Il presente lavoro prende in considerazione la relazione madre-bambino nei periodi pre e peri-natale e subito dopo la nascita, e il ruolo che il mezzo musicale può eventualmente trovare in questa relazione.
L’ipotesi di partenza è che l’utilizzo della musica potrebbe essere uno strumento da impiegare nel legame precoce madre-bambino.
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Questo testo consta di tre parti principali.
Nella prima si riflette su
quelle che possono essere viste come le tappe fondamentali della relazione
precoce madre-bambino: il desiderio di un figlio (perché un bambino “comincia”
prima della nascita, cfr.Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991),
la gravidanza, il parto e il puerperio. La seconda parte ipotizza alcune
condizioni che potrebbero portare a recidere questo legame, in particolare una
nascita prematura, e gli elementi che potrebbero dare un contributo al suo recupero.
L’ipotesi prevede che la
musica si possa inserire tra gli interventi volti a ristabilire il legame in
quanto può venire intesa come strumento di relazione. (Lecourt,E.,1980)
Nella terza parte viene
presentata una breve indagine che ha lo scopo di evidenziare alcune fra le
strutture disponibili al servizio della maternità e quale potrebbe essere il
loro apporto alla relazione.
Nel corso di questa
esperienza sono state ascoltate le testimonianze di coloro che operano in seno
ad attività rivolte alle giovani madri e ai loro piccoli, e di coloro che
fruiscono di tali servizi. Avendo preso in esame sia dei centri con sede in
Italia, che altri con sede in Francia (città di Torino e Saint Etienne),
l’indagine si presta a offrire uno spunto per qualche considerazione sulle
differenze e sulle similitudini riscontrabili fra le due sedi.
Dapprincipio si è voluto
riflettere sull’origine del desiderio di maternità, partendo da alcuni
contributi della letteratura psicoanalitica, che lo ricollegano ad esperienze nello
sviluppo infantile. (Freud,S.,1923-1931, Jones,E.,1927, Klein,M.,1928,
Horney,K.,1933, Deutsch,H.,1945).
Esaminando il lavoro di
alcuni autori (Langer,M.,1951, Soifer,R.,1985, Ferraro,F. et.al.,1985, Brustia,P.,1996), si è visto che la scelta materna non
è libera da conflitti e che comporta una riorganizzazione del mondo psicologico
della madre.
Il periodo della gravidanza
è stato considerato come un periodo di preparazione psicologica per i futuri
genitori, in particolare la madre, all’evento del parto
(Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991). Ne sono stati presi in esame i possibili
significati dal punto di vista psicodinamico e sociale, con particolare
riferimento alle angosce sperimentate dalla donna (Soifer,R.,1985) e a cosa
rappresenti la figura della madre per la comunità (Ross,E.A.,1904,
Hollingworth,L.S.,1916, Rich,A.,1977, Bowlby,J.,1989).
Si è tentato inoltre di
delineare le eventuali problematiche corporee legate alla gravidanza
(Schilder,P.,1935, Ferraro,F., et al.,1985).
Il parto è stato visto essenzialmente
come un evento biosociale (Oakley,A.,1985) e un momento di passaggio
(Fabietti,U.,1991).
Si è posto l’accento sulle
eventuali conseguenze della separazione anatomica, (Deutsch,H.,1945,
Langer,M.,1951, Soifer,R.,1985, Brazelton,
T.B.,1991, Romito,P.,1992,
Brustia,P.,1996) e sulle possibili cause del passaggio dal figlio che si era
fantasticato a quello della realtà.
Si è infatti ipotizzato che
la difficoltà di conciliare le immagini dei due bambini causi una momentanea perdita della relazione. (Ibidem, Schaffer,H.R.,1977,
Bowlby,J.,1983)
Un caso in cui la discrepanza fra fantasia e
realtà sembra essere più evidente è quello del parto prematuro, e tra i fattori
che causerebbero la perdita si ricordano l’isolamento del bambino e il senso di
colpa della madre. (Soifer,R.,1985,
Rousseau,H.,1993)
Pensando al periodo
successivo al parto, si è ritenuto di concentrare l’attenzione su un fenomeno
piuttosto diffuso, la cosidetta depressione post partum (Romito,P.,1992), e
sull’esperienza dell’allattamento (Klein,M.,1957, Bick,E.,1968,
Schaffer,H.R.,1977), di cui
difficilmente si può tralasciare l’importanza facendo riferimento ad uno schema
relazionale.
E’ in questo quadro che si è
pensato d’inserire la musica, in quanto strumento che potrebbe favorire la
relazione (Lecourt,E.,1980, Delalande,F.,1982). La musica, così come il canto,
trova applicazione già nel periodo prenatale e perinatale in funzione
preventiva. (Aucher,M.L.,1991, Benassi,E.,1998)
L’inserimento della musica in questo ambito è suffragato da alcuni studi: quelli che mostrano che gli organi dell’udito cominciano a svilupparsi già a partire dall’ottava settimana di vita fetale (Uziel,1992,cfr.Wolff,L.,1999) ; le acquisizioni sulle percezioni intrauterine (cfr. Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton,TB.,Cramer,B.,1991); gli esperimenti che dimostrano che il neonato riconosce quello che la madre ha ascoltato in gravidanza (esperienza di Feijo, cfr. Wolff,L.,1999)
Non s’intende in questo lavoro eleggere il mezzo musicale ad unica risorsa formativa del rapporto, né tantomeno sostituirla ai comuni interventi di tipo medico e psicologico, ma lo si ipotizza come strumento complementare e supplementare.
Nell’intraprendere questo
lavoro, si è avvertita una difficoltà, insita nella scelta dell’argomento:
parlando della relazione speciale che intercorre fra mamma e bambino si rischia
di dire molte banalità senza peraltro riuscire ad esprimerne veramente il
carattere e la bellezza.
Ma siccome Tarchetti
scriveva “temo immiserire il valore delle mie passioni scrivendole, temo
obliarle tacendole” (Tarchetti,I.U.,1981), per sottrarre all’oblio le possibili
argomentazioni bisogna pur rischiare di cadere qualche volta nel banale.
Si spera non troppo.
PARTE PRIMA:
LA RELAZIONE MADRE BAMBINO
1) Le tappe fondamentali della relazione Pag.8
1.1 Prima della gravidanza: il desiderio di un figlio Pag.10
1.2 La gravidanza:
lavoro psicologico preparatorio Pag.18
1.2.1 Aspetti psicodinamici Pag.23
1.2.2
Aspetti sociali Pag.36
1.2.3 L’immagine corporea in gravidanza Pag.46
1.3 Il parto: separarsi
per unirsi
Pag.52
1.3.1
Il trauma della separazione anatomica
Pag.57
1.3.2
“Incontro” tra il bambino immaginario e il bambino reale Pag.61
1.4 Dopo il parto:
puerperio e allattamento Pag.66
1.4.1
Riorganizzazione del mondo interno della madre e nascita
di una nuova relazione Pag.68
1.4.2
Disturbi post partum: la depressione puerperale
Pag.72
1.4.3
L’allattamento Pag.79
PARTE SECONDA:IL SIGNIFICATO DI PERDITA E RECUPERO
DELLA RELAZIONE
E L’UTILIZZO DELLA MUSICA
2) Il recupero della relazione madre-bambino Pag.89
2.1 La perdita
del legame Pag.91
2.1.1
Un caso di perdita temporanea del legame: il bambino
prematuro
Pag.96
2.2 Recuperare
il legame Pag.106
2.3 La musica come
strumento di relazione Pag.113
2.3.1
Definizione di musicoterapia e di tecniche psicomusicali Pag.114
2.3.2
Musica e maternità
Pag.116
PARTE TERZA:
UN’ESPERIENZA
NEL CAMPO DELLA MATERNITA’:
TESTIMONIANZE A CONFRONTO
3)Descrizione di un’indagine su maternità e servizi Pag.124
3.1 Scopo e ipotesi
dell’indagine Pag.124
3.1.1
Come ho intrapreso l’indagine Pag.128
3.2 L’incontro
con Janine Pag.137
3.3 L’incontro
con Marta Pag.140
3.3.1 Miriam
Pag.143
3.3.2
Evelyn
Pag.144
Conclusione Pag.145
Bibliografia
Pag.150
PARTE PRIMA:
LA RELAZIONE
MADRE-BAMBINO
Per capire la causa dei
problemi relazionali di una madre nei confronti del suo bambino, bisogna
comprendere cosa rappresenti quest’ultimo nei differenti periodi che corrispondono
ad altrettante tappe psicologiche fondamentali : prima della gravidanza, ovvero il desiderio di un
figlio, la gravidanza, il parto e infine il puerperio e l’allattamento.
Ognuno di questi momenti è
caratterizzato da processi psicologici diversi, il cui svolgimento influenzerà
le tappe successive così come è stato influenzato da quelle precedenti.
Essere madre è la più
“naturale” delle esperienze nella vita di una donna, ma al tempo stesso è un evento colmo di significati latenti, di
conflitti, che rimanda al passato ma che proietta indubitabilmente verso il
futuro e che rappresenta per la donna un momento di crisi (nel senso evolutivo
del termine), una svolta e un’occasione di conoscenza.
L’evento della nascita si
inscrive in una doppia prospettiva temporale : lineare nell’ordine delle
generazioni, e circolare nel ciclo nascita - vita - morte.
La maternità é un’esperienza
unica che fa parte dello sviluppo psichico della donna ma che è regolata dal
sistema sociale. E' corretto parlare di diritto alla maternità ? O si tratta in
fondo di un obbligo verso un’umanità che cesserebbe di esistere senza figli ?
Sono domande che bisogna
porsi quando ci s’interroga sul tema, anche se parole come diritto e obbligo
hanno un significante che poco ha a che fare con le immagini di solito evocate
dalla maternità, e che si suole pensare che tale esperienza riguardi unicamente
una mamma e suo figlio.
E’ innegabile, però, che
nella predisposizione biologica della donna a procreare vi sia la garanzia del
perpetrarsi della specie, rafforzata dal fatto, non certamente casuale, che
l’atto sessuale sia così piacevole, e che vi sia nella donna un incremento del
desiderio sessuale nel periodo che precede l’ovulazione, ovvero quello di
maggiore fertilità (Boncinelli,V.,1993).
Riflettere sui meccanismi
che sottendono a questa meravigliosa avventura e analizzare i risvolti che
l’accompagnano, non può e non deve immiserirne il valore, ma sottolinearne
l’importanza rinnovando perennemente lo stupore di fronte alla sua magia.
1.1 Prima della gravidanza: il desiderio di un
figlio
Il desiderio di avere un
figlio, come molti autori affermano, non nasce nel momento stesso in cui si
decide d’intraprendere una gravidanza, ma trae le sue origini dall’infanzia, ed
è influenzato dalle precedenti relazioni con la madre e con il padre.
In quest’ottica la
gravidanza rappresenta un filo che unisce passato e futuro, in un continuum
affettivo e temporale.
L’istinto materno, come
osservano Ferraro e Nunziante Cesaro, è sempre stato considerato nella
letteratura psicanalitica come una qualità innata, un dato psicologico e
biologico di base non discutibile, al quale sono state date diverse
interpretazioni, ma legandolo nella maggior parte dei casi a fasi cruciali di sviluppo edipiche o preedipiche ( Ferraro
F. et al.,1985).
Sempre la Ferraro e la
Nunziante Cesaro, però, preferiscono parlare di sentimento materno, poiché come
tale rispecchia l’ambivalenza propria dei sentimenti umani, e vorrei
sottolineare l’importanza del tentativo di dare una definizione che tenga conto
della componente ambivalente e conflittuale dell’essere madre ; ma queste
autrici fanno di più, e parlano in termini di “scelta materna”, legandola ad un
bisogno innato di procreazione che compare con l’acquisizione di un’identità sessuale,
ma che non corrisponde, tuttavia, ad una strada privilegiata di accesso alla
femminilità (ibidem).
Tale bisogno di procreazione si inscrive nella tendenza a colmare lo spazio cavo (uno dei motivi, più o meno inconsci, che spingono a desiderare un figlio sarebbe dunque il voler colmare un vuoto), e a volersi opporre al destino affermando la potenza della vita e dell’uomo contro la morte.
Ma le tematiche corporee e
l’idea di maternità per opporsi all’ineluttabilità del destino verranno
approfondite più avanti, veniamo ora ai contributi psicanalitici di cui sopra,
che analizzano i passaggi dello sviluppo infantile fondamentali per capire dove
nasca il desiderio di avere un bambino.
Freud, con L'organizzazione genitale infantile (Freud,S.,1923),
riconduce al complesso edipico i conflitti riguardanti la sessualità femminile
adulta e la maternità, in quanto fase in cui viene riorganizzata e invertita la
“disposizione originariamente maschile” ; la bambina si allontana dalla madre
perché l’ha generata priva di pene e conseguentemente si avvicina al padre
perché si aspetta di ricevere il pene da lui : di qui, grazie alla ben nota
equazione pene–bambino, si passa al desiderio di avere un bambino dal padre.
Questo desiderio, essendo destinato a rimanere insoddisfatto, resta radicato
nell’inconscio creando in tal modo la pre-condizione alla futura funzione
femminile.
Più tardi, e precisamente
con La sessualità femminile del 1931
e Femminilità del 1932, Freud
individua le basi del desiderio della donna di avere un bambino
nell’attaccamento pre–edipico alla madre, processo che andrà poi a svilupparsi
e a consolidarsi nell’Edipo (passaggio da bambino anale a bambino
fallico).(Freud,S.,1931).
Secondo questo schema, è
solo con la maternità che la donna può trovare l’unica vera risoluzione
dell’Edipo.
In quest’ottica, però, la
sessualità femminile appare come una sessualità maschile “castrata”, fondata
sul risentimento e sul desiderio di colmare una mancanza : la scuola inglese si
opporrà a questa posizione inquadrando come primaria la sessualità femminile.
Hélène Deutsch e Karen
Horney (scrupolose esploratrici di quello che è stato definito il continente
nero della psicoanalisi : la sessualità femminile), si distaccano dall'idea di
maternità come semplice compensazione per il pene mancante, in quanto la
maternità ne risulta svalutata e il pene viene considerato come unico oggetto
libidico desiderabile (Deutsch,H.,1945).
Sebbene Freud non manchi di
ammettere la forza dell’istinto materno, esso rappresenta da un lato la principale
eredità della più forte relazione oggettuale della bambina (quella con la
madre), invertendo la relazione, dall’altro la principale eredità del desiderio
elementare precoce (quello per il pene).(Freud,S.,1923).
Come sottolinea Karen Horney
ne La negazione della vagina, la
nozione freudiana interpreta il desiderio di maternità non come una formazione
innata ma come qualcosa che può essere psicologicamente ridotto ai suoi
elementi ontogenetici e che trae la sua energia originaria dalle pulsioni falliche
(Horney,K.,1933).
Ecco perché la Horney, come
del resto la Deutsch, considera il punto di vista di Freud in merito troppo
riduttivo e ne prende le distanze : non si dimentichi che è a lei che si deve
l’ipotesi secondo la quale la bambina comincia innanzitutto con l’essere donna
(ibidem).
Jones opera un’ulteriore
distinzione : il desiderio di un figlio non è una compensazione derivante dalla
frustrazione per non possedere un pene, ma un normale desiderio di “accogliere
un pene e trasformarlo in un bambino”(Jones,E.,1927,op. cit. in
Brustia,P.,1996, pagg.132-133).
Melanie Klein, autrice che
si contraddistingue per l’originalità delle sue teorie, ha una posizione ben
diversa da quella freudiana : la bambina si rivolge al padre non per
castrazione e conseguente invidia del pene, ma per la frustrazione derivante
dalla perdita del seno (Klein,M.,1928,op.cit.in
Brustia,P.,1996,pag.135).
Mentre per Freud esiste
nella bambina la fantasia che la madre incorpori un pene ad ogni rapporto col
padre e che esso si trasformi in un bambino, per la Klein l’invidia porta alla
fantasia distruttiva di penetrare all’interno del corpo della madre per
impossessarsi del suo contenuto, allo stesso modo in cui avrebbe voluto
impossessarsi del seno per disporne pienamente ed evitare così di perderlo
(Klein,M.,1957).
Oltre a voler penetrare nel
corpo materno per impadronirsi del suo contenuto e distruggerlo, c’è una
seconda fantasia che cresce di pari passo con la prima : quella di conoscere il
corpo e ciò che succede al suo interno, poichè il bisogno di sapere del bambino
concerne principalmente la madre.
Si noti che il corpo della
madre è un contenitore pieno di tutte le cose buone desiderate dal bambino :
latte, bambini e il pene del padre, ogni sorta di tesoro insomma (teoria kleiniana
del genitore unico). (Ibidem)
Secondo questa prospettiva, il desiderio di un figlio ha quindi origine nel desiderio di possedere tutte queste buone cose : e quale modo migliore di averle se non diventare a propria volta madre e contenitore.
Oltre a considerare i
principali contributi che ci ha lasciato la psicoanalisi sulla genesi del
desiderio di maternità, sono molte le riflessioni che si possono fare sulla
presenza o meno della spinta procreativa in una donna, su come e “dove” questa
abbia origine e sulle implicazioni che reca con sé.
Per esempio non si può non
rimarcare la spinta verso la vita che è insita nel concetto stesso e nel
progetto della maternità … Che fa rima con eternità, e con immortalità : un
figlio consente di andare oltre la propria miserevole condizione di caducità,
di vincere la morte creando una nuova vita. Noi non ci saremo più un giorno, e
solo grazie a un figlio possiamo lasciare una traccia tangibile della nostra
unicità, del nostro passaggio sulla Terra, perché rimarrà a testimonianza di
questo qualcuno che avrà il nostro nome, che forse ci somiglierà nei tratti o
negli atteggiamenti (le frasi che spesso si sentono dire come “ha gli occhi di
suo padre” o “in lei rivedo sua madre” assumono un senso in quest’ottica).
