di cercare le associazioni e cooperative che operano sul territorio e mi recai dunque alla sede della Regione per visionarne un elenco. Consultai il sito Internet della Regione e della Provincia per ottenere qualche conoscenza prima di andare di persona, ed annotai alcune associazioni che a mio avviso potevano avere un qualche interesse in merito, e che poi contattai in futuro.

Negli uffici della Regione e della Provincia fui trattata con molta gentilezza, e anche se non esisteva un elenco ufficiale di ciò che cercavo, mi indirizzarono al Dipartimento di Solidarietà Sociale della Provincia, in cui ha sede fra l’altro il SAMI (Servizio di assistenza per la maternità e l’infanzia), che ospita una comunità alloggio per gestanti e madri in difficoltà.

Mi sembrava un’ottima occasione di conoscenza, aldilà di quelli che avrebbero potuto essere gli sviluppi inerenti ad un qualunque uso della musica: ormai il mio bisogno di conoscenza esulava dal voler raccogliere dei dati per la tesi di Laurea ed era alimentato da un genuino interesse per le sorti delle gestanti e delle madri bisognose d’assistenza.

Già m’immaginavo la comunità alloggio, e come poteva essere la relazione tra una madre e un bambino che deve nascere, o che è appena nato, in una circostanza così diversa da quella di un nucleo familiare.

Ma stavo correndo troppo con la fantasia, e non dovevo perdere di vista gli obbiettivi della mia indagine. Senza ulteriori indugi mi recai sul posto e cercai qualcuno a cui potermi rivolgere, speravo di poter discretamente visitare la struttura, e magari in un secondo tempo intervistare alcune delle ospiti della comunità: quante cose avrei voluto chiedere loro.

Mi dissero che dovevo parlare con un’assistente sociale responsabile del luogo, di cui ovviamente non farò il nome, ma che chiamerò F.

Per riuscire a contattare telefonicamente questa persona dovetti fare circa una dozzina di telefonate, e dopo un certo tempo riuscii a trovarla e ad ottenere un appuntamento, che fu in seguito disdetto per suoi impegni di lavoro, e al quale ne seguì un altro che non fu ulteriormente rimandato.

Arrivai puntuale all’appuntamento, mi chiesero di attendere in una stanza; dopo mezz’ora F. mi ricevette e ci spostammo nel suo ufficio, in cui si trovava il Dottor T., che lavora nella comunità alloggio e in un noto ospedale di un paese appena fuori Torino.

L’incontro non si svolse come avevo immaginato durante la lunga attesa che lo aveva preceduto.

Dopo aver esposto brevemente lo scopo della mia indagine e l’argomento della mia tesi, pensavo di poter chiedere qualche informazione sul servizio che l’istituto fornisce, ma stranamente mi sentivo sotto esame, perché F. e il Dottor T. continuavano ad interrogarmi sull’ipotesi della mia tesi, ed a contraddire, seppure con gentilezza, ogni mia affermazione (si noti che si trovavano in disaccordo non solo con me, ma con ben più illustri personaggi che si sono espressi in merito prima che io nascessi).

Ero ben disposta ad accontentare ogni loro curiosità e ad accogliere opinioni diverse dalla mia, specie provenienti da chi ha un’esperienza lavorativa nel settore, ciò nondimeno percepivo una certa reticenza a fornirmi dei dati.

F. non acconsentì a farmi visitare la struttura, credo per salvaguardare l’intimità delle ospiti, ma non me ne spiegò il motivo, in ogni caso mi disse che sì la comunità alloggio era rivolta anche alle gestanti e alle mamme con figli appena nati, ma che in realtà vi arrivavano donne con bambini che avevano già alcuni anni.

Non seppi molto di più, ma se ho ben compreso, i problemi delle madri di cui F. e i suoi collaboratori si occupano sono di ordine legale, giudiziario, sociale. Io credo che problematiche di questo tipo abbiano comunque una ripercussione sulla relazione (Bowlby,1989, Romito,1992), ma non mi è stata fatta menzione di nessun intervento volto al recupero, e in ogni caso non si tratterebbe più di relazione peri e postnatale.