E’ un bisogno umano quello
di voler sconfiggere la morte dando a sé e alla propria coppia un’illusione di
continuità che unisce ontogenesi e filogenesi[1].(Ferraro
F. et al.,1985, Brustia,P.,1996)
Sebbene del tutto umano,
questo bisogno di affermare la vita e di volersi opporre alla precarietà della
nostra esistenza non deve sfociare nel desiderio narcisistico di una gravidanza
per colmare un vuoto, per alleviare stati depressivi o per sfuggire a
problematiche personali, o ancora per tentare di risolvere problematiche di
coppia : la tendenza a riempire ciò che rappresenta uno spazio vuoto, cavo,
predisposto dunque a ricevere e a contenere, come il corpo femminile, non è la
stessa cosa che voler procreare solo per riempire un vuoto esistenziale ; in
caso contrario ci si trova di fronte al fenomeno che St. Andrè definisce con
un’immagine un po’ cruda ma senz’altro azzeccata : il “bambino tappo”
(St.André,M.,1993, op.cit. in
Brustia, P.,1996, pag.165).
Sono dunque molte e diverse
le riflessioni ed interpretazioni che si possono fare a riguardo. Marie
Langer riassume in modo efficace :“Nel
fondo, il desiderio della donna di dare alla luce un figlio proviene dalla
necessità psicobiologica di sviluppare tutte le proprie capacità latenti”
(Langer,M.,1951, pag.310).
Tornando all’istinto
materno, fino ad ora si è tentata di esplorare la sua origine, e quindi si è
dato per scontato che esso fosse presente, ma accade anche il contrario, e ogni
donna che sostiene o dimostra in qualche modo di non possederlo, viene
considerata come deviante dalla società (si fa riferimento alle definizioni di
devianza proposte da Becker,H,1987,pag.18).
Anche arrivando a pensare
che una donna che non desideri avere figli non sia anormale, ma presenti dei
conflitti circa la maternità, difficilmente questa sua attitudine verrà
considerata dalla società come scevra da ogni valenza negativa : è quello che
Becker chiama “stigma”,un pregiudizio(id.).
Da sempre si guarda con
sospetto colui o colei che si discosta dalla norma : ecco dunque che una donna
che non mostra desiderio di procreare è vissuta come deviante (Ferraro,F.et al.,1985) e le vengono attribuite
tutta una serie di caratteristiche, come se si dovesse a tutti i costi
giustificare o comprendere la sua scelta.
Come si vedrà oltre, questi
atteggiamenti rientrano in un quadro di strategie messe in atto dalla società
al fine di promuovere e conservare la funzione procreativa nelle donne[2].(Hollingworth,L.,1916)
In realtà, se ci si astiene
da giudizi morali, appare chiaro che il desiderio di alcune donne di non avere
figli rientra nel grande Progetto della Natura come uno dei mezzi (il meno
cruento per la verità, basti pensare ad aborto e infanticidio) per limitare il
numero di nascite e provvedere così ad un equilibrio nell’omeostasi del tasso
di popolazione umana sulla Terra.
Per quanto riguarda le
cause, vanno ricercate probabilmente nel suo modo di viversi come figlia e
nella qualità del suo rapporto con le figure genitoriali, in particolare con la
madre.
Di questo si rifletterà più
avanti, nell’ambito dei problemi connessi alla maternità.
Tutte quelle donne che al
contrario corrono incontro alla maternità con entusiasmo, o semplicemente con
l’accettazione che accompagna ogni evento che si sa che prima o poi deve
accadere, sanno bene che una donna che aspetta un bambino è coccolata,
compresa, colmata di attenzioni : ella porta in sé una speranza per il domani
che tutti sono felici di accogliere (specie i futuri nonni, che sperano di
trovare nel bambino che sta per nascere una parte di loro e un ritorno al
passato e alla gioventù : il nascituro è una promessa).
Per questo la futura madre è
una figura “potente”, che può condizionare i comportamenti delle persone che la
circondano : una componente questa che può contribuire a sviluppare il
desiderio di maternità ; il “ potere ” risiede anche nel fatto che finalmente
si è potuta eguagliare la propria madre : si possiede a propria volta un
bambino e l’amore del padre e ci si avvia definitivamente verso la risoluzione
della situazione edipica (vedi sopra). (Langer,M.,1951)
Tutto ciò rende la maternità
fortemente desiderabile.
In accordo con questa ipotesi è la posizione
di Van Der Leeuw, che evidenzia l’aspetto creativo della maternità : “Portare
un bambino è vissuto come un coronamento, una manifestazione di potenza e una
competizione con la madre. Significa essere attiva come la madre. E’
un’identificazione con la madre attiva e procreatrice”. (Van Der Leeuw, P.J., in Green,C.D.,1999,pag.1)
Una volta che il desiderio
di essere madre è presente, e ne sono state considerate alcune delle possibili
cause, bisogna che ci si prepari al cambiamento. E mai la parola cambiamento è
stata più appropriata, perché la gravidanza è uno degli eventi della vita di
una donna dopo i quali sarà impossibile il ripristino delle condizioni
precedenti (la stessa cosa si può dire per la comparsa del menarca e per il
climaterio).
Oltre ad accettare i
mutamenti biologici e corporei, che pure sono legati ad un’accettazione
psicologica, molti sono i “compiti” che dovrà svolgere la futura madre, come
mettere in discussione la propria identità, riorganizzare i propri spazi
interni, rendere concava l’immagine corporea per essere pronta ad accogliere il
bambino.
Un lungo lavoro attende
dunque la futura mamma durante la gravidanza, un periodo così magico e ricco di
significati.
Ciò che accade durante quei
nove mesi verrà descritto nei paragrafi successivi.
1.2. La gravidanza : lavoro psicologico preparatorio
I nove mesi di gravidanza
forniscono ai futuri genitori, specie alla madre, l’occasione di una
preparazione tanto fisica quanto psichica.
La preparazione psicologica
sia inconscia che cosciente è profondamente legata alla evoluzione fisica della
gravidanza. Al termine dei nove mesi la maggior parte dei genitori ha
l’impressione di essere pronta. Quando questo termine è abbreviato, come nel
caso di un parto prematuro, i genitori si sentono sorpresi e incompleti.
(Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)
Quando sorgono delle
complicazioni fisiche, viene messo in pericolo anche l’adattamento psicologico.
Si noti che fino a questo
momento non è stato menzionato il partner
perché si è voluto prendere in esame il desiderio di avere un figlio
nella donna, e anche in seguito ci si concentrerà quasi esclusivamente su di lei
non per sminuire l’importanza dell’uomo nell’esperienza genitoriale, ma per
scelta metodologica (si ricorda al Lettore che tale lavoro verte sulla
relazione madre - bambino ed è su questa diade che ci si vuole soffermare anche
se i due poli della relazione s’inseriscono in un più vasto quadro).
Ma in gravidanza i ruoli del
futuro padre e delle persone che circondano la futura madre acquistano maggiore
importanza, o forse è meglio dire che diventano una presenza più definita e
reale.
Occorre ricordare che la
gravidanza è un evento a cui partecipano la donna, l’uomo, i rispettivi
genitori e altre figure vicine alla gravida, come il medico che di lei si
occupa : la vicinanza e l’apporto di tali figure ha un suo peso e può essere
importante ai fini di un sereno svolgimento della gravidanza (ibidem).
Le persone coinvolte e il
tipo di ruolo che svolgono cambia a seconda della società a cui si fa
riferimento (non si dimentichi che la gravidanza è un’esperienza personale ma
regolata dal sistema sociale).
Marie Langer sottolinea che
il maggiore o minor grado di accettazione della gravidanza da parte
dell’ambiente sociale immediato contribuisce a rafforzare il senso
materno.(Langer,M.,1951)
La stessa Langer, e Piera
Brustia citano gli studi antropologici comparati di diverse società fatti da
Margaret Mead, che arriva alla conclusione che ogni società ha dei preconcetti
rispetto alle funzioni procreative della donna e che la maggior parte delle
donne vi si adatta.(Ibidem,
Brustia,P.,1996)
Si può osservare quindi che
nelle società in cui si crede che la gravidanza debba essere accompagnata da
nausee e il parto sia doloroso e pericoloso, la maggior parte delle donne
incinte soffre effettivamente di nausee ed ha parti difficili.
Ciò che Margaret Mead ha
osservato in varie società avviene anche in cerchie più ristrette : nelle
famiglie in cui la madre non si lamenta di paure e dolori relativi alla
gravidanza e al parto, le figlie, seguendo le convinzioni materne, soffriranno
meno delle donne le cui madri descrivono l’esperienza del parto come angosciosa
e dolorosa, che avranno probabilmente un parto difficile.(Mead,M.,1962,op.cit.in Langer,M.,1981)
Questo fenomeno si spiega
col meccanismo d’identificazione della donna con la madre nelle sue funzioni
materne.
Occorre però precisare che
nonostante l’atteggiamento dell’ambiente che attornia la donna sia
nell’infanzia che in età adulta influenzi il suo modo di percepire la
femminilità, intervengono anche fattori molto più personali a condizionare il
suo comportamento ; ecco perché nella stessa società e persino nella stessa
famiglia ogni donna sviluppa diversi modi di affrontare la gravidanza e diversi
tipi di disturbi.
John Bowlby, nell’ambito dei
suoi studi sull’attaccamento, evidenzia le condizioni peri- e post-natali che
aiutano o ostacolano un felice sviluppo della relazione
madre-bambino.(Bowlby,J.,1989)
Partendo dal presupposto che
la sensibilità materna comune rende capaci di adattarsi alle esigenze del
bambino e di rispondere ai suoi segnali, perché un genitore sviluppi tali
capacità occorrono un tempo adeguato e un’atmosfera rilassata.(Ibidem)
Ecco perchè i genitori,
soprattutto la madre, necessitano di tutto l’aiuto possibile, sia di un aiuto
pratico che di un sostegno emotivo. Una madre gravata da pesanti incombenze
domestiche sarà meno disponibile a concentrarsi sulle sue sensazioni e su
quelle del nascituro durante la gravidanza, o a provvedere a tutti i bisogni
del piccolo appena nato (ibid.).
E’ fondamentale che sia
aiutata in questo dalle persone che le stanno a fianco in modo ch’ella possa
dare la precedenza alle cure del bambino.
Bowlby cita in proposito il
caso di uno studio antropologico condotto in alcune isole dei mari del Sud in
cui la futura madre, sia durante sia dopo la nascita del figlio, viene accudita
da due parenti donne che si occupano di lei durante tutto il primo mese
lasciandola libera di dedicarsi al figlio(ibid.).
In Senegal, dove la
gravidanza è considerata un’apertura al cosmo, intorno alla donna si crea un
clima di estrema permissività e la madre e le sorelle si prodigano in ogni sorta
di cure ed attenzioni. (Brustia,P.,1996,pag.108)
Ma tornando alla nostra
società, gli aiuti e il sostegno morale non dovrebbero limitarsi ai membri
della famiglia.
Brazelton e Cramer
sottolineano che mentre la donna incinta si dibatte tra i tormenti causati
dall’ambivalenza (si veda oltre), è particolarmente ricettiva ad aiuti esterni
; i consigli di un medico, di un’infermiera o di un’amica con esperienze di
maternità saranno ben accetti (Brazelton,T.,Cramer,B.,1991).
Ai nostri giorni le tecniche
ostetriche hanno progredito e normalmente una gravidanza è seguita con molta
assiduità dall’ambiente medico, quindi le figure professionali stanno
acquistando sempre maggior peso in questa esperienza ; per quanto a volte tali
figure possano risultare intrusive e togliere naturalezza e spontaneità ai
processi della gravidanza e del parto, specie per l’uso delle nuove tecnologie
(Brustia,P.,1996, Oakley,A.,1985) spesso il loro supporto può essere prezioso e
rassicurante (Brazelton,T.,Cramer,B.,1991).
Il periodo della gravidanza
può essere suddiviso in stadi, e la maggior parte degli autori sono concordi
nell’associare tali stadi allo sviluppo fisico del feto.
Brazelton e Cramer ne
individuano tre, ciascuno correlato a dei precisi "compiti" che i
genitori devono assolvere : come è già stato detto, la gravidanza è un periodo
di preparazione psicologica.(Ibidem)
Nel corso del primo stadio,
i genitori prendono atto della notizia e della nuova situazione che andrà a
crearsi ; avvengono dei cambiamenti corporei nella madre, ma la presenza del
feto non è ancora manifesta. Dopo un primo momento di euforia, si comincia a
sentire il peso delle responsabilità che la genitorialità comporta. Il futuro
genitore ha bisogno di ripiegarsi su se stesso e di regredire per riorganizzarsi
; l’angoscia può farlo tornare a conflitti e sentimenti ambivalenti nati da
adattamenti anteriori. Il primo compito della donna è di accettare il “corpo
estraneo” che si è impiantato in lei.(Ibid.)
Il secondo stadio comincia
al quinto mese di gravidanza, quando si manifestano i primi movimenti fetali e
quindi i genitori riconoscono il feto come un essere separato dalla madre. Fino
a questo momento la mamma e il bambino sono considerati come un’unità
indistinta e si è mantenuta un’immagine narcisistica di fusione totale.
Durante il terzo stadio,
negli ultimi mesi di gravidanza, i genitori cominciano a percepire il bambino
come individuo, individuazione alla quale il feto contribuisce con una varietà
di attività dai ritmi distinti. La personificazione del nascituro è sempre più
netta : è spesso a quest’epoca che si sceglie un nome e che si riorganizza la
casa in funzione del suo arrivo. (Ibid., Brustia,P.,1996)
Dato che i movimenti fetali
e i loro livelli d’attività cominciano a organizzarsi in cicli e a seguire
degli schemi, la mamma può riconoscerli e sapere in anticipo quando si
manifesteranno : la sua reazione può essere considerata come una forma
d’interazione precoce, del resto la relazione e l’attaccamento tra madre e
bambino cominciano in gravidanza. (Brazelton,T., 1991,
Schaffer,H.,1977)
Nel prossimo paragrafo verrà
approfondito tutto ciò che accade durante ognuno di questi stadi e che fa parte
del cammino che ogni genitore, soprattutto la madre, dovrà intraprendere per
prepararsi all’evento della nascita. Come si vedrà, non è sempre un cammino
facile.
1.2.1. Aspetti
psicodinamici
Il periodo gestazionale è
per la donna un periodo ricco di problematiche che ha tutte le caratteristiche
di una crisi.
Sono davvero tante le
implicazioni psicologiche di questa
esperienza così naturale eppure così sconvolgente.
Basti solo pensare al fatto
che si tratta di uno stato temporaneo, un momento di passaggio da una
condizione ad un’altra che si potrebbe descrivere con questa immagine : si è
già lasciata una sponda (alla quale non si potrà più tornare), ma non si è
ancora giunti a toccarne un’altra benché già la si scorga.
In gravidanza si è ancora
figlia ma si è già madre ; il bambino c’è già ma non si vede ancora ; il
rimando alle esperienze passate è molto forte, ma intanto si fanno progetti per
il futuro : è tutt’altro che ovvio riuscire a trovare un equilibrio in un tale
stato di vaghezza.
Quasi tutti gli autori sono
concordi nell’affermare che nonostante il buon svolgimento della gravidanza e
il sussistere di buone condizioni psicofisiche, si è sempre in presenza di
conflitti e di sentimenti ambivalenti.
Cito in proposito Brustia :
“Anche nel caso in cui la gravidanza sia vissuta nelle migliori condizioni
fisiche, psichiche e sociali, è impossibile presupporre l’esistenza di un amore
materno completamente aconflittuale”[3]
(Brustia,P.,1996, pag.182); e ancora: “La scelta materna non è mai veramente
libera da conflitti ed è luogo in cui s’incontrano coppie di opposti : pienezza
e perdita, fusione e separazione, ripetizione e cambiamento" [4].(Ferraro
F.et al.,1985, pag. 73).
Brazelton e Cramer :“La
prospettiva di essere genitori rimanda bruscamente gli adulti alla propria
infanzia, e nessun adulto rivede la sua infanzia come un periodo di felicità
assoluta”[5].(Brazelton,T.,1991,pag.34).
Il ritorno alla propria
infanzia, associato alla presa di coscienza delle responsabilità che avere un
figlio comporta, provoca angoscia nei genitori, che sperano di essere capaci di
proteggere i loro figli da sentimenti d’incapacità e dai fallimenti che
scorgono nella loro vita.
Dietro a questa fantasia c’è
dell’ambivalenza, e l’irreversibilità del processo della gravidanza può essere
sentita come una “prigionia”.
I sentimenti ambivalenti e
l’influenza delle delusioni vissute nell’infanzia scatenano diverse paure e
fantasie nella donna, tra cui quella di fare del male al bambino, o quella di
partorirne uno “anormale”.(Ibidem)
Al fine di superare tali
angosce e l’ambivalenza che vi soggiace, la futura madre deve mobilitare molte
difese. Si comincia a idealizzare il piccolo, a rappresentarselo come un essere
perfetto e molto desiderato: il lavoro effettuato per superare le forze
negative intensifica i desideri positivi riguardo al bambino e l’ambizione di
essere un genitore ideale.
Pertanto è già nato il
bambino immaginario, creato dai desideri e dalle proiezioni, la cui immagine
verrà definita a tal punto da andare poi a scontrarsi con quella del bambino
reale al momento della nascita .
Il processo quasi automatico
di creazione del bambino immaginario è facilmente comprensibile: dobbiamo dare
un volto a ciò che esiste ma non vediamo ancora, e si cerca sempre di dare un
volto a ciò che spaventa; la creazione di tale immagine può costituire dunque
un sollievo rispetto a certe paure che pervadono la donna in gravidanza, ma è
anche insidiosa, come si vedrà, in quanto può causare ben più grandi
problematiche se non si riuscirà a conciliarla con la realtà (Brazelton,T.,
1991, Brustia, 1996, Romito,P., 1992, Soifer,R., 1985).
Raquél Soifer ha classificato
in modo chiaro le angosce specifiche della gravidanza e il momento esatto in
cui compaiono. I momenti di maggiore incremento dell’angoscia si delineano:
all’inizio della gestazione; al secondo e terzo mese (in corrispondenza della formazione della placenta); verso i tre
mesi e mezzo (al percepire i primi movimenti fetali); al quinto mese (al palese
instaurarsi dei movimenti fetali); al settimo mese (in corrispondenza del
rivolgimento interno del feto); all’inizio del nono mese; nei giorni che precedono
il parto.(Soifer,R.,1985)
Con l’aiuto di questa
distinzione, vediamo ora nel dettaglio ciò che caratterizza i principali
momenti della gravidanza da un punto di vista psicologico.
All’inizio della gestazione
si verifica comunemente un’ipersomnia, che è manifestazione del principio di un
processo regressivo, e che favorisce l’identificazione col feto. (Ibidem, Boncinelli,V.,1993)
L’ipersomnia ha anche una
funzione biologica difensiva: garantisce all’organismo una quota maggiore di
riposo in vista dello sforzo fisico che la gravidanza comporta.(Ibidem)
Anche il constatare
l’assenza delle mestruazioni può causare angoscia, in quanto manifestazione
tangibile dei primi cambiamenti corporei e prova del doversi adattare al nuovo
stato.(Soifer,R.,1985)
A partire dal secondo mese
compaiono spesso nausee e vomiti , che rivestono un doppio significato e
conseguentemente una doppia funzione: da un lato tendono a rassicurare
sull’essere effettivamente incinta in un momento in cui ancora ciò non è
visibile e può sorgere il dubbio che si tratti di un ritardo, dall’altro
rappresentano il rifiuto della realtà e la difficoltà ad accettare la
gravidanza.(Ibidem)
Nausee e vomiti sono quindi
espressione del conflitto tra rifiuto e accettazione della gravidanza, tra
desiderio e paura di aspettare un bambino.(Deutsch,H.,1945, Langer,M.,1951)
A volte è soprattutto
l’ansia determinata dall’incertezza di essere incinta che provoca questi
sintomi, in altri casi prevale la componente persecutoria perché si comprende
il proprio rifiuto e se ne ha paura, quindi si cerca di manifestarlo espellendo
ciò che è cattivo (la parte che rigetta la maternità) e conservando ciò che è
buono (il bambino).(Brustia,P.,1996)
In ogni caso, come segnala
la Soifer, è solo una parte della donna che rifiuta la gravidanza, perché se è
stato possibile che questa si sia instaurata significa che una parte più grande
la desidera. (Soifer,R.,1985)
Non deve stupire il fatto
che esista un rifiuto della gravidanza anche quando questa sia stata desiderata
e provocata, si tengano sempre presenti l’ambivalenza insita nell’animo umano e
il meccanismo di scissione che separa un oggetto in buono e
cattivo.(Klein,M.,1957)
E’ Melanie Klein che ha
voluto insegnarci che la distruttività è presente in noi sin dalla nascita
nella sua prima veste: l’invidia. (Ibidem)
E allo stesso modo in cui
l’oggetto primario viene scisso in seno buono e seno cattivo a seconda che dia
o tolga il nutrimento desiderato, si può postulare un’analoga scissione tra il
“bambino buono”, quello che sarà bello e bravo e che già fa in modo che tutti
si occupino della sua mamma, e il “bambino cattivo”, colui che deforma il corpo, che causa dolori fisici e
stanchezza, che impedisce di fumare.
Quando questi processi
seguono uno sviluppo sano, si andrà incontro ad un’integrazione
dell’oggetto-bambino e dell’Io della madre, così come è avvenuta in precedenti
fasi di sviluppo l’integrazione dell’oggetto primario.
L’integrazione dell’oggetto
riduce l’angoscia persecutoria, ma se tra le esperienze passate prevalgono
quelle negative l’integrazione avviene difficilmente.(Ibid.) Ecco perché sono così importanti le precedenti fasi di
sviluppo, quando si verifica una regressione si regredisce comunque a nuclei
psichici preesistenti.
Come rimarca Brustia, il
fatto di nutrire per il bambino anche dei sentimenti ostili, nonostante lo si
ami e lo si desideri, è un fattore che preserva la madre da un annientamento
masochistico (Brustia,P.,1996); pertanto i sentimenti negativi vanno intesi
come una sorta di tutela per la mamma e per il figlio e in ultima analisi come
facenti parte delle difese messe in atto in gravidanza.
Nell’alternarsi di vomiti e
voglie ritroviamo le modalità di espellere e incorporare (la modalità
trattenere/espellere caratterizza ora gli impulsi protettivi e ostili nei
confronti del feto).
La donna reagisce quindi al
feto durante i primi mesi di gravidanza con ambivalenza orale: cerca di
espellerlo con il vomito e di reincorporarlo con le voglie.(Ibidem, Soifer,R.,1985)
Riguardo alle angosce che
caratterizzano questo periodo ricordiamo quanto era stato detto a proposito del
desiderio di maternità sulla fantasia della bambina di penetrare all’interno
del corpo della madre per impossessarsi del suo contenuto, ebbene il ritorno a
questa fantasia infantile provoca l’angoscia di essere distrutta all’interno
del proprio corpo, di conseguenza si teme per la propria incolumità e per
quella del bambino.(Klein,M.,1957)
Secondo Marie Langer,
l’angoscia all’inizio della gravidanza è dovuta al senso di colpa per aver
rubato il bambino alla madre e alla paura della sua vendetta. Questo timore
viene rafforzato dall’invidia infantile per la sua capacità creatrice e
dall’odio provato in seguito al suo realizzarsi.
(Langer, M.,1951)
A partire dal terzo mese e
mezzo di gestazione è possibile la percezione dei movimenti fetali; in realtà,
pur corrispondendo questa fase dello sviluppo fetale alla comparsa della
motilità, in molti casi i movimenti non vengono percepiti che a partire dal
quinto mese, se non addirittura dopo.
Un ritardo eccessivo nella
percezione di tali movimenti va attribuito al meccanismo della negazione, una
difesa tipica ad esempio di quelle donne che confondono la gestazione con
l’amenorrea. (Soifer,R.,1985)
L’angoscia si manifesta a
questo punto della gestazione sotto molteplici forme: paura del figlio (questo
sconosciuto); paura della responsabilità assunta (una paura che cresce di pari
passo con le dimensioni della pancia); paura di morire di parto: sebbene questo
accada sempre più di rado ai giorni nostri, il permanere di tale paura è
giustificato dal fatto che fino a
neanche troppo tempo fa accadesse spesso, quindi è rimasto nell’immaginario
collettivo (Deutsch,H.,1945, Oakley,A.,1985, Rich,A.,1977); paura di generare
un bambino deforme: questo timore non
sempre viene fugato dalla presenza delle nuove tecnologie che permettono di
rilevare eventuali anomalie e si può manifestare sotto forma del timore di non
essere in grado di generare un bambino sano o di non essere in grado di
allevarlo bene. (Brazelton,T.,1991)
In gravidanza spesso si
assiste anche alla comparsa di meccanismi maniacali: i sogni e le fantasie di
un figlio bello e buono permettono la prosecuzione della gravidanza.
Ma a volte tali meccanismi si presentano in forma esagerata, ad esempio in quelle donne che continuano a svolgere un’attività intensa e ostentano indifferenza riguardo ai sintomi dell’essere incinta, attribuendo al contrario grande valore all’efficienza[6]. (Soifer,R.,1985, Langer,M.,1951)
Al contrario ci sono donne che assoggettano tutta la famiglia ai loro capricci e voglie, ingrassano di molti chili e affrontano con contentezza i conseguenti disagi (espiazione masochistica).
Secondo la Soifer, l’uso eccessivo di meccanismi maniacali rappresenta in realtà una difesa per proteggersi contro l’intensificarsi del timore di partorire un bambino deforme. (Ibidem)
La Langer cita il caso di una donna che all’inizio della gravidanza decise di andare a cavallo, come tentativo inconscio di abortire e di nascondere alla madre la propria gravidanza (…). (Langer,M.,1951). E’ evidente, quindi, come atteggiamenti simili celino a volte vissuti diversi in ogni donna.
1.2.2. Aspetti sociali
E’ già stato affermato che la gravidanza è certamente un’esperienza unica e personale, ma regolata dal sistema sociale, al quale la maggior parte delle donne si uniforma. In questo non differisce da altri eventi della vita: tutto è inscritto in un più vasto contesto, che stabilisce delle norme a cui l’uomo in quanto creatura sociale difficilmente riesce a sottrarsi e dalle quali viene inconsciamente influenzato.
In questo paragrafo si
tornerà su alcuni punti precedentemente accennati, che verranno approfonditi, e
verranno fatte ulteriori riflessioni in proposito, cercando di cogliere i
recenti mutamenti del costume.
Occorre precisare che la
società di riferimento è quella occidentale.
Vorrei iniziare prendendo
spunto da un articolo di Leta Hollingworth apparso sull’American Journal of Sociology, dal titolo Social devices for impelling
women to bear and rear children (strategie sociali per spingere le donne a
partorire ed educare i figli), che appare molto illuminante e ancora attuale
nelle idee di fondo nonostante sia stato scritto nel 1916. (Hollingworth, L.S., 1916)
La Hollingworth si rifà
all’opera di Ross Social Control
(Ross, E.A.,1904), in cui l’autore afferma che l’opinione pubblica e la
religione “cospirano” contro la donna per indurla a mettere da parte le
aspirazioni personali occupandosi esclusivamente della cura dei figli, in modo
da preservare la famiglia e lasciare all’uomo la prerogativa di occupare posti
di rilievo in politica ed economia.
La Holligworth suggerisce di
mettere momentaneamente da parte la concezione sentimentale e romantica della
maternità per attenersi ai fatti, cita poi Sumner che stila un elenco di questi
fatti partendo dal presupposto che gli interessi dei genitori e dei figli sono
antagonisti, e che questo è specialmente vero nel caso delle madri. (Sumner,
W.G.,1906)
Sumner paragona il procreare
e accudire i figli al lavoro dei soldati: è necessario per la sopravvivenza di
una nazione, implica il sacrificio delle esigenze personali, comparta rischi e
sofferenze fino, in certi casi, alla perdita della vita.(Ibidem)
Negli esseri umani, i
piccoli sono bisognosi di cure e incapaci di sopravvivere senza di esse per un
lungo periodo dopo la nascita, ed è in un certo senso naturale che coloro che
non sono biologicamente predisposti a fornire tali cure spingano chi lo è (le
donne) ad occuparsene.
In effetti si può notare un
consistente sforzo sociale volto a sviluppare e mantenere nelle donne il
desiderio di procreare ed in seguito di occuparsi assiduamente della prole,
anche se le donne sono comunque caratterizzate dall’istinto materno che
garantisce loro capacità di sacrificio e tendenza naturale a sperimentare la
maternità anche nei suoi svantaggi.[7]
Questi dunque sono i fatti.
La società dal canto suo opera in modo da garantire il mantenimento e
l’incremento della popolazione: una nazione deve garantirsi la sopravvivenza ed
essere in grado di tollerare le perdite in caso di guerra o malattie.
Ross ha classificato i mezzi
utilizzati dalla società per raggiungere tale scopo ed assicurarsi che
l’individuo segua gli interessi del gruppo. Essi sono: l’opinione pubblica, la
legge, la suggestione sociale, l’istruzione, il costume, la religione e l’arte.
(Ross, E.A., 1904, op.cit.
in Hollingworth,L.,1916).
In realtà, se alcuni di questi mezzi sono ancora oggi funzionanti ed efficaci, altri lo sono un po’ meno per via dei mutamenti della società e del ruolo della donna, ma come si è detto nel complesso tali modalità sono ancora attuali. Vediamo in che modo esse operano e sono utilizzate per condizionare la donna.
Un esempio di controllo
sociale è che le donne che non vogliono bambini sono considerate devianti
(Becker,H.,1987), molti non esiterebbero a definirle anormali, specie tra gli
uomini, che temono che una donna, investendo su altro dalla maternità, possa
divenire una concorrente nell’ambiente lavorativo.
Ma onestamente bisogna
riconoscere che la maggior parte di noi manifesta un certo stupore, seppure
minimo, non dinanzi a una donna senza figli perché le circostanze non l’hanno
permesso, ma a chi dice chiaramente di non voler essere madre. Molte persone
sono inconsciamente persuase che la maternità sia un obbligo.
Ho già esposto la mia
visione della cosa nel paragrafo sul desiderio di maternità[8],
aggiungo solo, anche a rischio di generalizzare laddove occorrerebbe guardare i
casi specifici, che secondo la prospettiva bowlbiana,
colei che non si sente adatta al ruolo di madre e preferisce concentrarsi su
altri obbiettivi non deve essere forzata a cambiare idea o fatta sentire come
carente di qualcosa, si corre altrimenti il rischio di generare madri divenute
tali per assecondare l’ideale proposto dalla società e che non sono
effettivamente in grado di svolgere serenamente il proprio ruolo. Tutto ciò
andrebbe a scapito del bambino innanzitutto, nonché delle sue future capacità
genitoriali ed è a questo che bisogna pensare.
I giornali e gli altri mass
media sono probabilmente i principali agenti nel formarsi dell’opinione
pubblica. Il materiale e gli spunti di riflessione in proposito non mancano;
vorrei sorvolare sui casi di foto o immagini di neonati abbandonati o
prematuri, come nel recente caso degli otto gemelli partoriti da una donna
italiana, e soffermarmi invece su altri esempi relativi al periodo della
gravidanza. Esaminerò due aspetti in particolare: la grande quantità
d’informazione oggi alla portata di tutti, e l’apparente inconciliabilità di due
attributi femminili: la maternità e la seduzione.
I mezzi di comunicazione
forniscono oggi una gran quantità d’informazioni relative alla gravidanza : è
sufficiente acquistare un quotidiano o un periodico per avere a disposizione
consigli di ogni sorta da parte degli esperti (medici, psicologi, sociologi)
alle future mamme; per non parlare poi della stampa specializzata, vi sono
infatti diverse testate dedicate ai genitori e ai figli, e delle trasmissioni
televisive.
Il flusso d’informazioni è
uno degli aspetti che differenziano l’attuale ambiente intorno alla maternità
rispetto a quello di una volta, e i suoi effetti si possono in un certo senso
paragonare a quelli delle nuove tecnologie ostetriche : contribuisce a
diminuire i rischi e rende più consapevoli di ciò che si sta vivendo, ma può
provocare dei conflitti e accrescere l’ansia.
Per chiarire questo punto
prenderò come esempio il fumo in gravidanza: occorre conoscere i suoi effetti
sul feto, ma può essere fonte di angoscia al pensiero di aver fumato quando
ancora non si sapeva di essere incinta o alle possibili conseguenze dell’essere
esposta al fumo passivo.
Anche Brazelton e Cramer affermano che le molte informazioni oggi disponibili accrescono le paure delle donne incinte: proprio il conoscere i rischi può rafforzare le angosce di partorire un bambino anormale. (Brazelton,T.,Cramer,B., 1991)
E le conseguenze non si
limitano a questo. Restando sull’esempio sopracitato, un interessante reportage
sul fumo in gravidanza trasmesso dalla televisione francese spiegava come fosse
difficile per alcune donne incinte smettere di fumare e quale senso di colpa ne
derivasse. Le donne che si sono sottoposte alla ricerca ammettevano che essendo
delle “forti fumatrici”, come si suol dire, erano riuscite a ridurre considerevolmente
il numero di sigarette (o di pacchetti!) giornalieri, consce dei rischi per il
bambino che aspettavano, ma che non riuscivano a smettere.
Questo provocava in loro
sensi di colpa, rimorsi, sentimenti d’inadeguatezza (“Non sono una buona madre”),
e queste donne riconoscevano che le aspettative e il giudizio degli altri
avevano un peso piuttosto considerevole sul loro modo di sentirsi. (cfr. Castelfranchi,C.,
et al., 1994).
Per offrire sostegno alle
donne che si trovano in questa situazione, in Francia sono stati organizzati
degli incontri di gruppo affiancati da professioniste.
Dopo le possibili
conseguenze della ricchezza d’informazioni proposta dai media, veniamo al
secondo aspetto: il ruolo dei mezzi di comunicazione sulla dicotomia donna madre/donna
seduttiva.
E’ sempre esistita una discrepanza tra il ruolo erotico e quello materno ed è presente da tempo nella nostra cultura la tendenza a separare il sesso visto come piacere dal sesso visto come procreazione. (Brustia,P.,1996)
In questo quadro non
stupisce che l’immagine di seduzione proposta dai media fosse antitetica a
quella di una madre: quest’ultima ha sempre evocato tenerezza, nobiltà,
sacrificio, difficilmente la si lega ad un’idea di erotismo.
Ma sembra che qualcosa stia
cambiando. Lo fanno pensare decine di immagini di mamme famose e sexy che
compaiono sui giornali e alla televisione. Oggi è quasi una moda per le dive
del cinema, che da sempre vengono proposte come modelli ideali di bellezza e
seduzione, esibire “pancioni” e bambini al seguito. Anche tra le top-models sta diventando comune farsi
ritrarre incinte, in un tipo di fotografie molto simili a quelle che
normalmente si vedono per dei servizi di moda: ciò che appare non è un ritratto
della maternità, ma un’immagine di una donna bella, incinta e seducente e
questo contribuisce a cambiare il gusto collettivo.
Fino a pochi anni fa
difficilmente la gravidanza veniva associata alla seduzione, oggi una cosa non
esclude l’altra, anche prima era così, forse è più corretto dire che adesso lo
si riconosce.
Fino agli anni cinquanta le
attrici considerate come dei “sex simbols”
venivano invitate da chi si occupava della loro immagine se non proprio a
nascondere, quantomeno a non rendere nota una loro eventuale maternità, per via
di questo dualismo che vuole che una madre non possa essere vista come oggetto
di desiderio; di recente, come si è già affermato, non mancano documentazioni
di come le più belle e affermate esponenti del mondo di celluloide mostrino le
loro gravidanze e i loro bambini con una certa fierezza, che forse non è solo
la naturale fierezza di una mamma nei confronti del suo bambino, ma simboleggia
in questo caso una vittoria della donna che riesce a essere al tempo stesso
madre, creatura seducente e persona affermata in campo professionale, e una
rivalsa sul maschio. (cfr. Rich, A., 1977).