Il dottor T. mi disse che nell’ospedale in cui lavora non vi sono utilizzi del sonoro per favorire la relazione o comunque non ne era mai venuto a conoscenza; volle parlarmi di quanto fosse ben organizzata l’azienda ospedaliera in questione, mi citò delle cifre relative al numero di parti per anno e, con un certo orgoglio, disse di avere l’abitudine di praticare il cesareo senza anestesia totale, per non far perdere alla donna un momento così importante. Si può essere d’accordo sul fatto che partorire in anestesia totale  rappresenti un mosaico al quale mancano alcune tessere, alle donne resterebbe probabilmente solo l’indolenzimento fisico a testimonianza di questo evento, tuttavia è probabile che sia una decisione che spetti alla madre in prima persona, perché anche affrontare il parto con la prospettiva di un taglio cesareo visibile e doloroso potrebbe compromettere l’evento…Troppe sarebbero le considerazioni da fare e troppo scarsa la mia esperienza su questa particolare questione: non ho la pretesa di esaurire ogni punto, si può sostenere che questa  dovrebbe comunque essere una scelta della donna, la quale ha il diritto di essere informata a fondo dal medico su tutte le possibilità e sui risvolti che recano con sé, e in seguito sentirsi libera di decidere e appoggiata in ogni sua decisione.(cfr. Soifer,R.,1985, Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992)

Riguardo alle nascite premature, questo medico disse di non condividere l’idea che rappresentino una perdita della relazione, perché nella sua esperienza ha visto donne che non vedevano l’ora di ricongiungersi al bambino e che una volta accaduto non avevano problemi. Certo, ma nel momento del ricongiungimento siamo già nella sfera del recupero della relazione, la perdita e l’isolamento sono precedenti.

Devo dire con rammarico che speravo di acquisire più conoscenze da questo incontro, e che anche dal punto di vista relazionale non è stato molto arricchente, ma se il dubbio è fonte di conoscenza futura, in questo è stato uno scambio di valore perché mi ha consentito d’interrogarmi su una questione importante: le istituzioni e gli operatori del settore, fino a che punto svolgono il loro lavoro esclusivamente finalizzandolo ai bisogni dell’utenza, in questo caso le donne incinte o che hanno già partorito?

Perché talvolta sembra non esserci un intento collaborativo e aperto ad ogni contributo, ma un desiderio di rivendicare le proprie convinzioni? Già Ann Oakley lamentava atteggiamenti di questo tipo, leggendo anche alcuni interventi come finalizzati a favorire il medico più che la partoriente (come il partorire distese). (Ibidem)

Perché F. mi ha illustrato i vari convegni e manifestazioni a cui ha preso parte, anziché dirmi cosa legge negli occhi di una madre che ha bisogno di aiuto, e cosa le susciti la loro relazione?

Sono domande a cui spero un giorno di trovare una risposta.

Ho svolto indagini dello stesso tipo in una zona della Francia, (Regione Rone-Alpes, Dipartimento Loira) e nel corso della mia pur limitata esperienza ho trovato nelle istituzioni un atteggiamento più informale, più collaborativo e più desideroso di trasmettere informazioni e condividere conoscenza, per questo dedicherò ad un incontro che ho avuto oltralpe un breve paragrafo a parte. Bisogna anche dire che là sono più abituati e perciò aperti al discorso sull’utilizzo della musica, che da noi è meno diffuso. (cfr. Postacchini,P.L.,1997, Benassi,E.,1998)

Prima, però, vorrei aggiungere altri passi che ho compiuto in questa “esperienza pratica non guidata”.

Mi sono avvalsa del nuovo grande mezzo di comunicazione, Internet, e ho scambiato informazioni e opinioni in rete con persone appartenenti ai Forum di discussione del Sito Ufficiale Italiano di musicoterapia, e di un analogo sito francofono: è stato interessante venire a conoscenza direttamente dai professionisti che lavorano in questo campo, delle acquisizioni i materia e degli usi che fanno del mezzo musicale. A livello relazionale l’esperienza è inconsistente, ma per ottenere pareri e testimonianze in breve tempo e da un gran numero di persone contemporaneamente è molto efficace.