Certo sono molti i passaggi che andrebbero citati e analizzati prima di tentare di descrivere i recenti mutamenti sociali e del costume, non si pretende in questa sede di farne un’analisi approfondita, ma di sottolineare alcuni degli aspetti che sono cambiati o sono in fase di cambiamento, individuarne i segnali e leggere dietro a tali differenze alcuni possibili significati.
Oggi si chiede molto alle
donne, anche durante la gravidanza. (Rich,A.,1977)
Un tempo le si guardava con un occhio benevolo e compiaciuto mangiare in modo esagerato e ingrassare di parecchi chili, adesso si sa che non è vero che bisogna mangiare per due: (Badinter,E.,1981) il vantaggio è che vi è una maggiore consapevolezza dello stato in cui ci si trova e la donna non si sente in obbligo di sovralimentarsi per nutrire il figlio che sta aspettando, lo svantaggio è che non è possibile dare una veste altruistica alla soddisfazione dei propri desideri orali, così al gran numero di angosce che si sperimentano in gravidanza accade che vi si aggiunga quella legata all’esigenza di contenere l’aumento ponderale e mantenere un’immagine socialmente accettata. Non è raro trovare ginecologi tolleranti sul fumare una sigaretta di tanto in tanto ma che non esitano a mettere a dieta le “pazienti” che hanno anche solo un paio di chili in più rispetto all’aumento fisiologico dovuto alla gravidanza.
Questo ci fa capire che
oltre alla salute della mamma e del suo piccolo, oggi si tiene in conto anche
l’immagine della donna .
Un vantaggio secondario è che questo permette effettivamente di poter tornare al proprio peso con più facilità dopo il parto, oltre al fatto che limitando l’aumento ponderale si limitano anche i disturbi e gli inconvenienti fisici ad esso comunemente associati.(Boncinelli,V.,1993) D’altra parte lo stress di un regime alimentare controllato può essere ancor più pesante da tollerare in un periodo delicato come quello della gravidanza, specie in un’epoca in cui il peso dell’ideale fisico corrente impone costantemente sforzi per conquistare la forma desiderata.
Ritorneremo a queste tematiche nel paragrafo seguente, a proposito dell’immagine corporea.
Il tenere sotto controllo in modo particolare il peso in gravidanza è anche funzionale allo stile di vita attuale delle donne incinte: è lontana la figura della gravida che viene trattata quasi come se fosse una malata anche in assenza di complicazioni, che è invitata a non fare il minimo sforzo e a riposarsi. (Badinter,E.,1981). Sicuramente situazioni di questo tipo esistono ancora, ma accanto ad esse vi sono quelle in cui le protagoniste lavorano fino a uno stadio avanzato della gravidanza, fanno esercizio fisico (si predilige spesso il nuoto), insomma non modificano sostanzialmente le loro abitudini: in passato le donne hanno lottato per conquistarsi il diritto ad avere pari opportunità rispetto all’uomo, a lavorare, ad avere tutta una serie d’interessi che le spingessero fuori casa e non sempre sono disposte ad abbandonare tutto questo durante o dopo la gravidanza.(Romito, P., 1992)
Dunque le donne sono soddisfatte nel mostrare a se stesse e agli altri che l’essere madri non è una condizione limitante, allo stesso tempo sentono di dover fare ciò che la società si aspetta da loro: essere belle, smettere di fumare, non ingrassare troppo, adeguarsi alle nuove tecnologie, non trascurare il lavoro visto che l’hanno voluto, ma allo stesso tempo desiderare fortemente la maternità ed essere pronte ad andare incontro ad ogni tipo di sacrificio.
In particolare si vedrà oltre quali sono le implicazioni sulla relazione madre-bambino per le donne che lavorano.( cfr. Romito,P.,1992)
Tornando al controllo sociale, per dirla con le parole di Ross e della Hollingworth, sono stati fino a qui esposti gli effetti dell’opinione pubblica sul modo di percepire e di vivere la gravidanza, ma i mezzi d’informazione e comunicazione non sono gli unici ad esercitare un’influenza in proposito.
Anche la religione opera una forma di
controllo sociale condannando la contraccezione e l’aborto; l’immagine della
Madonna, poi, è considerata come l’immagine stessa della maternità, una
maternità accettata senza condizioni e disgiunta dall’atto sessuale (quello
della verginità di Maria è uno dei dogmi della Chiesa). (Ross, E.A.,1904, op.cit. in Hollingworth,L., 1916).
Perfino l’arte contribuisce alla creazione dell’ideale di maternità, oltre a riflettere le tendenze dell’uomo e la sua epoca: l’essere madre è uno dei soggetti preferiti da pittori e scultori, che lo rappresentano sia nella coppia madre-bambino, sia nel ritratto di una mamma; in questo processo l’arte si lega alla religione, in quanto sono numerosissimi i quadri che rappresentano la Madonna col bambino ed è già stato rimarcato come Maria sia l’emblema della maternità. (Ibidem)
La poesia abbonda di allusioni alla sacralità e al fascino dell’essere madre.
Moltissime canzoni sono state dedicate alle mamme in ogni epoca. (Ibid.)
La Hollingworth, proseguendo la sua analisi, si sofferma anche su aspetti meno espliciti, come il fatto che molto più spesso si richiami l’attenzione pubblica sui casi di mortalità infantile che su quelli di mortalità della madre durante il parto. I rischi e i pericoli della gravidanza sono spesso stati considerati un taboo o minimizzati, ma probabilmente non è solo per contribuire a rendere la maternità desiderabile, ma anche per diminuire le angosce delle donne. (Hollingworth,L.,1916)
Infine c’è un’ulteriore categoria di strategie sociali di condizionamento che non sembrano rientrare nelle categorie proposte da Ross: sono dei luoghi comuni, delle convinzioni che vengono trasmesse nella vita di tutti i giorni e che possono facilmente costituire un condizionamento. Ad esempio è convinzione comune che sia meglio avere figli quando si è giovani, convinzione per la verità sostenuta in parte da criteri biologici ed evidenze empiriche, questo fa sì che non si voglia rimandare troppo la gravidanza.
Un’altra convinzione con riscontri empirici più discutibili è che le madri vivano più a lungo. E ancora è opinione diffusa che i figli unici crescano peggio: l’ennesimo incentivo a procreare.(Ibidem)
McDougall e Ross suggeriscono che quando queste strategie sociali per spingere la donna ad avere bambini e ad occuparsi di loro non funzioneranno più, probabilmente ne sorgeranno di nuove, anzi prospettano che se questi mezzi economici non bastassero, ne verrebbero messi in atto di più costosi: preservare il futuro della nazione non è comunque in nessun caso antieconomico.(McDougall, W.,1908, op.cit. in Hollingworth,L.,1916)
In caso contrario, ci sarà sempre il naturale desiderio di maternità a matrice biologica a garantire la prosecuzione della specie: qualcosa di più potente e radicato delle influenze sociali.
1.2.3 L’immagine corporea in gravidanza
Uno degli aspetti più caratteristici della gravidanza è il cambiamento che avviene a livello corporeo.
Tale fenomeno comporta
conseguenze biologiche e psicologiche, queste ultime profondamente legate ai
mutamenti esterni visibili e alla percezione di sé.
I processi che avvengono
all’interno del nostro corpo ne influenzano l’immagine; noi abbiamo una
percezione corporea che deriva dalle sensazioni interne (quello che Scheler
chiama leib[9],
un corpo interno), ed una percezione derivante dall’esterno, dall’immagine
che proviene dal di fuori e che può essere influenzata da quella che gli altri
hanno di noi.
La gravidanza è il vivere di
due organismi in uno spazio condiviso.
In tale spazio il bambino è
ospite, dal punto di vista biologico è un parassita, poiché non fornisce nulla
che contribuisca alla sopravvivenza dell’organismo che lo contiene e al
contrario sopravvive grazie ad esso (Ferenczi parla del bambino come di un
endoparassita). (Ferenczi,S.,1913, op.cit.
in Brustia, P., 1996, pag.231).
Questo elemento può essere
vissuto come una minaccia per la propria identità, così come il modificare la
propria immagine, che comporta la perdita del primo Sé corporeo.
(Brustia,P.,1996, Ferraro, F. et al.,
1985)
A causa di tale perdita si
necessita una sorta di elaborazione del lutto prima che avvenga nella donna una
completa accettazione del nuovo stato.
Il cambiamento esteriore
testimonia quello che avviene interiormente, dove la madre dovrà fare spazio
sia fisicamente che psicologicamente al suo bambino. Per “fargli spazio” deve
quindi morire e rinascere, superare la crisi d’identità ed evolversi, il tutto
nello spazio di nove mesi.(Ibidem)
Secondo la terminologia
proposta da Ferraro e Nunziante Cesaro, dunque, dallo spazio cavo originario si
passa al corpo saturato. (Ibid.)
L’accettazione dell’esistenza di un organismo ospite-parassita comporta anche l’accettazione dei cambiamenti che quest’ultimo provoca, primi fra tutti i mutamenti corporei: laddove parlando di corpo si intende comprendere i fenomeni biologici, ovvero interni, e quelli relativi alla immagine, vale a dire esterni.
La comprensione che una tale
rivoluzione é necessaria e funzionale ad accogliere un figlio indica che é in
atto una corretta elaborazione dei vissuti legati alla gravidanza.
(Langer,M.,1951)
Non si tratta pero` di una
rivoluzione silente poiché quello che avviene interiormente si manifesta
all'esterno, e si ripercuote sull’immagine in cui noi ci specchiamo e che
rimandiamo agli altri.
Si potrebbe quindi operare
una distinzione fra corporeità e fisicità, secondo cui il termine “corporeità”
sta a indicare l’unità fra i processi fisiologici interni e il loro
corrispondente sull’aspetto esteriore; “fisicità” simboleggia un’immagine, che
coinvolge la percezione di sé e il rapporto con gli altri.
Queste considerazioni,
nonché quelle che seguiranno, si basano su di un assunto fondamentale: esiste
una corrispondenza continua tra fattori organici e fattori psichici; i due tipi
di fenomeni non sono separati da una barriera invalicabile, ma al contrario si fondono
e si influenzano a vicenda. (Schilder,P.,1935)
Al tempo di Freud l’isteria
era un disturbo diffuso tra le donne: un perfetto esempio della conversione
somatica di un disagio psichico, un modo in fondo per mostrare chiaramente il
disagio e poter chiedere quindi aiuto.
La donna incinta, al
contrario, non ha “bisogno di farsi vedere”, é anzi fin troppo visibile e non é
detto che desideri sempre esserlo.
Per accogliere il bambino é
necessario rendere concava l’immagine corporea , che significa soprattutto
assecondare dal punto di vista psichico ciò che avviene naturalmente a livello
fisico, essere pronte a ricevere, a fare spazio.(Ferraro, F., et al.,1985)
La capacità di accogliere e
di formare uno spazio interiore é alla base non solo della gravidanza, ma della
maternità in generale: dallo spazio reso cavo e riempito del ventre materno, si
passa allo spazio cavo dell’abbraccio materno che delimita e contiene
(holding). (cfr. Brustia, P., 1996)
Ma le vicende connesse allo
spazio cavo e alle dinamiche pieno-vuoto hanno una lunga storia nello sviluppo
della femminilità, quindi non hanno inizio in gravidanza, ma vanno pensate come
inscritte in una circolarità.
Sono vicende spesso connesse
con gli orifizi e le cavità corporee (basti pensare alle fantasie infantili di
espulsione del bambino con la stessa modalità con cui vengono espulse le feci).
L’importanza fisiologica di
tutte le aperture del corpo é ovvia, dal momento che é per mezzo di tali
aperture che noi entriamo in contatto col mondo. (Schilder,P.,1935)
Queste aperture rivestono
anche un’importanza erotica, che si concentra su alcune di esse a seconda della
fase di sviluppo psicosessuale (ad esempio la bocca nella fase orale), inoltre
si tratta di aperture tramite le quali compiamo le nostre funzioni vitali :
dunque l’energia si raccoglie spesso intorno a questi punti. (Peri,G.,1992)
Avendo sottolineato
l’importanza di cavità, orifizi e zone erogene, si può desumere che l’immagine
corporea non é sempre un’immagine unitaria .
In differenti momenti una o
alcune parti assumono un rilievo maggiore: questo é un processo naturale,
nonché funzionale a certe fasi di sviluppo, ma può generare delle sproporzioni.
Come sottolinea Schilder,
ogniqualvolta una singola parte acquisti un rilievo preminente, la simmetria e
l’equilibrio interni dell’immagine corporea saranno sconvolti. Ebbene in
gravidanza esiste decisamente questa sproporzione.(Schilder,P.,1935)
Ma Schilder riflette anche
sulla differenza fra le parti del corpo visibili e quelle non visibili, e sul
problema del dolore, non solo da un punto di vista fisiologico: egli sostiene
che quando si é colpiti da un dolore organico, il modello corporeo subisce una
modificazione nella struttura libidica e tutte le energie afferiscono
all’organo malato, come del resto hanno messo in rilievo Freud e Ferenczi.
Il modello posturale del
corpo é dunque sovraccaricato nella parte dolente di libido narcisistica. Col
mutamento erotico si verifica anche un mutamento percettivo per cui la mano va
a toccare la parte che duole.(Ibid.)
Analogamente, si deduce che
la pancia della donna incinta possa essere considerata in tal senso come un
organo dolente: le sue dimensioni e il suo inestimabile contenuto creano
attorno ad essa un sovraccarico di energia: l’organo dolente (per estensione del
termine in questo caso, ma anche perché a volte é realmente sede di dolori),
diventa un centro di rinnovata sperimentazione corporea ed assume il ruolo che
di solito é tenuto dalle zone erogene.
Dolore, zone cariche di energia libidica, l’azione della mano sul nostro corpo, e l’interesse degli altri per esso, interesse che aumenta in condizioni di particolare visibilità, sono tutti fattori importanti nella strutturazione definitiva dell’immagine corporea.
Schilder insiste sul fatto
che l’interesse che gli altri provano per il nostro corpo nelle sue differenti
parti, e che le altre persone ci tocchino é di enorme importanza nello sviluppo
dell’immagine corporea: essa cresce e si arricchisce sulle varie esperienze di
contatto col mondo.(Schilder,P.,1935) Esperienze di questo tipo sono frequenti
durante la gravidanza: molti esprimono il desiderio di toccare il ventre di una
donna incinta, le persone legate affettivamente alla mamma e al nascituro in
molti casi lo accarezzano e lo baciano.
La libido narcisistica ha
come proprio oggetto l’immagine corporea.(Ibid.)
Non vi é libido o energia
senza un oggetto al quale essa sia congiunta, e gli oggetti sono parte del
mondo che ci circonda. Anche il nostro corpo esiste quindi in quanto parte del
mondo.
Non c’è dunque una netta demarcazione fra il corpo e il mondo circostante, e si è detto quanto sia importante il contatto con l’ambiente circostante per la formazione dell’immagine corporea, ma se tale contatto arricchisce, può anche essere fonte di complessi.
La donna incinta vede
aumentare sempre di più le dimensioni di alcune parti del proprio corpo,
soprattutto il ventre e il seno, può quindi non riconoscersi più in questo
nuovo corpo e talvolta sentirsi brutta. (Boncinelli,V.,1993)
Un simile disagio comincia
di solito nel momento in cui gli abiti che si portano abitualmente non si
riescono più ad indossare.
Nel momento in cui i
cambiamenti fisici sono palesi, l’angoscia, come si é già detto
precedentemente, può sorgere sotto diverse forme: fra esse vi é anche il timore
di vedersi sformata e di non poter più tornare come si era prima (il fatto che
la maternità sia una condizione di non-ritorno si estende nel caso di queste
preoccupazioni anche all’aspetto fisico).
Questa sensazione di essere
brutta non deve essere considerata con leggerezza perché é alla base di molte
depressioni e scatena sentimenti di gelosia verso il partner, di cui si teme
l’allontanamento e l’infedeltà. (Soifer,R.,1985)
Ne consegue anche una
diminuzione del desiderio sessuale che fomenta ancor di più sentimenti di
gelosia. (Ibidem)
Ancora una volta la donna
può trovare conforto nell’affetto e nel sostegno delle persone che la
circondano, e che potranno aiutarla a ritrovare fiducia e a costruire
quell’immagine corporea che, al pari dell’identità, é messa a dura prova in
questi mesi così delicati e importanti.
1.3. Il
parto: separarsi per unirsi
Il momento del parto è un momento di passaggio da uno stato provvisorio, la gravidanza, ad uno definitivo, l’essere madre .
Esso rappresenta dunque una
transizione dalla condizione di gravida a quella di madre. La gravidanza, stato
passeggero e preparatorio, inizia questa transizione con l’abbandono della
condizione di figlia a favore di quella di futura madre.
La figlia diventa dunque una
donna che aspetta un bambino e poi una madre.
Il periodo gestazionale ha
quindi consentito un passaggio meno brusco dalla condizione di figlia a quella
di non-ritorno di madre e ha inoltre permesso la sviluppo fisico del feto e
quello psicologico della madre.
Al termine della gravidanza
il bambino è formato e pronto per nascere e la madre è quasi sempre pronta per
riceverlo.(Brazelton,T.B.,1991)
Ma questo nuovo inizio, per
quanto naturale, atteso e preparato da mesi, implica una rielaborazione della
realtà e un nuovo processo di adattamento per la madre.(Brustia,P.,1996)
Vi sono diverse letture
possibili dell’evento parto: biologica, sociale, medico-scientifica,
antropologica, così come sono molteplici le sue implicazioni a livello
psicodinamico.(Oakley,A.,1985)
Il significato biologico del
parto è la separazione di due organismi che fino ad allora avevano vissuto
uniti, l’uno dentro l’altro e in uno stato di assoluta dipendenza; da questo
momento il bambino si farà carico di tutte quelle funzioni fisiologiche prima
espletate dalla madre. (Boncinelli,V.,1993)
Il parto è anche un fatto
sociale con cui un nuovo essere umano viene incorporato nella società e
contribuisce alla sua sopravvivenza.
Momento riproduttivo e
momento sociale trovano il loro punto d’incontro nelle donne, che rappresentano
il legame fra natura e cultura: un legame così unico e potente che può
spaventare e che per questo la società patriarcale e le istituzioni hanno
cercato in diversi modi di controllare.(Oakley, A.,1985)
Ann Oakley definisce il
parto un evento biosociale: è biologico perché accade al corpo in quanto entità
a sé stante e perché soggiace al meccanismo di leggi fisiche; è sociale perché
la capacità della donna di dare alla luce dei figli la pone in una posizione
ben precisa all’interno della società e implica l’impossibilità di allevarli
senza toccare altri aspetti della propria vita, ad esempio quelli lavorativi.(Ibidem)
E’ probabile che il significato sociale possa estendersi all’esperienza della maternità in generale più che all’evento del parto in sé, e ne è già stata fatta menzione in questa sede.
Da non trascurare è
l’aspetto medico: oggi in molti Paesi quasi tutte le nascite sono
istituzionalizzate. La ragione ufficiale è che l’ospedalizzazione garantisce
sicurezza per la mamma e il bambino specie in caso di complicazioni, ma spesso
più che per le donne si tratta di una conquista per la professione medica, il
cui ruolo sta assumendo un’importanza crescente nel processo che conduce alla
nascita.
Molte autrici sono concordi
nella critica ad un eccessivo approccio medico-scientifico al parto, e al fatto
che quest’ultimo sia spesso considerato alla stregua di una malattia e trattato
di conseguenza (Rich,A.,1977,Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992). Così si esprime
Adrienne Rich in proposito : “Niles Newton racconta che gli indiani Cuna del
Panama considerano il parto un fatto tanto anormale che la donna si reca ogni
giorno dallo stregone, durante la gravidanza, per averne medicine e consigli, e
durante il parto è continuamente assistita dal medico. Nello stesso modo nei
nostri ospedali d’oggi il parto viene spesso considerato alla stregua di
un’operazione, e sempre come un fatto che richiede l’intervento del medico”. (Rich,A.,1977, pag.163)
Silvia Vegetti Finzi (1985)
sostiene che la scienza medica ha per oggetto le malattie, perciò se essa
contempla il parto lo fa equiparandolo ad un morbo, così da poterlo meglio
definire.(Vegetti Finzi,S., op.cit.
in Oakley,A.,1985)
Ann Oakley mette in evidenza
come la pratica del partorire supine vada a vantaggio del medico, abituato a
visitare e ad interagire con pazienti distese, e non della partoriente; la
Oakley è inoltre convinta che la causa di travagli difficili e parti
strumentali risieda anche in tale pratica. Anche l’assistenza pre-natale
coincide attualmente con le pratiche tecnologiche (come ecografia e
amniocentesi, di cui si è già discusso). (Ibidem)
Piuttosto critica in proposito è la posizione di Patrizia Romito, secondo la quale la medicalizzazione della gravidanza e del parto ha le sue origini in una società ed in una cultura maschiliste, meccanicistiche e tecnologiche, in cui il corpo della donna e le sue capacità riproduttive sono viste come difettose e inaffidabili. La Romito prosegue segnalando che tale tendenza è stata sostenuta per motivi d’interesse personale e professionale dalla classe medica (anche Oakley concorda), ma anche da quelle donne che desideravano ridurre i rischi e il dolore da sempre associati all’atto di partorire.(Romito,P.,1992). Sul dolore nel parto si tornerà più avanti.
Nella nostra storia il parto
è rimasto a lungo un evento essenzialmente domestico, racchiuso nell’ambito
della famiglia e del vicinato. Se si accosta la memoria di un simile passato al
parto ospedaliero di oggi, non si può non avvertire un senso di discontinuità.
Numerose rappresentazioni delle culture del passato (dal mito, al rito, alla
tragedia), portano testimonianze di un sapere arcaico del corpo femminile che è
stato del tutto bandito in seguito al consolidarsi del sapere medico.
(Oakley,A.,1985)
Da un punto di vista
antropologico, il parto si può considerare come un rito di passaggio. Van
Gennep ha scritto che in tutte le società, la vita di un individuo è scandita
da una serie di riti che sanzionano pubblicamente il passaggio da una
condizione sociale a un’altra. (Van Gennep, op.cit.
in Fabietti, U., 1991)
Più una società è primitiva
e più i riti hanno un carattere cerimoniale.
Van Gennep distingue tre
fasi in ogni rito di passaggio: separazione (riti preliminari), margine (riti
liminari) e aggregazione (riti postliminari); la fase più importante è a suo
parere quella intermedia perché consente un passaggio meno traumatico da una
condizione all’altra. (Ibidem)
Ora, il parto può essere
visto come un rito di passaggio perché si abbandona una condizione a favore di
un’altra e perché tale passaggio è inscritto nella società ed essa vi
partecipa, ma a cosa si possono far corrispondere le tre fasi di Van Gennep in
questo caso?
I momenti che precedono l’evento, come l’inizio del travaglio e l’ingresso in sala parto, possono essere considerati riti preliminari e come tali fanno già parte della fase di separazione, mentre l’unione col bambino già nato fa parte dei riti postliminari e s’inserisce nella fase di aggregazione (termine apparentemente più appropriato per riferirsi alla gravidanza, ma in realtà calzante per descrivere l’incontro col bambino).
L’unico punto che contrasta
con la definizione data da Van Gennep è la fase intermedia, nella quale secondo
quanto detto sopra si dovrebbe inserire il parto vero e proprio, ma che in
realtà non consente un passaggio meno traumatico da uno stato all’altro poiché
rappresenta esso stesso un trauma.
Ciò che conta è comunque il
significato simbolico del rito di passaggio, e il fatto che esso aiuti coi riti
che lo circondano a comprendere ed accettare la transitabilità da una
condizione ad un’altra.
Per quanto riguarda il
significato psicologico, un aspetto degno di nota è il nuovo processo di
adattamento al quale va incontro la madre: dopo aver affrontato numerose
angosce durante la gravidanza, era giunta ad
adattarsi a questo stato e ad accettare il feto come facente parte del proprio
schema corporeo, e ora deve passare attraverso un nuovo processo di
adattamento.
La perdita di uno stato e il
passaggio ad un altro, riattiva profonde angosce nella partoriente
(Soifer,R.,1985)
In gravidanza il bambino è
un oggetto solo potenziale, col parto diventerà reale. Scrive la Deutsch in
proposito: “L’accettazione realistica del figlio come un oggetto futuro, che
deve essere amato in quanto tale, non può far tacere completamente la
riluttanza intima che la donna prova a perdere l’unione attuale, profondamente
soddisfacente”.(Deutsch,H.,1945,pag.156)
Si ha paura della
separazione, ma l’idea lieta del bambino serve ad addolcire e mitigare tale
timore.(Ibidem)
Al momento del parto sono diversi i “compiti” che la donna deve svolgere, tra cui principalmente: reagire allo choc della separazione anatomica, adattarsi al bambino reale che si scontra con quello fantasticato fino a questo momento, investirsi in una nuova relazione in cui combinare i propri bisogni con quelli del bambino.(Brazelton,T.,Cramer,B.,1991)
Si tenterà di esaminare
questi compiti nel dettaglio.
1.3.1 Il trauma della separazione anatomica
Col parto viene interrotto quel dialogo silenzioso nello spazio condiviso del corpo materno.
La separazione dà origine alla vita, ma per le donne essa è spesso emblema di perdita.
Accade per il parto ciò che
si verifica in molte situazioni: si sono fatti dei sacrifici e si sono
sperimentate angosce prima di adattarsi ad uno stato non sempre facile da
vivere come quello della gravidanza, e quando infine ci si è riusciti, si deve
abbandonare una condizione ormai nota a favore di una sconosciuta e ancor più
impegnativa: essere madre.
L’identificazione col feto
aveva aiutato la madre a non percepirlo come un elemento disturbatore, il feto
era dunque stato accettato perché facente parte del corpo fisico e mentale
della mamma: ecco perchè col partorire la donna accoglie un bimbo
(sconosciuto), ma perde irrimediabilmente una parte di sé. (Deutsch,H.,1945, Brustia,P.,1996)
E’ perciò molto importante
che la madre realizzi davvero che il bambino è un essere indipendente, ed un
oggetto reale e non potenziale come era il feto, perché il parto non venga vissuto
come una dolorosa separazione da una parte del proprio Io. (Ibidem)
Scrive Hélène Deutsch che il
bambino è psicologicamente ciò che il feto è biologicamente, cioè una parte
della personalità della madre. Il processo biologico ha creato un’unità tra madre
e figlio, per cui la sostanza organica dell’uno passa all’altro. Lo stesso si
verifica in campo psichico: grazie ad una tenera identificazione che la porta a
vedere nel frutto del proprio corpo una parte di se stessa, la donna incinta
riesce a trasformare il “parassita” in un essere amato. (Ibid.,pag.137). Si può dunque comprendere perché la separazione può
risultare dolorosa: essa può essere vissuta come una mutilazione se si pensa
che una parte di sé verrà perduta, o può essere considerata più obbiettivamente
e causare l’angoscia di perdere il bambino perché egli lascerà il ventre
materno e quindi “non sarà più qui” (Ibid.,pag.157).
A questo proposito la
Deutsch afferma anche che la paura della morte al parto non deriva solo dal
fatto che si tratti di un timore realistico, ma ha origine nella sensazione di
perdere una parte di sé. (Ibid.)
Questo spiega come mai la paura di morire di parto permanga tutt’oggi nella nostra società, nonostante rappresenti un’eventualità piuttosto remota in condizioni normali (laddove per normali si vuole intendere non patologiche).
L’angoscia di fronte al
cambiamento è una ripetizione del trauma della nascita, alla base del quale vi
è l’angoscia di separazione. (Langer,M.,1951)
Essa è provocata dal
riadattamento, la Soifer ne sottolinea due aspetti: la paura della perdita e
quella di un attacco da parte dell’ignoto. (Soifer,R.,1985)
“Nella donna che dà alla
luce il primo figlio c’è in primo luogo la paura dell’ignoto. (…) La paura
della morte è inseparabile dalla paura dell’ignoto.” (
Rich, A.,1977, pag.163).
L’ignoto è rappresentato in
larga misura proprio dal bambino, una creatura familiare ma allo stesso tempo
mai veramente vista o toccata.
“Durante il travaglio la
coscienza è ridotta e le influenze psichiche incoscienti hanno via libera.” (Deutsch,H.,1945, pag.222).
Nel periodo espulsivo si
riacutizzano le angosce e si risvegliano diversi fantasmi, come il fantasma di
svuotamento; esso è collegato al timore della perdita di una parte di sé e può
essere superato grazie al desiderio di dare alla luce il bambino. Se viceversa
questo fantasma s’intensifica, ostacola la capacità di collaborazione della
partoriente e causa l’inibizione delle contrazioni uterine e il conseguente
impiego del forcipe, strumento che invade drammaticamente lo spazio
madre-bambino e che davvero rende traumatico il momento della
separazione.(Soifer,R,1985,Brazelton,T.,1991)
Un altro aspetto che
contribuisce a incrementare i timori relativi al momento di partorire è il
dolore.
Alcune ricerche hanno messo
in luce che circa l’ottanta per cento delle donne dopo il parto dichiara di
aver provato più dolore di quanto non si aspettasse.[10]
(Fonte: Romito,P.,1992)
Ann Oakley segnala come
molte donne siano spaventate dal parto, in quanto ne sopravvalutano i rischi e
la pericolosità e sottovalutano invece la propria capacità di farvi fronte.
Anche secondo Hélène Deutsch molte donne non si sentono all’altezza di
affrontare il parto.
Si può dedurre che dietro
questo sentimento d’inadeguatezza si celi anche la paura di soffrire, e quella
di soffrire inutilmente (ovvero mettere al mondo un bambino che non è sano).
Il concetto di dolore è del
resto da sempre associato al parto: il monito biblico “Partorirai nel dolore”,
punizione divina alla quale non ci si può sottrarre, ci segue da millenni; la
stessa parola travaglio etimologicamente significa lavoro e sofferenza, non
solo nella lingua italiana.
Silvia Vegetti Finzi
sostiene che evidentemente bisogna imparare attraverso la punizione e la
sofferenza, come si conviene ad un modello sempre diffuso di educazione, e
questo vale anche per l’imparare ad essere madri.(Vegetti Finzi, S., op.cit. in
Oakley,A., 1985).
Ciò che aiuta la donna a
sopportare il dolore che tutto il processo riproduttivo comporta, è una certa
dose di masochismo, associata al senso di colpa che in gravidanza è
particolarmente intenso.(Deutsch,H.,1945)
Hélène Deutsch propone
un’analogia tra parto e coito, così che subito dopo può affiorare un senso di
delusione, un po’ come la tristezza post coitum, ma questo avviene prima, o
anche dopo aver provato l’estasi della maternità. (Ibidem)
Le ultime tracce d’ansia si manifestano nel chiedere e controllare se il bambino è normale, e finalmente la donna, libera da dolore e paura, prova trionfo ed estasi e va verso l’incontro con suo figlio.
La paura della separazione,
il dolore del parto e i rischi che esso comporta sono un tabù, non se ne parla
molto perché se ne privilegiano aspetti più gradevoli (si è visto come ciò
rientri anche in un più ampio disegno di strategie sociali per rendere la
maternità desiderabile), tuttavia non bisogna aver paura di parlarne: in ogni
storia d’amore, in ogni esperienza piacevole, c’è o c’è stata una componente o
un momento di sofferenza, ma questo non la immiserisce, anzi accresce il suo valore.
Del resto, se siamo al mondo
così numerosi significa che la spinta alla vita e a dare la vita è comunque più
forte di qualunque paura, in ultima analisi essa riveste principalmente il
ruolo di una difesa: la paura dell’ignoto altro non è dunque che una difesa
contro l’ignoto.
1.3.2 “Incontro” tra il bambino immaginario e il
bambino reale
Per la madre, aver accettato la separazione anatomica implica che si percepisce il bambino come individuo, come altro da sé, e che pertanto non si vive il distacco come una perdita di una parte del proprio Io.
Ma questo è solo un primo passo: il considerare il bambino come oggetto reale non è un puro mezzo per tollerare il momento della separazione, ma deve far parte di un più ampio processo in cui lo si deve vedere e accettare per quello che realmente è, non per come era stato pensato e desiderato durante l’attesa.
Le aspettative idilliache che avevano contribuito a rendere accettabili le difficoltà tipiche della gravidanza, non devono ora diventare un ostacolo per l’instaurarsi di una buona relazione col neonato.
In gravidanza il bambino era presente ma non tangibile, reale ma con caratteristiche derivanti dalla fantasia. Per la sua peculiare condizione di presenza e allo stesso tempo assenza, al feto vengono attribuite tutta una serie di caratteristiche per dare corpo ad un essere che è fortemente presente, ma che non conosciamo, altrimenti è come se intrattenessimo un dialogo con una persona senza volto: certamente ci spaventeremmo.
Dunque il nascituro acquista dei tratti e viene caricato di molte aspettative, prima fra tutte quella, perlopiù inconscia, che alla nascita egli confermi i tratti che gli sono stati attribuiti.
D’altro canto è abbastanza difficile che il piccolo sia esattamente come era stato figurato (non si vuole intendere come lo si voleva), di qui possono nascere delle difficoltà.
Dopo la nascita, dunque, non avviene solo l’incontro fra la mamma, il papà e il resto della famiglia e il bambino, ma anche quello tra il bambino immaginario preesistente, e il bambino reale che si vede ora per la prima volta. (Brazelton,T., Cramer,B.,1991)
Come sottolineano Brazelton e Cramer, durante la gravidanza, parallelamente alla crescita del feto vi è uno sviluppo progressivo della sua rappresentazione ad opera della madre, rappresentazione fondata sia sui bisogni e le aspirazioni narcisistiche, che sulle percezioni dello sviluppo del feto. (Ibidem)
E’ ora necessario elaborare il lutto per la perdita di questo bambino immaginario e adattarsi alle caratteristiche particolari del proprio bambino.
Questi autori continuano mettendo in evidenza che si tende a dare un senso al comportamento del bambino già a partire dal momento in cui si trova nel ventre materno, attribuendo a dei tratti caratteriali ogni movimento che compie; tali attribuzioni di senso corrispondono a delle proiezioni dell’immagine che si ha di se stessi. Questo è un modo per introdurre il bambino nel mondo simbolico dell’adulto. (Ibid.)
Scrive in proposito Brustia: “Lo stimolo percettivo può essere utilizzato come spunto per dar sfogo a tutto l’immaginario relativo a come sarà il bambino, che carattere avrà, consentendo identificazioni con tratti del carattere e comportamenti dei genitori (è tranquillo come suo padre)”.[11] (Brustia,P.,1996, pag.223).
La riuscita dell’essere madre dipende in gran parte dall’equilibrio tra l’identificazione proiettiva e l’empatia da un lato, e una lettura obbiettiva del bambino dall’altro.