Da questa fonte, però, ho appreso che quelli che si occupano di musica in relazione alla maternità sono così poco numerosi da potersi contare sulle dita di una mano. (www.mtonline.it, www.egroups.aecouteasbl.fr)

Sempre via Internet, ma in seguito anche telefonicamente, ho contattato otto Associazioni che forniscono assistenza medica, o aventi un proposito legato alle donne: tra queste sei mi hanno risposto, ma non agiscono per la maternità, una mi ha risposto proponendomi di partecipare ad incontri per le donne nella speranza di trovarvi qualche testimonianza sulle dinamiche relazionali durante e dopo la gravidanza, ma non era lo scopo dei suddetti incontri, e da una non ho avuto risposta.

L’ultimo passo da me compiuto, è stato quello di cercare e contattare delle palestre che tengano corsi di ginnastica preparatoria al parto: tramite Elenco Telefonico, Pagine Gialle e pagine Utili ne ho individuate quattro, di cui due sono centri sportivi e due sono scuole di yoga.

Nei due centri sportivi mi è stato detto che la musica non viene usata con uno scopo preciso, ma è presente in alcuni casi come sottofondo, e in molti casi è assente. I loro corsi proponevano lezioni di ginnastica in acqua, individuali e di gruppo.

Delle due scuole di yoga, invece, con una sono riuscita a parlare solo attraverso segreteria telefonica e non sono stata contattata; per l’altra ho potuto parlare con la persona che tiene i corsi e che chiamerò Marta, e con due frequentatrici del corso.

Per la lettura di tali testimonianze si veda oltre.


3.2 L’incontro con Janine

 

 

Dopo aver preso accordi telefonicamente, mi sono recata alla Clinica Michelet a Saint Etienne un giovedì pomeriggio all’ora convenuta.

Non ho avuto problemi a trovare il posto, essendo la Clinica situata in una zona centrale e avendo precedentemente consultato una cartina della città.

L’entrata somiglia a quella di un hotel, accanto alla porta d’ingresso spiccano le targhe con i nomi dei numerosi professionisti che vi lavorano: ostetriche, ginecologi, infermiere specializzate, cerco il nome di uno psicologo ma non lo trovo.

Entro, e dopo aver lasciato il mio nome alla reception vengo subito ricevuta da Janine, in un piccolo ufficio al quarto piano.

Janine è un’infermiera specializzata responsabile del quarto e quinto piano della clinica, dove si trovano rispettivamente la neonatologia e quella che viene chiamata “Unité Cangourou ”: unità canguro.

Vengo accolta con molta gentilezza e dopo un breve scambio di parole (parlo correntemente il francese, non ho dunque problemi a domandare tutto ciò che m’interessa) subito chiedo se è vero ciò che è risultato dalla mia indagine, cioè che si tratta dell’unico centro ospedaliero privato in città e dintorni specializzato in ostetricia e ginecologia; ricevo conferma di questo dato.

Chiedo poi cosa propongano in più o di diverso rispetto ad una struttura pubblica, e Janine mi parla dell’unità canguro.

Essa è dedicata ai bambini prematuri, per i quali s’interviene con il contatto e si cerca di eliminare o ridurre il più possibile l’isolamento.

 

Questa pratica è nata inizialmente da un’esigenza di ridurre i costi e dalla proposta di un medico argentino, ed in seguito si è rivelata come apportatrice di molti benefici: Janine mi ha spiegato che prima avevano un couveuse con le incubatrici, mentre ora praticano il rooming in e la mamma è libera di tenere il piccolo con sé il più a lungo possibile se lo desidera. (cfr. Soifer,R.,1985, Romito,P.,1992)

Nei casi più gravi, quando i bambini devono restare costantemente nell’incubatrice in una sala a parte, le mamme e i papà sono ammessi nella stanza senza grosse limitazioni, interagiscono col personale e alle mamme è permesso di prendere e di toccare il neonato, come auspica il Dottor Couronne di Metz.