Purtroppo, ogni neonato porta con sé un potenziale di disillusione, nel senso che difficilmente corrisponde alle fantasie dei genitori. (Bowlby,J.,1983)
Nel momento in cui ci si renderà conto della discrepanza tra l’immagine che si aveva del bambino e quella reale, può nascere un sentimento di delusione, specie se tale discrepanza è netta, come ad esempio nei casi di parto prematuro, del quale si parlerà oltre.(Brazelton,T., e Cramer,B.,1991)
In assenza di processi patologici, dopo un
certo tempo la madre accetterà la perdita del bambino della fantasia che
l’aveva accompagnata per molte settimane e si adatterà al neonato col quale
instaurerà una nuova relazione, per altro favorita dal bambino stesso. (Schaffer,H.R., 1977)
L’immagine che si aveva prima dell’incontro col bambino della realtà è un’immagine composita, perché formata dalle proiezioni delle aspettative, dalle proiezioni di parti di sé e dalle proiezioni di immagini derivanti da attaccamenti precedenti. Anche per questo si tratta di processi che non devono essere considerati come un rifiuto del bambino in sé, ma come un adattamento progressivo a questo piccolo sconosciuto. (Ibidem)
Del resto i meccanismi di proiezione fanno parte di un funzionamento normale, diventano patologici solo nel momento in cui prendono dimensioni e caratteristiche estreme.
Il bimbo appena nato incarna e realizza le aspettative dei genitori, specie quella immediata di avere un figlio sano e normale, nel caso che non vi siano anomalie, ma contemporaneamente, come si è detto, se ne allontana.
Per alcune donne, il primo incontro con il bambino risulta essere un’esperienza piuttosto deludente. In ogni caso le reazioni e i sentimenti immediatamente dopo il parto variano molto da donna a donna e spesso appaiono contraddittori . (Brazelton,T. e Cramer,B.,1991, Romito,P.,1992)
Patrizia Romito ha condotto una ricerca in proposito, chiedendo alle madri cosa avessero provato dopo il parto, e tra i risultati compaiono questi dati: il 7% delle donne intervistate aveva riferito una reazione negativa, un terzo una reazione positiva, ma il dato più interessante è che il 59% ha risposto di non aver avuto la reazione che si aspettava.[12] (Fonte: Romito,P.,1992)
Ecco dunque che in alcuni casi le conoscenze sul parto, o ad esempio sul dolore che si prova, e le relative aspettative, producono effetti diversi: in taluni casi l’aspettativa di provare una grande sofferenza è tale che questo accade realmente, in altri la prova da superare appare meno difficile del previsto proprio perché si era preparate al peggio.
I sentimenti sperimentati al primo incontro col bambino sono svariati: indifferenza, felicità immediata, una gioia più cauta, commozione, delusione, assenza di reazioni evidenti. La ricerca evidenzia che le reazioni di indifferenza non hanno nessuna influenza sui sentimenti che la madre sviluppa in seguito. (Ibidem)
Al fine di favorire l’attaccamento al bambino reale e superare la perdita di quello immaginario, può essere utile un’interazione fisica immediatamente dopo la nascita (secondo Klaus e Kennell è necessario): questa pratica è oggi ampiamente utilizzata e il bambino viene dato alla madre almeno per qualche istante subito dopo la nascita.
A questa pratica spesso segue quella del rooming-in, ovvero si lascia il neonato in stanza con la mamma anziché metterlo nel nido.
Questo è gradito a un gran numero di madri e può avere delle conseguenze positive sull’allattamento, oltre che favorire l’instaurarsi di quel particolarissimo dialogo fra la mamma e il suo piccolo; non deve però essere un’imposizione, anche perché nel caso in cui la donna sia troppo stanca e provata dal parto e non si senta ancora pronta a stabilire il legame con il figlio, le conseguenze sarebbero negative: il vero incontro col bambino, quello intimo non ne trarrebbe certamente vantaggio e la madre sperimenterebbe con molta probabilità il senso di colpa per non essere in grado di svolgere il suo ruolo. Alcune donne desiderano che dopo il parto sia il personale della maternità a prendersi cura del bambino, soprattutto durante la notte, perché hanno bisogno di riposo e per motivi di sicurezza.
E’ per questo che anche il luogo dove avviene l’incontro ha il suo peso.
Essere sensibili ai bisogni delle madri è un dovere, e inoltre va a tutto beneficio del bambino appena nato e della relazione.
1.4 Dopo il parto: puerperio
e allattamento
Si è visto come immediatamente dopo il parto, le madri provino sentimenti diversi e spesso contraddittori nei confronti del figlio che incontrano per la prima volta. (Romito,P.,1992)
Si è detto anche che avviene un altro “incontro” fondamentale: quello fra il bambino immaginario che era esistito fino a quel momento, e il bambino reale che comincia a esistere solo ora e che verrà sovrapposto alle fantasie ed aspettative che l’hanno preceduto, nella speranza più o meno inconscia che combaci con esse.
Ma molte cose possono cambiare nelle prime settimane dopo il parto, a volte anche nei giorni che seguono. Un’esperienza che a quest’epoca fa solitamente la sua comparsa e che forse più di tutte è degna di nota è quella dell’allattamento.
Si è parlato e si farà riferimento in seguito alle prime settimane successive alla nascita poiché il puerperio viene comunemente definito come il periodo che segue il parto e il secondamento, fino al ritorno alle condizioni normali. Tale periodo dura approssimativamente 60 giorni, ma chiaramente varia da persona a persona e il limite in termini di durata non è da concepirsi rigidamente.
Il lavoro psichico richiesto alla puerpera consiste essenzialmente nella riorganizzazione del proprio mondo interiore in base ai nuovi dati di realtà, e non è cosa da poco, considerando anche si tratta di un’ulteriore rielaborazione nello spazio di alcuni mesi, dato che lo stesso tipo di lavoro si era reso necessario già in gravidanza. Ciò accade, dunque, ogni volta che si verifica un cambiamento sostanziale del proprio stato.
E’ in questo periodo che si pongono le basi dell’attaccamento, le cui premesse esistono già durante la gravidanza, e la cui origine risiede essenzialmente in attaccamenti e relazioni precedenti. (Bowlby,J.,1972)
Solitamente giunge un momento in cui la mamma sente che il bambino è davvero suo; per alcune donne questo accade molto presto: in genere quando tengono in braccio il figlio per la prima volta o quando per la prima volta si guardano negli occhi. Per una minoranza di primipare che partoriscono in ospedale, questa sensazione può farsi attendere fino ad una settimana, cioè quando di solito tornano a casa propria.(Bowlby,J.,1989)
L’allattamento è un momento fondamentale del legame precoce madre-bambino, ne costituisce l’essenza e il suo buon svolgimento è quasi sempre un indicatore importante del buon instaurarsi della relazione.
Il legame precoce madre-bambino è intimamente legato al soddisfacimento dei bisogni alimentari (Brustia, P.,1996), ma l’allattamento non coincide solo col nutrimento e il piacere che ne trae il piccolo va ben oltre il desiderio di sentirsi sazio : è il contatto con la madre e la relazione con l’oggetto seno a dare a questo momento un così grande valore.
Ciò che accade durante l’allattamento è talmente ricco di risvolti da potersi considerare come una microrelazione inserita in un contesto relazionale più ampio.
Si tenterà di mettere in evidenza il significato e i principali aspetti di questa esperienza.
1.4.1
Riorganizzazione del mondo interno della madre e nascita di una
nuova relazione
Con la gravidanza si doveva raggiungere un equilibrio tra il proprio mondo interno e il mondo oggettuale esterno, e armonizzare le fantasie e le aspettative con la realtà. Dal momento del parto, evento che sconvolge l’equilibrio raggiunto basato sulla fusione e l’indistinzione, è necessario raggiungere una nuova posizione adattativa, continuando sì a cercare un’armonia fra lo stato interiore e la realtà esterna, ma operando una nuova riorganizzazione in base agli attuali dati di realtà.
Dal momento del parto la donna deve essere
pronta a creare un nuovo legame e ad entrare in quella condizione chiamata da
Winnicott preoccupazione materna primaria, e da lui stesso definita come una
forma di malattia normale: uno stato di totale partecipazione in cui la madre
riesce a mettersi al posto del bambino, a tutto vantaggio della relazione. (Winnicott,D.W.,1971)
Questo stato psicologico particolarissimo consente alla donna di superare i vissuti di ostilità verso il suo piccolo, che può essere visto all’inizio come un pericolo per il suo corpo e per la sua vita, soprattutto al momento del parto. Ma la preoccupazione materna primaria è una condizione semipsichiatrica temporanea che deve poi cedere il posto al recupero da parte della madre della propria identità di persona globale (Ibidem, Brustia,P.,1996).
Se tale stato durasse oltre un certo limite, dunque, nuocerebbe alla madre, al bambino, e ad altri aspetti ed interessi della vita.
L’instaurarsi della preoccupazione materna
primaria è fondamentale per favorire la relazione: la donna perde
temporaneamente qualunque interesse al di fuori del figlio, in questo modo è
“costretta” a concentrarsi solo su di lui/lei così da poter essere sempre
disponibile a rispondere ai segnali che le manda. (Schaffer,H.R.,1977)
Ciò fornisce la base per imparare a prendersi cura con piacere del neonato e a soddisfare i suoi bisogni, primo tra tutti quello dell’alimentazione.
Questo cambiamento è talmente sconvolgente che assomiglia ad uno stato patologico transitorio, ma il risultato è una nuova identificazione materna, una focalizzazione dei suoi investimenti e la capacità di riconoscere un’altra realtà irrinunciabile e di adattarvisi ( Brazelton,T.,1991).
Ancora una volta il partner, nonché la famiglia e il medico, hanno un ruolo di sostegno importante. Allo stesso modo, la partecipazione attiva del partner rinforza la propria identità di padre, attenuando il rischio di sentirsi escluso dalla diade madre-bambino (si tenga presente che non esiste un istinto paterno innato, analogo a quello materno nella donna, ma esso si acquisisce in seguito alla paternità). (Ibidem)
E’ importante che anche l’uomo sviluppi le sue capacità paterne e sia comprensivo nei confronti dell’esclusività del legame tra la mamma e il bimbo appena nato; questo è un momento che mette alla prova la stabilità della coppia e della famiglia, l’uomo può sentirsi trascurato perché la sua partner riserva al piccolo le attenzioni che prima erano rivolte solo a lui, e perché il suo sentimento paterno è in fondo ancora tutto da costruire.
Va aggiunto a questo il fatto che il periodo del puerperio sia l’unico che in tutte le culture mostra un’assenza di attività sessuale (Boncinelli,V.,1993).
L’assenza di un’attività sessuale della coppia, le cui ragioni sono molteplici e piuttosto evidenti, è al contempo causa e conseguenza di un possibile disagio. (Ibidem)
Boncinelli riferisce che la ripresa della sessualità è generalmente lenta e graduale, per quasi la metà delle puerpere per i primi tre mesi la sessualità permane scarsa a causa di stanchezza, torpidità sensoriale e dispareunia.(Ibid.)
Un’ulteriore causa è la comparsa della depressione post- partum, che verrà discussa nel paragrafo successivo.
Bowlby ci aiuta a comprendere i meccanismi della nascita della nuova relazione sottolineando il carattere innato del legame madre-bambino e le grosse potenzialità sia della madre che del neonato di partecipare con successo all’interazione.(Bowlby,J.,1989)
Egli cita le osservazioni di Klaus e Kennell su come le madri si comportino nei confronti del neonato quando dopo il parto si dà loro la libertà di fare come preferiscono: la madre prende in braccio il figlio e comincia ad accarezzargli il volto con la punta delle dita e a questo gesto il bambino si acquieta. Poi la mamma comincia a toccargli la testa e il corpo ed è facile che dopo cinque o sei minuti, ella lo accosti al seno ed anche a questo il bambino risponde, prendendo in bocca il capezzolo (Op.cit. in Bowlby,J.,1989).
Tra la mamma e il suo bambino di due o tre settimane, quando si trovano faccia a faccia, avvengono fasi di vivace interazione sociale alternate a fasi di disimpegno. Il bambino contribuisce all’interazione con saluti, espressioni facciali e vocalizzi ed è in genere lui a condurre e la madre a seguire. Del resto Bowlby sottolinea che in una relazione che si sviluppa felicemente ciascuno dei partner si adatta all’altro. (Ibidem)
Secondo la prospettiva di questo autore, le condizioni peri e postnatali che più favoriscono uno sviluppo positivo del legame sono l’aiuto pratico e il sostegno emotivo da parte delle persone che la circondano, mentre ciò che più lo ostacola è l’influenza di esperienze infantili negative.
Prima di descrivere gli aspetti salienti dell’allattamento, è utile soffermarsi brevemente su un fenomeno piuttosto diffuso dopo il parto: la depressione puerperale.
1.4.2
Disturbi post partum: la depressione puerperale
Il periodo che segue il parto è da considerarsi critico, e come tale va inteso dalle persone che circondano la giovane madre per meglio comprenderne le esigenze e darle sostegno, senza però arrivare a considerare come del tutto naturali gli eventuali disturbi che possono comparire in questo periodo.
Non bisogna perciò né sottovalutare la criticità del momento che la donna sta attraversando, né giustificare qualunque malessere o disturbo pensando che sia normale espressione di tale criticità, perché con quest’ultimo atteggiamento si rischia di non occuparsene con l’attenzione che merita.
Col termine depressione post partum ci si vuole riferire in tal sede unicamente a quel fenomeno diffuso (tanto da essere considerato da molti una normale conseguenza della separazione biologica), chiamato anche baby blues, non alle meno frequenti sindromi depressive croniche o alle ancor più rare e gravi situazioni patologiche definite psicosi puerperali.
I sintomi tipici di questo disturbo sono ansia, tristezza talora accompagnata da crisi di pianto, irritabilità. In condizioni favorevoli essi scompaiono dopo una settimana dal parto. (Romito,P.,1992, Brustia,P.,1996)
La definizione di questo malessere è in realtà problematica.
Ancora una volta si è tentato di dare un nome a qualcosa che spaventa, quasi a voler rassicurare chi si trova a fronteggiare degli stati d’animo che sembrano fuori posto in un momento di gioia come la nascita di un bambino, come se si volesse dire alla madre angosciata: “Non ti preoccupare, ciò che stai provando ha un nome, esiste e capita”.
Vero è che il sapere che ciò che si sta attraversando viene ricondotto ad una sintomatologia specifica e che molte donne lo sperimentano nelle stesse condizioni, allevia il senso di colpa dovuto al fatto di sentirsi depresse quando tutti si aspettano che si provi grande felicità.
Alcuni autori, come Hopkins[13], operano una distinzione fra baby blues (o maternity blues), depressione post partum e psicosi post partum; la quasi totalità della letteratura è concorde sulla definizione di quest’ultima, prevalentemente in base alla sua rarità (Kendell parla di uno o due casi su mille madri), e alla sua gravità (in alcuni casi le madri tentano di uccidere se stesse ed il loro bambino). (op.cit. in Romito,P.,1992)
E’ la gravità stessa del fenomeno che lo rende riconoscibile, e più le manifestazioni sono gravi, più si è concordi sulla definizione e sugli interventi (quasi sempre presa in carico da parte di un servizio psichiatrico).
Quando invece il fenomeno non raggiunge una dimensione psicotica e non si teme per l’incolumità della madre e del bambino, si parla comunemente di depressione post partum: difficile da identificare e definire perché si situa a metà fra la comune instabilità emotiva dei giorni che seguono il parto (disforia, per usare un termine tecnico), fino alla gravità di uno stato psicotico.
Il pianto e l’irritabilità sono considerati tipici sia del baby blues che della depressione, ecco perché i due termini spesso coincidono.
Uno “stato di mezzo”, dunque, ma molto diffuso.
Quanto diffuso? La frequenza varia in base ai criteri di definizione del fenomeno e gli strumenti di misura utilizzati. Se si prendono in considerazione i sintomi sopracitati, nei giorni dopo il parto le donne colpite sono l’80%. (Fonte: Romito,P.,1992)
Se si fa riferimento a scale psichiatriche, come quella di Raskin, l’incidenza non supera il 30%. (Ibidem) Si noti che i dati in merito provengono da ricerche inglesi o nord americane poiché non esistono studi italiani in proposito.
Anche per questo motivo farò riferimento quasi esclusivamente ai dati forniti da Patrizia Romito e alle ricerche da lei recentemente condotte.
Un altro aspetto sul quale è bene interrogarsi per comprendere il fenomeno è la sua durata.
Anche questo è un dato controverso, specie perché spesso si valuta la depressione nel momento in cui i sintomi si manifestano (vale a dire nei giorni successivi al parto), o comunque nel momento in cui un ricercatore ha intervistato le donne (anche questo accade spesso quando le donne si trovano ancora in ospedale); ci si preoccupa in genere meno di verificare la durata effettiva del fenomeno, ciò è in buona parte dovuto al fatto che questo implicherebbe ricerche più dispendiose, più intrusive e alle quali non si saprebbe dare all’inizio una stima precisa della durata.
Se ci si riferisce al baby blues, e sia il bambino che la mamma sono in buona salute, i sintomi scompaiono in genere dopo una settimana dal parto, ma spesso si ritiene che la depressione abbia una durata media di un mese: si dice che la durata vada dalle tre alle otto settimane dopo il parto.
Ma se nella maggioranza dei casi questo stato non permane più a lungo di una settimana, per alcune donne essa può durare molto di più, anche in relazione a fattori associati.
Tuttavia è corretto affermare che se lo stato depressivo perdura per diversi mesi ci si trova di fronte ad un fenomeno che si è cronicizzato e che assume le caratteristiche di una depressione classica piuttosto che di una depressione post partum.
Il concetto di depressione post partum è dunque di problematica definizione. In base alle cause ritenute responsabili e all’area e al tipo d’indagine che viene condotta per identificare questo stato, si possono distinguere diversi modelli: quello medico, che lo considera come una malattia e ne identifica i sintomi più che definirne le cause; quello biochimico, che ne attribuisce la causa a cambiamenti ormonali (caduta di estrogeni e progesterone e innalzamento della prolattina); l’approccio psico-sociologico, che considera la depressione post partum come una deviazione dalla norma, qualcosa che si discosta sia dall’esperienza tutta in positivo della maternità che dall’infelicità e dall’insoddisfazione come vengono generalmente intese, e che identifica questo stato come un’entità specifica, da non confondere con la depressione che insorge in altri momenti. (Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992, Boncinelli,V.,1993)
Non si può fare a meno di notare una contraddizione: la depressione dopo il parto è una deviazione dalla norma, ma allo stesso tempo viene sperimentata durante i primi giorni da circa l’80% delle donne.
Eppure verrebbe da pensare che una simile percentuale rappresenti la norma.
Nel presente lavoro si è precedentemente parlato di deviazione dalla norma nel caso di donne che non manifestano il desiderio di maternità: esse sono in verità una minoranza e anche per questo vengono talora considerate devianti.[14]
Ma in questo caso coloro che sono definite devianti rappresentano la maggioranza delle puerpere: se ne deduce che il contesto sia diverso e che per norma s’intenda qui una condizione di benessere e per devianza, conseguentemente, l’allontanarsi da tale condizione.
Per quanto riguarda i differenti modelli esistenti nello studio di questo fenomeno, si noti che l’adesione ad uno non esclude che si possano condividere aspetti che emergono da un altro: un approccio privilegia una componente, ma tale componente può venire contemplata anche in altri modelli, essi rappresentano dei riferimenti ma la loro distinzione non è così netta.
In ambito psicologico si è tentato di dare un modello esplicativo della depressione post partum, e questo ha portato talvolta alla formulazione di teorie che appaiono piuttosto complesse rispetto alla relativa semplicità (da non leggersi come banalità o facilità di comprensione) del fenomeno in sé.
La causa sembra risiedere nella separazione biologica, che segna la fine dello stato fusionale, e nel tentativo di elaborare i nuovi dati di realtà. (Brustia,P.,1996)
Piera Brustia scrive che l’intensità dello stato depressivo è direttamente proporzionale al desiderio di trattenere: più la donna teme la rottura della simbiosi e si oppone più o meno inconsciamente ad essa, più sarà acuta la depressione post partum, e meno la donna sarà in grado di “contenere” il bambino e di fornirgli il sostegno che gli è indispensabile. (Ibidem)
In base a quanto detto fin’ora, sembra plausibile affermare che la depressione post partum sia espressione della difficoltà di riorganizzare il proprio mondo interiore e di armonizzarlo con quello esterno.
Le ricerche ad orientamento sociologico pongono l’accento sulla mancanza di un adeguato sostegno sociale: la depressione appare allora come una risposta alle difficoltà oggettive della vita. E’ da segnalare che l’approccio sociale alla depressione post partum nasce negli anni ’80 nell’ambito di studi inglesi[15] sugli effetti degli avvenimenti della vita e del sostegno sociale sulla depressione post partum (se si escludono gli studi pioneristici alla fine degli anni ’50 di Richard Gordon e di sua moglie Katharina Gordon, che però non erano dei sociologi, ma uno psichiatra e un’infermiera, e che misero in evidenza un’associazione tra la depressione e alcune tensioni sociali riportate dalle donne). (op.cit. in Romito,P.,1992)
La tesi proposta da Patrizia Romito è che il disagio delle madri, specie se prolungato, ha le sue origini nel contesto della vita quotidiana: nelle condizioni di lavoro, nella relazione di coppia, nell’aiuto dentro e fuori casa; se tali condizioni non sono favorevoli il disagio ha buone possibilità di perdurare nel tempo. (Ibidem)
Non bisogna inoltre dimenticare, come la stessa Romito mette in evidenza, che le prime settimane dopo il parto sono caratterizzate da stanchezza e da un certo numero di disturbi fisici, e che questi disturbi possono avere ripercussioni sul benessere psicologico delle madri. (Boncinelli,V.,1993)
Per concludere, si può dire che sono numerosi i fattori che possono avere un ruolo sulla depressione post partum, come pure le interpretazioni di questo fenomeno, mentre le soluzioni e i rimedi appaiono meno evidenti.
Se il baby blues viene visto come qualcosa che non è necessariamente un male, ma una risposta adattativa ad uno stato nuovo e temporaneo, e se la sua durata rimane circoscritta ai giorni seguenti al parto, forse sono sufficienti i seguenti interventi: fornire un sostegno adeguato alle madri fin dal momento della nascita del bambino, far sapere loro che hanno tutta la comprensione e l’appoggio delle persone che la circondano, sgravarle il più possibile da obblighi che toglierebbero loro tempo ed energie che potrebbero essere investite nell’ascolto dei bisogni del figlio e nella costruzione della relazione, non farle sentire in colpa se in questo momento hanno meno attenzioni per il proprio partner, o se si sentono frastornate dalle troppe attenzioni. (cfr. Soifer,R.,1985, Bowlby,J.,1989, Brazelton,T.,1991 e Romito,P.,1992).
Bisogna evitare sia di minimizzare, sia di drammatizzare sul loro malessere, e cercare di star loro vicino.
Forse la soluzione non è così semplice perché in fondo non riguarda le donne, ma il comportamento del partner e della società: è da essi che bisogna partire per diminuire il disagio femminile e aiutare la maternità. (Ibidem)
1.4.3
L’allattamento
Le teorie e i contributi sull’allattamento in letteratura sono numerosissimi: non s’intende in questa sede darne un panorama completo ed esaustivo, ma sottolinearne l’importanza all’interno della relazione madre-bambino ponendone in rilievo alcuni aspetti significativi.
A questo scopo verranno illustrati brevemente il valore dell’allattamento in una prospettiva interazionista secondo la teoria dell’attaccamento (Bowlby e i suoi prosecutori, in particolare Schaffer), e nelle prime relazioni oggettuali secondo la psicanalisi (Esther Bick e Melanie Klein come principali contributi scelti).
Prima di tutto occorre stabilire che si parte da un presupposto fondamentale: sebbene l’immagine materna sia intimamente legata nei primi mesi al soddisfacimento dei bisogni alimentari, come alcuni autori non mancano di sottolineare[16], questo non significa che il valore dell’allattamento risieda unicamente nel fornire il nutrimento necessario alla sopravvivenza del bambino: c’è molto di più attorno a questo, c’è una relazione, come si è già precedentemente accennato e come si vedrà oltre.
Bowlby afferma che il dialogo fra mamma e neonato ha un carattere innato e che esso inizia immediatamente; tale dialogo é fatto di fasi di vivace interazione alternate a fasi di disimpegno. (Bowlby,J.,1989)
Anche l’allattamento si inscrive in questo dialogo: secondo Schaffer tutte le prime interazioni si organizzano intorno a questa attività.(Schaffer, H.R.,1977)
Proprio Schaffer descrive in maniera dettagliata i patterns che vengono attivati durante l’allattamento e analizza la diade madre-bambino come sistema d'interazione. (Ibidem)
Un aspetto fondamentale dell’allattamento è il riflesso di suzione, che é in realtà più complesso di quanto appaia: il bambino sotto stimolo tattile vicino alla bocca si volge verso lo stimolo (riflesso di ricerca), quindi ritira la lingua e si mette a succhiare. (Peri,G.,1992). Appare evidente che si tratta di uno schema innato, così come si tratta di una capacità preprogrammata quella della madre di rispondere ai segnali del figlio.
Schaffer e altri rilevano che già dai primissimi pasti la suzione appare organizzata secondo un modello di alternanza di attività e pausa: la madre sollecita il neonato nelle pause e il neonato riprende quando la stimolazione materna cessa (ricerche di Kaye et al.)[17]. Quando il neonato succhia la madre é passiva, e viceversa: é davvero un dialogo.
Gli scambi durante l’allattamento e
l’interazione faccia a faccia costituiscono infatti delle protocomunicazioni. (Schaffer,H.R.,1977)
Nello schema di suzione, l’unica funzione adattativa delle pause è quella di favorire l'interazione con la madre. (Ibidem)
Vi sono anche delle attività simultanee, come la co-orientazione visiva.
L’esistenza di una regolazione congiunta nell’interazione faccia a faccia è stata dimostrata anche da una serie di esperimenti in cui veniva richiesto alla madre di violare le aspettative del bambino bloccando improvvisamente, per un breve periodo, l’espressività facciale o atteggiando il viso in modo incongruo (esperimenti di Tronick sul viso impassibile, op.cit. in Schaffer,H.R., 1977, e in Brazelton,T.B. e Cramer.B,1991).
Da questi esperimenti è emerso che il bambino reagisce intensamente già nei primi mesi di vita alla violazione delle regole, sia cercando di ristabilire la relazione con la madre, sia mostrando segni di disagio, sia infine distogliendo l’attenzione. In tutti i casi la sua reazione dimostra che il bambino si è ormai formato alcune aspettative circa l’andamento dell’interazione.
Ciò che rende possibile una tale
coordinazione sono da un lato le predisposizioni innate del bambino, e
dall’altro le capacità materne di adattarvisi. (Schaffer,H.R.,1977)
Brazelton riconduce la precocità con cui
madre e bambino coordinano le loro interazioni alla sincronia intrauterina
riscontrabile tra madre e feto a partire dal terzo trimestre di gravidanza.
Egli ipotizza che il bambino alla nascita abbia già una certa familiarità coi
segnali uditivi e cinesici della madre, oltre ad una certa esperienza di
coordinamento ai suoi ritmi: torneremo ulteriormente su questo punto, quando
andremo a esaminare l'importanza della musica nella relazione madre-bambino. (Brazelton,T.B.,1982, op.cit. in Schaffer,H.R.,1977)
Schaffer definisce gli scambi che si verificano nei primi mesi come pseudodialoghi, differenziandoli dai dialoghi veri e propri che si svilupperanno in un periodo successivo in cui il bambino, avendo acquisito le capacità d’intenzionalità e reciprocità, è in grado di cooperare in misura analoga all’adulto al raggiungimento della sincronia interpersonale. (Ibidem)
Le madri ricorrono ad una gran varietà di tecniche diadiche per mettersi in relazione col loro bambino, che vengono classificate come tecniche di: phasing, adattamento, facilitazione, elaborazione, avvio dell'interazione e controllo (Ibid.).
Il pattern “attività-pausa” (burst-pause pattern) della suzione durante il primo mese, è il precursore di una serie di cicli di attività-pausa che si svilupperanno successivamente in numerose forme di comportamento.
All’inizio le madri interpretano frequentemente le pause come segni di perdita d’interesse o di scarsa fame, ma gradualmente s’instaurano sincronia e consapevolezza, il bambino viene stimolato meno e le pause si fanno più brevi.(Ibid.)
L’allattamento è dunque secondo quest’ottica l’attività attorno alla quale si organizzano tutte le successive interazioni, e il suo andamento e relativo successo o insuccesso può influenzare la relazione tra mamma e bambino.
Quest’approccio appare particolarmente utile al fine di analizzare l’allattamento in quanto fenomeno facente parte della relazione madre-bambino e di primaria importanza al suo interno.
Ma non si può tralasciare la prospettiva psicanalitica, per comprendere le dinamiche profonde delle prime relazioni oggettuali.
Ciò che il bambino riceve non é solo il latte, ma sono le cure materne e il contatto. Prima di tutto il contatto con la pelle, quella particolarmente morbida e profumata del seno. E poi ci sono lo sguardo e la voce della mamma, l’abbraccio che cinge tutta l’esperienza dell’allattare, la ripresa di quel dialogo fatto di calcetti che era iniziato in gravidanza.
Il bambino si specchia nella madre, per
usare l’efficace espressione di Winnicott, e mai come durante l’allattamento i
due si riconoscono reciprocamente come madre e figlio. (Winnicott,D.W.,1971)
Ma per il bambino il riconoscimento della madre come oggetto unitario avviene in un secondo tempo: la prima relazione oggettuale é in realtà quella col seno, inoltre vi é subito un processo di scissione dell’oggetto seno (Klein,M.,1957). Anche secondo Esther Bick vi é inizialmente una scissione e l’allattamento può favorire l’integrazione delle parti dell’oggetto. Ecco in che modo.
Nel breve scritto “L’esperienza della pelle
nelle prime relazioni oggettuali”(1968), la Bick parte dall’assunto che la
pelle, insieme ai primi oggetti del bambino, svolga la funzione di collegamento
fra componenti della personalità non ancora differenziate da parti del corpo. (Bick,E.,1968, in Isaacs,S., et al.,1984)
L’ipotesi é che le componenti primitive della personalità non abbiano capacità coesiva e debbano quindi essere tenute insieme attraverso la pelle che funge da confine; ma questa funzione interna di contenimento delle componenti del Sé dipende inizialmente dall’introiezione di un oggetto esterno adatto a svolgere tale funzione. L’oggetto ottimale é il seno.
Più tardi, l’identificazione con questa funzione svolta dall’oggetto permette al bambino di superare lo stato di non-integrazione e dà origine alla fantasia di un duplice spazio, interno ed esterno. (Ibidem)
Secondo la Bick, é solo a questo punto che possono entrare in gioco i meccanismi di scissione primaria e di idealizzazione del Sé e dell’oggetto descritti da Melanie Klein. Fino a che non vengono introiettate le funzioni di contenimento, non é possibile la costituzione di uno spazio interno al Sé e conseguentemente la costruzione di un oggetto interno. (Ibid.)
Il bisogno di un oggetto contenente, vissuto come una pelle, é motivato dallo stato di non integrazione in cui si trova inizialmente il bambino, e spinge alla ricerca di un oggetto quale una voce o un odore, che favorisca l’integrazione: in questo processo si può inserire l’allattamento e si legga l’autrice in proposito: “L’oggetto ottimale é costituito dal capezzolo in bocca, insieme con la percezione dell’essere tenuto tra le braccia della madre, della sua voce e del suo odore ormai familiare”.(Bick,E.,1968, in Isaacs,S., et al.,1984, pag.91)
Nel suo libro “Invidia e gratitudine”, come in altri suoi lavori, la Klein sottolinea l’importanza fondamentale della prima relazione oggettuale del bambino, ovvero il rapporto con il seno materno e con la madre: se l’oggetto primario, che viene introiettato, si radica saldamente nell’Io, costituisce una solida base per uno sviluppo soddisfacente.(Klein,M.,1957)
L’oggetto primitivo, il seno, sotto il predominio degli impulsi orali, viene percepito come la sorgente del nutrimento e perciò fonte della vita stessa.
Se le cose vanno bene, questo contatto fisico e psichico col seno gratificante aiuta a ristabilire almeno in parte la perduta unità prenatale con la madre e il senso di sicurezza ad essa connesso. Il seno buono viene introiettato e diventa parte dell’Io: il bambino ha ora la madre dentro di sé.
Le circostanze della realtà esterna influiscono sul rapporto iniziale col seno: ad esempio un parto difficile, con complicazioni, può condizionare in maniera negativa il rapporto col seno materno. (Ibidem)
In tal caso non si può introiettare un oggetto primario completamente buono. Un altro fattore che influisce é la capacità della madre di allattare con gioia profonda e di accudire adeguatamente il bambino, capacità minata ad esempio dalla presenza di angosce.
La Klein afferma che il seno non rappresenta per il bambino un oggetto puramente fisico: l’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce fanno sì che al seno vengano attribuite delle qualità che vanno ben oltre il nutrimento che esso fornisce. (Ibid.)
Il desiderio del bambino di possedere un seno inesauribile e sempre presente, la delusione nello sperimentare che non é così e i conseguenti impulsi distruttivi portano il bambino alla scissione dell’oggetto: a credere cioè che esista un seno buono e un seno cattivo.(Ibid.)
Le prime esperienze emotive sono dunque caratterizzate dalla sensazione di perdere e riconquistare l’oggetto buono.
Il primo oggetto d’invidia é il seno che nutre, poiché possiede tutto quello che il bambino desidera, ovvero una quantità illimitata di latte e di amore che però tiene per sé. (Ibid.)
La prima relazione oggettuale si fonda dunque sull’esperienza del nutrimento e non deve stupirci se é caratterizzata da ambivalenza poiché essa é insita nei sentimenti umani.
Le tendenze sono dunque conservare e risparmiare l’oggetto da un lato, dovuta alla gratitudine, e prosciugarlo e danneggiarlo dall’altro, causata dall’invidia. Se la gioia serena dell’allattamento é stata provata spesso e il desiderio di conservare l’oggetto é predominante, l’introiezione del seno buono sarà realizzata in modo sicuro.
Si é fatto accenno alle angosce della madre relative all’allattamento e alla loro possibile influenza sul suo svolgimento, occorre a questo punto capire quali possano essere tali angosce e la loro origine.
Marie Langer attribuisce le angosce connesse all’allattamento a due fattori principali riconducibili ad un’insoddisfazione orale: il desiderio di conservare una posizione ricettiva infantile, e il persistere di tendenze aggressive infantili rivolte alla propria madre. (Langer,M.,1951)
Raquél Soifer evidenzia la paura di non avere latte e altre angosce più generiche relative alla relazione col bambino. (Soifer,R.,1985)
Vi sono ad esempio bambini più attivi, più vitali nell’approccio col seno, e altri più passivi (la Soifer li definisce “dormiglioni”): ebbene se ad esempio la madre non é preparata alla vivacità dei primi bambini, può accadere che si contragga causando l’invaginazione del capezzolo e il pianto del bambino. Il pianto del neonato spaventa ancor più la mamma e si instaura un circolo vizioso in cui l’angoscia della donna causa ansia nel bambino, che a sua volta accresce l’angoscia materna e così via. (Ibidem)
Nel caso in cui invece il piccolo si addormenti al capezzolo, la mamma può non comprendere questa attitudine e ancora una volta sentirsi impreparata, nonché sperimentare frustrazione e non sapere come comportarsi; se la madre é in grado di tollerare l’iniziale frustrazione e di attendere secondo i ritmi del bambino, gradualmente l’allattamento seguirà un corso positivo, in caso contrario si instaurerà probabilmente il circolo dell’angoscia sopra descritto e una reazione di rifiuto sia del neonato che della madre.(Ibid.)