La “canguro terapia” consiste nell’appoggiare il corpo del bambino nudo su quello nudo di sua mamma, così le loro pelli si toccano e la madre, con l’aiuto del personale, impara ad occuparsi da subito del proprio figlio e non ne rimane separata.

Come mi è stato riferito, i vantaggi fisici per il bambino sono innegabili: sono più tonici e progrediscono più in fretta. Inoltre non sono isolati.

I vantaggi per la mamma sono altrettanto importanti: diminuisce il loro senso di colpa, vengono rese responsabili del loro bambino, hanno meno paura perché possono avere un contatto normale e quindi non pensano di avere un figlio anormale, sono aiutate dal personale ad occuparsene ed acquistano presto sicurezza nel farlo. (cfr. Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)

Inoltre in questa clinica vengono massaggiati i neonati e s’insegna alle madri a farlo correttamente.

La Soifer sarebbe probabilmente d’accordo su questo atteggiamento: promuovere il contatto, evitare l’isolamento.(Ibidem)

Come scrive Spitz, all’inizio la corrispondenza tra i bisogni della madre e quelli del bambino si esprime nella ristrettezza del contatto fisico. Un tempo e in altre società, questo contatto della pelle costituisce un fattore estremamente importante, che permette lo sviluppo del bambino in un clima di sicurezza. (Spitz,R.A.,1962)

Nel mondo occidentale, il contatto cutaneo fra la madre e il bambino è stato progressivamente e artificialmente ridotto. Spitz lo interpreta come un tentativo di negare l’importanza del legame madre-bambino nocivo per le generazioni future. (Ibidem)

Tornando al mio colloquio con Janine, chiesi anche qualcosa sull’utilizzo della musica, e mi rispose che lei, quando c’era il nido, soleva mettere della musica classica (ad esempio Beethoven) la notte e constatava che questa aveva un effetto calmante: i bambini smettevano di piangere e si addormentavano. Gli stessi effetti sono stati riscontrati in una ricerca condotta all’Ospedale C.Bernard a Metz da Lydie Wolff (1999).

Oggi le mamme della clinica di Saint Etienne mettono spesso nelle loro stanze delle registrazioni musicali per loro e per il loro bimbo.

Inoltre vorrei citare una frase che ho trovato sulla brochure della clinica:

“Su vostra richiesta, dei brani musicali appositamente scelti vi accompagneranno al momento del parto”.

Vorrei solo aggiungere che ho potuto visitare la clinica, e constatare il buon livello d’interazione fra le giovani mamme e i loro piccoli, e che questa esperienza mi ha lasciato un ricordo molto positivo.


3.3 L’incontro con Marta

 

 

Marta ha un’esperienza ventennale nell’insegnamento dello yoga e da alcuni anni tiene corsi di yoga appositamente concepiti per la gravidanza e la preparazione al parto, nonché dei seminari sull’argomento.

L’appuntamento era stato fissato telefonicamente con qualche settimana d’anticipo e confermato due giorni prima.

Appena arrivai nella scuola di yoga di Torino, di cui non farò il nome, fu la stessa Marta ad accogliermi e mi pregò subito di togliermi le scarpe, come del resto recitava anche un cartello sulla porta d’ingresso.

Mi dissi che sarebbe stato un colloquio informale.

Eravamo sole e abbiamo potuto parlare per più di mezz’ora con tranquillità.

La stanza aveva i muri color zafferano e il pavimento arancione, c’era profumo d’incenso nell’aria: l’impatto sensoriale era forte e per me piacevole. Ci sedemmo a terra su un cuscino, anch’esso arancione.

Come già avevo fatto con Janine, chiesi il permesso di prendere qualche appunto per non dimenticare delle nozioni importanti.

Marta mi disse subito che nelle lezioni di yoga normalmente non utilizza basi musicali, ma in quelle per la gravidanza sì: lo yoga è per la mamma e la musica è per il bambino, anche se poi vi è una circolarità per la quale ciò che fa trarre un beneficio alla mamma ne costituisce uno anche per il bambino che di lei è parte, e la musica aiuta anche le donne a focalizzarsi sull’attività di rilassamento. (cfr. Palmegiano,F. e Auriol,B.)

Ciò che a mio avviso è molto interessante è la scelta delle musiche: devono essere molto dolci e ricordare la terra, che simboleggia la madre, e l’acqua, che riconduce all’ambiente intrauterino; questo elemento favorisce nella madre l’identificazione col feto, che abbiamo visto essere un vissuto tipico specie delle prime settimane di gravidanza.

L’acqua simboleggia anche la donna e madre, soprattutto l’immagine della luna che si specchia nell’acqua.

Immagini di questo tipo si creano nella mente grazie all’ascolto della musica e alla focalizzazione sensoriale: la percezione si lega al suono e nella mente si crea un’immagine.

I principali strumenti che vengono utilizzati nello yoga per la gravidanza sono i centri energetici, i mantra, i mudra e il bhrammari.

I centri energetici sono la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria (che respiriamo) e l’etere (al di là dell’aria); i primi due sono femminili, il terzo e il quarto maschili fino ad arrivare all’ultimo che è neutro e universale.

Mantra deriva da due parole sanscrite: manas , che significa mente, e traya, ovvero liberazione; i mantra sono numerosi e sono come dei suoni, perché ognuno corrisponde ad un suono diverso e tramite essi si calma e si libera la mente. (cfr. Palmegiano,F.,1992)

I mudra associano i mantra a dei gesti con le mani, per canalizzare l’energia e stimolare la respirazione [21]. La respirazione nella parte bassa, per esempio, potenzia l’energia in quella parte del corpo.

La tecnica chiamata bhrammari è di particolare interesse per il presente lavoro perché utilizza il suono della voce: essa produce un suono che ricorda quello dell’ape.

Lo yoga è una tecnica di rilassamento che considera la globalità della persona, formata da mente, corpo, energia e spirito. (Ibidem)

Vi sono degli aspetti di questa disciplina per i quali sembra molto ben associabile all’idea della maternità e utile a contrastare le sopracitate difficoltà relative alla gravidanza e alla gestione della relazione nel mondo di oggi.

La stessa parola yoga deriva dal verbo yuj che significa vincolare, unire, perciò lo yoga è un’esperienza di unione, come la gravidanza.

Appare adatto a chi è incinta perché non coinvolge solo il corpo ma le emozioni, che bisogna saper ascoltare. Aiuta a ritrovare l’equilibrio in un mondo in continuo cambiamento, e di ritrovare e ascoltare la parte più profonda di se stessi (Metodo Satyananda).

Inoltre stress e preoccupazioni sono spesso il risultato di uno stile di vita focalizzato su eventi passati o futuri, lo yoga aiuta a ritrovare la consapevolezza del presente.

Ma il valore di questa disciplina cresce con l’utilizzo della musica.

Inoltre questi corsi di preparazione al parto hanno anche dei vantaggi secondari ma non meno importanti: come sostiene la Soifer, infatti, oltre al beneficio intrinseco che se ne ricava, permettono di trovare sostegno nel gruppo, proteggendo così dalle angosce. (Soifer,R.,1985)

Mi sono chiesta, e ho chiesto a Marta, se le donne che si avvicinano a questi corsi praticavano yoga anche prima della gravidanza, ebbene emerge un dato interessante: su 10 donne che frequentano le lezioni, 8 non avevano mai praticato yoga in precedenza.

Come vedremo dalle testimonianze che seguono, quando si aspetta un figlio nascono nuove esigenze.


3.3.1 Miriam

 

 

Miriam è al sesto mese di gravidanza, è sposata ed ha già un bambino di un anno e mezzo.

Si definisce una persona molto attiva, sempre in movimento, poco portata a fermarsi e riflettere. Anche nella scelta delle attività nel tempo libero, si è sempre orientata verso sport di forza e velocità, come lo sci.

Non ha mai praticato yoga, ma ne ha sentito parlare da sua cognata che invece lo ha già sperimentato.

Ciò che l’ha spinta a frequentare il corso di yoga per la gravidanza è l’esigenza di fermarsi per essere più tranquilla e avere l’occasione di concentrarsi sulle sue sensazioni.

Miriam non lamenta angosce particolarmente acute, ma vuole vivere con pienezza questa seconda maternità.

Un altro motivo che l’ha spinta è il bisogno di ritagliare uno spazio che sia solo suo e del bambino che aspetta: a differenza della prima gravidanza, ora ha un bambino piccolo di cui occuparsi e non vuole penalizzare nessuno, neanche se stessa.

Ma pensa a se stessa soprattutto per il piccolo che porta in sé: il concepimento non è stato particolarmente pianificato, esattamente come il primo, ma adesso non vuole più lasciare nulla al caso.

Non si può dire se tragga beneficio dal corso perché è alla sua prima lezione, ma sembra che la consapevolezza e i propositi con cui è venuta costituiscano già da soli un’ottima premessa.

E’ arrivato il momento di fermarti, Miriam.


3.3.2 Evelyn

 

 

Evelyn è alla sua prima gravidanza, è sposata ed è entrata nell’ottavo mese; non aveva mai praticato lo yoga prima di essere incinta.

Dice di essere un tipo nervoso, ma da quando frequenta il corso è più calma.

Molto vivace, Evelyn, descrive suo marito come una persona di temperamento opposto: tranquillo, anzi decisamente pigro.

Ha deciso di frequentare questo corso proprio per le capacità di rilassamento che si attribuiscono tradizionalmente allo yoga, e per questo lo ha preferito ai corsi di ginnastica preparatoria al parto.

Anche Marta, che la segue ogni venerdì da circa due mesi, dichiara di vederla cambiata, è più tranquilla e lo si vede dalla postura, dall’andatura, dal modo di parlare.

Evelyn ha imparato a percepire e a controllare la respirazione: è molto divertita dal fatto che alcune persone inalino più aria dalla narice destra, ed altri dalla sinistra, e sta tentando d’insegnare la respirazione anche a suo marito. Ride, sotto lo sguardo attento di Marta, è serena.

Buona fortuna, Evelyn.


 

Conclusione

 

 

 

La fine di un lavoro, di un’esperienza, è il momento in cui vanno tratte delle conclusioni. Queste dovrebbero risultare coerenti, obbiettive e argomentabili.

Si dovrebbe tenere conto degli obbiettivi di partenza, vedere se siano stati modificati in corso d’opera e in che misura siano stati soddisfatti.

Sarebbe bene poi analizzare il percorso seguito, ripercorrere le tappe ritenute più significative, riflettere sulle nozioni acquisite e sul modo in cui sono state ottenute.

Le conoscenze maturate dovrebbero essere di una qualche utilità per chi le ha acquisite, e di un qualche interesse per chi ne viene reso partecipe.

E siccome ogni lavoro non può rimanere fine a se stesso, ma provocare in noi un cambiamento, non si può non riflettere sulle implicazioni personali e sul feedback di tutta l’esperienza.

Se il tutto viene visto come un viaggio, le conclusioni raggiunte si potrebbero dunque riassumere in una domanda: dove si è arrivati?

Ma occorre procedere con ordine, cominciando dalla scelta dell’argomento su cui verte il presente lavoro.

Tale scelta è nata in seguito al desiderio di unire due interessi: uno presente da tempo, in parte a livello latente, e uno nato recentemente.

Il primo dei due è quello per la maternità e per il suo aspetto relazionale; il secondo riguarda l’uso della musica come mezzo di comunicazione, avendo sperimentato una forma di colloquio sonoro, usando degli strumenti musicali, con la Dott.ssa Porzia Talluri durante un’esperienza pratica guidata all’università di Torino.

Se era possibile comunicare attraverso la musica, doveva essere possibile utilizzarla per veicolare dei messaggi all’interno della relazione madre-bambino.

Si noti che non si è partiti dunque da una conoscenza previa su cui fondare il lavoro, ma da qualcosa la cui esistenza stessa era da verificare.

Uno degli obbiettivi era quindi documentarsi al fine di scoprire se l’ipotesi di partenza, ovvero che la musica possa avere un ruolo nel recuperare una relazione interrotta, avesse un fondamento.

Si sono trovati alcuni contributi teorici che suffragano tale ipotesi.

Ad esempio Edith Lecourt, studiosa molto nota in Francia, scrive che la musica costituisce un mediatore che possiede un potere affettivo tutto particolare legato alla precocità dello sviluppo uditivo rispetto agli altri sensi. (Lecourt,E.,1980)

Il mezzo musicale si rivelerebbe adeguato per relazionarsi con un bimbo appena nato, in quanto il neonato è in grado di percepire i suoni già dalla vita intrauterina: sia quelli interni, ovvero provenienti dal corpo della madre come il battito del suo cuore, sia le stimolazioni sonore esterne, tra cui anche la musica in quanto insieme di suoni organizzato. (cfr. Eisenberg, 1976, in Delalande,F.,1982; Tomatis,A.,1983; Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991; Rousseau,H.,1993; Wolff,L.,1999)

Il precoce sviluppo della funzione uditiva (ibidem), può dunque essere interpretato come fattore favorente la comunicazione, ed essere studiato in una prospettiva relazionale.

Dato che l’utilizzo della musica è necessariamente collegato alla funzione uditiva, se quest’ultima sottende alla comunicazione, allora la musica può essere uno strumento di relazione. (Ibidem)

Perché inserire questo strumento in una prospettiva d’intervento volta al recupero della relazione madre-bambino?

Partendo dal presupposto che l’amore materno non può essere completamente aconflittuale (Langer,M.,1951, Ferraro,F. et al., 1985, Brustia,P.,1996), si è postulato che questo elemento, associato a eventi quali un parto prematuro, possa portare a recidere temporaneamente il legame.

L’isolamento in cui si trova il bambino nato prematuramente, la discrepanza fra lui e l’immagine che se ne aveva prima della nascita, e il senso di colpa della madre per non aver “portato a termine il suo compito” sono stati individuati come fattori causanti la perdita della relazione. (Soifer,R.,1985, Bowlby,J.,1989, Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991, Castelfranchi,C. et al.,1994)

Dal colloquio con un’ostetrica della Clinica Michelet di Saint Etienne, è emerso che ridurre l’isolamento favorisce lo sviluppo del bambino, riduce il senso di colpa materno e, in ultima analisi, aiuterebbe il recupero della relazione (cfr. paragrafo 3.2 e Soifer,R.,1985).Ciò viene attuato nel caso esaminato mediante la cosiddetta canguro-terapia, in cui il piccolo e la mamma stanno a stretto contatto e le loro pelli si toccano. (cfr. Bick,E.,1968)

Sembra inoltre che il bambino, poggiato sul petto di sua madre, riconosca come familiare il suono del battito del cuore perché lo percepiva nel periodo pre-natale, e sembra che questo gli serva da punto di riferimento dopo la nascita. (Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)

Queste recenti acquisizioni confermano che oggi si presta maggiore attenzione all’ambito relazionale anche in maternità e neonatologia. (Peri,G.,1992)

Uno degli scopi del presente lavoro era di cercare degli esempi di applicazione della musica nell’ambito della maternità, e ne sono stati trovati alcuni in Italia (cfr. Benassi,E.,1998) e all’estero (cfr. Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)

Sono apparse particolarmente significative delle recenti ricerche svolte a Metz che confermerebbero l’ipotesi che la musica possa essere uno strumento di relazione da impiegarsi nel recupero del legame genitori- neonati: il Dottor Michel Couronne (ibidem) la chiama “cordone ombelicale sonoro” poiché può unire il bambino prematuro alla madre e al padre.

Sulla base di alcuni studi (Palmegiano,F.,1992, Auriol,B.,1999) si è ipotizzato inoltre che la musica possa venire usata in associazione a tecniche di rilassamento quali lo yoga in preparazione alla gravidanza.

Ebbene le testimonianze ascoltate nell’ambito dell’indagine condotta nel presente lavoro, confermerebbero che particolari musiche appositamente scelte avvicinano la mamma al bambino ponendo le basi per una relazione più consapevole e attenuando le angosce. (cfr. Soifer,R.,1985;paragrafo3.3)

In seguito allo studio di alcuni testi (Rich,A.,1977, Oakley,A.,1985, Romito, P.,1992) si è inoltre giunti alla conclusione che nelle tappe che conducono alla maternità occorrerebbe che l’ambiente sociale che circonda la donna fosse più collaborativo nell’aiutarla a svolgere alcune mansioni (Bowlby,J.,1989), e più comprensivo nel considerare che l’evento nascita non reca con sé solo gioia e soddisfazione, ma anche conflitti, momenti di angoscia e prove da superare (Brustia,P.,1996).

 

In questa tesi sono state fatte quindi alcune considerazioni a proposito della maternità: ne è stato preso in considerazione l’aspetto relazionale fin dagli albori e nelle sue tappe ritenute essenziali, si sono ipotizzate le cause della perdita del legame madre-bambino e alcune possibili modalità per il suo recupero che vedono protagonista l’impiego del mezzo musicale.

Si è fatta inoltre menzione di una pur breve indagine, che contiene alcuni esempi e testimonianze che appaiono utili per verificare se si possa trovare un riscontro pratico ai dati teorici, e che suscitano degli interrogativi che possono essere visti come l’inizio di un futuro piano d’indagine.

L’esperienza pratica ha messo in rilievo degli elementi, in particolar modo grazie all’aiuto delle testimonianze raccolte, che confermano alcune delle premesse teoriche da cui era partita.

Ha stupito il fatto che la figura della madre ha sempre avuto molto rilievo nella nostra società (Badinter,E.,1981), ma nonostante questo le attività di assistenza per gestanti e partorienti sembrano davvero poche.

Forse che la mamma diventa mamma a tutti gli effetti solo dopo un certo numero di anni?

Ciò che è emerso, è che  la maternità possiede mille sfaccettature: non si aveva in principio né si ha adesso la pretesa di averle messe in luce tutte, si ritiene tuttavia che l’andamento seguito dal lavoro sia coerente con le premesse, e che abbia risposto ad alcuni degli interrogativi che erano stati posti in partenza.

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  Web auriol.free.fr   


Psychosonique Yogathérapie Psychanalyse & Psychothérapie Dynamique des groupes Eléments Personnels

© Copyright Bernard AURIOL (email : )

22 Février 2004

©G.Talarico, 2001


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[1] Si vedano in proposito Ferraro F. e Nunziante Cesaro A., 1985, pag.74 e Brustia P., 1996, pag.166.

[2]  Si veda per approfondimenti in merito la sezione 1.2.2 : Aspetti sociali.

 

[3] Brustia , P., 1996

[4] Ferraro F.,  Nunziante Cesaro , A., 1985

[5] Brazelton , T., Cramer , B., 1991

[6] A volte l’efficienza esagerata cela un rifiuto della gravidanza

[7] Cfr. Hélène Deutsch, 1945, Psicologia della donna, Vol. 2.

[8] Vedi pag. 15

[9] Scheler,M., 1913, op. cit. in Schilder, P.,1935, pag.327

[10] Si  veda Romito, P.,1992, pagg.117 e seguenti

[11]Si vedano per approfondimenti Brazelton,T. e Cramer,B.,1991, pag.165, e Brustia,P., 1996, pag.223

[12] Si veda Romito, P., 1992,  pag.121

[13] Hopkins et al. 1984, op. cit. in Romito, P., 1992,  pag.15

[14] Si vedano le pagine 15 e 38

[15] Paykel et al., 1980, op.cit in Romito,P.,1992)

[16] Si veda ad esempio Brustia, P., 1996,  pag.115

[17] Op. cit. in Schaffer,H.R., 1977,  pag.29

[18] Si veda in proposito il paragrafo a pag. 59

[19] Lo si può leggere oltre, si veda il paragrafo 3.2: “L’incontro con Janine”

[20] Op. cit. in Rousseau,H.,1993, pag.43

[21] In questo svolgono la stessa funzione del canto prenatale e durante il parto, cfr. Benassi,E.,1998