Ancora una volta occorre che la mamma, specie se primipara, abbia accanto delle persone che la tranquillizzino e che le spieghino che certe reazioni sono normali e possono accadere: di questo può incaricarsi sua madre, o un’infermiera, o un’amica più esperta in materia, e se si tratta solo di impreparazione da parte della donna e non di angosce più profonde e radicate, allora la situazione non può che migliorare con l’aiuto delle persone che la circondano. (cfr. Brazelton,T. e Cramer,B.,1991)
Non bisogna comunque dimenticare che le
difficoltà iniziali dell’ allattamento o della relazione a volte si superano in
pochi giorni e in maniera naturale. E’ giusto far sapere ad una giovane mamma
preoccupata di non “saper fare abbastanza” per costruire il proprio legame con
il figlio, che la sola presenza della madre é di per sé uno stimolo per il
bambino, come ci spiega Spitz. (Spitz,R.A.,1962)
Se ne deduce che l’allattamento é una delle forze formative nel rapporto madre-bambino e che la comunicazione fra il lattante e la mamma nello stadio preverbale riveste un’importanza notevolissima. (Ibidem)
E’ bene dunque cercare di favorire questa comunicazione, dedicandosi ad allattare con la maggiore serenità possibile e dando a questa esperienza, se la si vuole sperimentare, l’importanza che merita: é preferibile in questi momenti concentrarsi sul bambino, sui suoi ritmi, sui suoi sguardi, isolarsi dalle altre persone se necessario perché non ci distraggano e non perturbino questa incredibile occasione di conoscenza e di costruzione del legame tra madre e bambino. (cfr. Peri,G.,1992)
PARTE SECONDA:
IL SIGNIFICATO DI PERDITA E RECUPERO
DELLA RELAZIONE
E
L’UTILIZZO DELLA MUSICA
2) IL
RECUPERO DELLA RELAZIONE
MADRE - BAMBINO
Cosa significa recuperare la relazione? Per rispondere a questa domanda occorre prima stabilire perché e in che modo il legame sia stato perduto, e soprattutto cosa s’intende per perdita.
E’ opportuno chiarire immediatamente questi punti, poiché su essi si basano l’ipotesi di questo lavoro e le considerazioni che seguiranno.
Partendo dal presupposto che esistono una relazione madre-bambino reale e una psichica (che possono coincidere in misura variabile), allo stesso modo vi sono da un lato situazioni di perdita o di distacco reali, e dall’altro dei vissuti di perdita. (Bowlby,J.,1983)
Non si farà riferimento alle situazioni di perdita reale di uno dei membri della relazione o della relazione stessa, ma ai casi in cui si ha la percezione di perdita del legame tra madre e figlio.
Si prenderà dunque in considerazione la sensazione di perdita della relazione, intesa principalmente come relazione psichica piuttosto che reale, sapendo tuttavia che la prima influenzerà inevitabilmente la seconda (si ricordi un’osservazione di Hinde: “Quello che una persona pensa di una relazione può essere più importante dell’interazione che ha luogo effettivamente”, op.cit. in Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991,pag.165).
Alcune delle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti verranno in questa parte riprese poiché fungono da presupposto alle condizioni di perdita e recupero.
Occorre precisare che i vissuti di perdita cui si farà riferimento vanno più che altro intesi come un’interruzione momentanea e spesso breve del legame: si tratterà quindi di una perdita temporanea e non di una rottura.
Questa interruzione temporanea del legame madre-bambino può avere diversi significati. Talora può essere causata da una reazione della donna, cioè una risposta a uno o più eventi percepiti come traumatici: è possibile che in tal caso rappresenti una difesa da parte della madre (Deutsch,H.,1945, Spitz,R.A.,1962, Freud,A.,1967). Oppure può trattarsi di una fase difficile che precede l’instaurarsi di una relazione positiva (Soifer,R.,1985 Brazelton T.B.,1991). O potrebbe essere una conseguenza dell’angoscia (ibidem). O è possibile che sia una normale reazione di fronte a difficoltà e complicazioni legate alla nascita (Langer,M.,1951, Romito,P.,1992).
Le cause possono dunque essere molteplici: i precedenti esempi sono stati citati allo scopo d’introdurre l’argomento, questi casi verranno chiariti ed esaminati oltre in maniera più dettagliata.
Un caso in particolare in cui si riscontra una perdita temporanea della relazione tra la madre e il figlio appena nato (ricordo che questo lavoro verte sulla relazione peri e post-natale), é quello della nascita di un bambino prematuro.
Verranno dunque esaminate queste situazioni, si tenterà in seguito di ipotizzare alcuni possibili strumenti per favorire il recupero del legame, quali l’utilizzo della musica e di attività ad essa legate.
2.1 La perdita del legame
Gli elementi che possono condurre alla perdita temporanea della relazione madre-bambino, secondo l’approccio seguito dal presente lavoro, sono essenzialmente i seguenti: lo choc della separazione del parto e la conseguente perdita dello stato fusionale raggiunto con la gravidanza, e la discrepanza tra il bambino immaginario e il bambino reale. (Ferraro,F. et al.,1985, Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991, Brustia,P.,1996)
Come si può notare, parlando di perdita del
legame si fa riferimento al momento che segue la nascita. In gravidanza si
trovano le premesse dell’attaccamento, e benché si é affermato che la relazione
cominci con la gravidanza, anche nel caso di difficoltà nell’adattarsi alla
condizione di donna incinta non é corretto in questo periodo parlare di perdita
del legame, poiché un legame vero e proprio col bambino non si é ancora
instaurato. La relazione esiste già, ma
nei confronti di un oggetto interno, di un bimbo che non é ancora fisicamente
separato dalla sua mamma, che é presente e non presente al tempo stesso e che
dunque é per il momento un bambino fantasticato. Per parlare di relazione, di
interazione o di diade madre-bambino occorre che il bambino sia nato, che sia
un essere vivente indipendente. (Brazelton,T.B.,1991,Schaffer,H.R.,1977)
Perché si possa davvero parlare di relazione occorre insomma che i membri che la compongono siano due: essa ha dunque effettivamente inizio col taglio del cordone ombelicale, e si può pertanto parlare di perdita della relazione solo dopo la nascita.
Si é già discusso precedentemente di come la
separazione anatomica sia per molti versi traumatica, o comunque possa essere
vissuta come tale: il termine dello stato fusionale implica il distacco da
quella che é percepita come una parte di sé (e che effettivamente dal punto di
vista fisico lo era fino a quel momento), ed é necessaria una nuova
rielaborazione della realtà. (Deutsch,H.,1945, Brustia,P.,1996)
Questo é normale e necessario: come si è detto bisogna separarsi per unirsi, infatti la separazione permette d’incontrare il bambino e di mettere in atto i meccanismi dell’attaccamento. (Bowlby,J.,1972)
La separazione crea l’unione, é necessaria per diventare genitori. (Rousseau,H.,1993)
Ma spesso, come si è già avuta occasione di affermare, ci si trova impreparati anche quando il bambino é atteso e desiderato, e la madre può avere dei problemi a stabilire la relazione col figlio appena nato: il divario tra la realtà della gravidanza e quella della nascita é grande e può suscitare un sentimento d’inadeguatezza nei confronti del bambino e d’incapacità ad interpretare i messaggi che manda, specie se si tratta del pianto.(Ibidem)
Ci si trova in questo caso di fronte alla difficoltà di stabilire un contatto psichico, di trovare un linguaggio comune.
Difficoltà dovuta anche al fatto che l’immagine del bambino che si era andata costituendo durante i mesi di gravidanza, difficilmente combacia con l’immagine reale che si viene a conoscere dopo la nascita (Brazelton,T.B.,1991,Brustia,P.,1996): la realtà può venire in un primo momento rifiutata e questo può costituire in sé una perdita temporanea della relazione.
Si noti come ciò avvenga in assenza di perdita fisica ed effettiva del bambino, ma dinanzi alla perdita della sua immagine, che si era fatta potente e significativa.
Una situazione di questo tipo é più grave se non vi sono malformazioni, o difetti fisici, o malattie, e nonostante questo permane la mancata accettazione del bambino.(Ibidem)
A volte non lo si accetta per motivi “banali”, ad esempio se si desiderava a tutti i costi un maschio e nasce una femmina, o viceversa. (Bowlby,J.,1983)
I casi in cui prima del parto, grazie alle moderne tecniche, si sa già che il piccolo nascerà affetto da anomalie, possono pregiudicare l’andamento della relazione dopo la nascita, o al contrario possono favorirlo poiché si ha il tempo di accettare la realtà e di prepararsi ad affrontare una situazione che pur tuttavia resta critica.
Dunque una delle difficoltà maggiori dopo la nascita é quella di elaborare il lutto per la perdita del bambino immaginario e riconciliarsi con quello reale. (Brazelton,T.B.,1991,Brustia,P.,1996)
Come sottolineano Bowlby e Brazelton, tutti i genitori attraversano una forma più o meno intensa di delusione nei confronti del loro bambino (questo accade spesso già prima della nascita, ad esempio al momento della prima ecografia), ma ciò fa parte di un processo normale che conduce alla genitorialità. (Ibidem)
Ma quando il neonato presenta dei difetti reali, una malattia congenita o nasce prematuro, la mancata corrispondenza tra il bambino reale e quello immaginario diventa molto più problematica, continua Brazelton. (Ibid.)
Si tornerà sul neonato prematuro nel paragrafo seguente, poiché merita una riflessione più approfondita.
Prima è opportuno citare alcune possibili cause di perdita precoce o di mancato instaurarsi del legame. Tra esse si possono trovare la depressione puerperale[18] (cfr. Romito,P.,1992); il senso di colpa, generato dall’ambivalenza dei sentimenti verso il figlio (cfr.Brustia,P.,1996), o quello che si prova ad esempio verso un partner “trascurato” a causa del bambino, con la conseguente paura irrazionale della donna di essere abbandonata, che può indurre a rifiutare il bambino (cfr.Soifer,R.,1985). Anche il sentirsi inadeguata rispetto ai bisogni del bambino è un fattore ostacolante la relazione: si sente il peso di tale responsabilità e delle aspettative sociali e come difesa si mette in atto il distacco dal bambino. (cfr. Romito,P.,1992)
Vi sono infine dei fattori pre e perinatali che possono influire sulla relazione.
Tra questi fattori compaiono un travaglio
difficile e gli effetti degli anestetici e degli analgesici usati nella pratica
ostetrica. (Schaffer,H.R.,1977)
Schaffer sottolinea l’influenza dei fattori legati alla gravidanza e al parto sui primi patterns interattivi e sullo stato del bambino nel periodo neonatale. (Ibidem)
Poiché un’interazione é il prodotto del
contributo di entrambi i partecipanti alla situazione comune, l’andamento della
relazione madre-bambino sarà influenzato sia dallo stato della madre che da
quello del bambino. (Bell,1968,
op.cit. in Schaffer,H.R.,1977,
pag.497)
Tra i fattori perinatali figurano gli
effetti dei farmaci usati nella pratica ostetrica: Brazelton ha dimostrato che
l’uso di alcuni farmaci era correlato a difficoltà nell’allattamento; altre
ricerche hanno confermato che la suzione nutritiva e l’assunzione di cibo sono
influenzate da questi farmaci. (Brazelton,T.B.,op.cit. in
Schaffer,H.R.,1977, pag. 498)
Si possono fare a questo punto ulteriori considerazioni sulla moderna medicina occidentale, che se da un lato ha ridotto la morbilità e la mortalità perinatale, dall’altro ha interferito sempre di più con le prime interazioni sociali fra madri e neonati. (Ibidem)
Tale interferenza può avere svantaggi psicologici che devono essere valutati insieme ai vantaggi e agli svantaggi medici. A volte esiste un conflitto fra rischi medici e rischi psicologici: ad esempio l’incubatrice per i neonati prematuri costituisce una garanzia per l’igiene e le cure che si possono fornire loro, ma crea isolamento ed elimina il contatto con i genitori, il che é sicuramente traumatico tanto per un bambino quanto per un genitore (cfr. Schaffer,H.R.,1977, Soifer,R.,1985). Si tornerà su questo punto in maniera più approfondita.
Per quanto riguarda, infine, l'influenza dei fattori connessi al travaglio e al parto sull’andamento della relazione madre-bambino, occorre precisare, come rimarca Schaffer, che un travaglio difficile può determinare un comportamento postnatale alterato nel bambino, o nella madre, o in entrambi. Esso inoltre potrebbe riflettere qualche caratteristica della madre che di per sé influenza la sua successiva interazione col bambino. (Ibidem)
Si andranno ora ad analizzare più nel dettaglio le caratteristiche e le implicazioni del parto prematuro.
2.1.1
Un caso di perdita temporanea del legame: il bambino prematuro
Il bambino nato prematuramente costituisce un particolare problema di ordine medico ma anche di ordine psicologico.
I criteri di definizione sono in relazione al peso del bambino alla nascita e alla durata della gravidanza: viene solitamente definito prematuro un neonato di peso inferiore a 2.500 grammi e che sia nato prima della trentasettesima settimana di gestazione. (Peri,G.,1992)
Più il parto è anticipato e minore è il peso del bambino, più sono critiche le sue condizioni.
Il neonato prematuro presenta di frequente difficoltà respiratorie, ipotonia, ipotermia e un ritardo nello sviluppo motorio e cognitivo, che però può venire facilmente recuperato in poco tempo. (Ibidem)
Attualmente molte ricerche sono orientate verso la famiglia del prematuro più che sul neonato stesso, forse perché si è compreso fino a che punto un evento di questo tipo incide sui genitori, in particolar modo sullo stabilirsi della relazione madre-bambino, e che ha delle conseguenze psicologiche da non sottovalutare. (Ibid.)
Nel caso particolare di una nascita prematura, i fattori che causano la perdita temporanea del legame possono essere determinati sia dalla situazione reale che dai vissuti interni della madre: questi fattori si possono identificare essenzialmente nell’isolamento del bambino e nel senso di colpa della madre.(Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)
Per tornare alla distinzione precedentemente citata tra relazione madre -bambino reale e relazione psichica, l’isolamento è un dato reale e comporta una separazione fisica, mentre il senso di colpa, unito ad altri sentimenti, fa parte dei vissuti interni della madre.
Si può dedurre che il momentaneo distacco
fisico sia una delle cause della sensazione di perdita, ma, come si è detto,
spesso avviene il contrario, e cioè che siano i vissuti psicologici ad influire
sulla relazione reale. (Spitz,R.A.,1962,
Bowlby,J.,1983)
Anziché di perdita della relazione, è forse più corretto parlare di difficoltà o impossibilità a mettere in atto quei meccanismi volti a stabilire una relazione: difficoltà che nascono in questo caso più dalla oggettiva condizione di isolamento in cui viene posto il bambino, che da blocchi mentali. (Soifer,R.,1985)
E’ utile fare alcune riflessioni sull’opportunità di questa condizione d’isolamento.
Il neonato prematuro viene tenuto in una macchina incubatrice che lo aiuta a svolgere le funzioni vitali deficitarie, che permette di tenerlo costantemente sotto controllo e che lo preserva dai microbi. Le cure mediche e fisiche e il mantenere il neonato in condizioni igieniche sono stati sempre prioritari rispetto alle cure relazionali. (Peri,G.,1992)
Ultimamente, però, ci si è resi conto di
quanto sia penoso per i genitori non poter avere un contatto col proprio figlio
e dovergli parlare attraverso un vetro, e quanto anche il bambino, per il suo
benessere psicofisico, necessiti di questo contatto. (Soifer,R.,1985, Rousseau,H.,1993)
In particolare Raquél Soifer, e con lei altri esponenti della scuola sudamericana , è convinta di come, per preservare un ambiente igienico attorno al neonato prematuro, si perdano di vista fattori più importanti: infatti questa prescrizione non tiene conto della necessità di non staccare il bambino dai genitori. (Ibidem)
Come si potrà leggere oltre, ho visitato una clinica a Saint Etienne, in Francia, che, concordando su questa posizione, ha sviluppato un sistema alternativo di cure per neonati prematuri e per le loro mamme.(cfr.pag.134)
Ma anche laddove si continui a occuparsi dei prematuri nel modo tradizionale, degli aggiustamenti sono in atto e vi sono state delle recenti migliorie nell’attenzione alla relazione, al benessere psicologico di genitori e neonati e nel tentativo di non tenere troppo separati i genitori dai loro figli nati prematuramente. (Wolff,L.,1999)
Se è vero, come è stato detto, che la figura del medico e le tecniche di cui dispone costituiscono una presenza che può risultare intrusiva già in gravidanza, e che è sempre crescente la medicalizzazione del parto (Oakley,A.,1985), è pure vero che i genitori vengono resi più partecipi di ciò che accade all’interno dell’ambiente ospedaliero. Se ne deduce che il medico oggi si “intromette” nella coppia che attende un bambino, la “perturba” con l’ecografia, si prende a volte gran parte del merito dopo il parto, ma lascia poi che il padre s’introduca nell’ambiente medico e lo fa assistere alla nascita, e dal 1966 permette alle famiglie maggiore libertà di movimento all’interno dell’ambiente ospedaliero.(Rousseau,H.,1993)
Fino alla metà degli anni ’60, infatti, nella maggior parte delle strutture, i genitori non potevano avvicinarsi che per pochi minuti all’incubatrice e in presenza di un’infermiera, a volte non potevano neanche entrare nella stanza e guardavano dunque dalla porta o attraverso una vetrata. (Ibidem)
E’ un’immagine che appare molto triste. Quanto era effettivamente necessaria una precauzione di questo tipo? Difficile a dirsi. La principale ragione addotta in proposito era il timore dei microbi. In effetti, molti microbi provengono dall’esterno, ma lo stesso personale medico non ne è immune. (Ibid.)
Il fatto è che all’epoca numerose ricerche sul legame madre-bambino, sulle interazioni che lo contraddistinguono e sull’osservazione diretta dei bambini, non erano ancora state svolte, o portate a termine o suffragate da dati empirici, perciò si prendevano misure precauzionali principalmente nei confronti del neonato e in misura minore della relazione coi suoi genitori. (Ibidem)
Il voler tenere da parte la famiglia può tuttavia celare una tendenza più o meno inconscia ad appropriarsi del bambino, a voler depauperare l’autorità parentale per dare valore al personale che opera nelle strutture. (Wolff,L.,1999)
In questo atteggiamento vi sarebbe dunque un’affermazione di potere.
Viene in mente a riguardo ciò che scrive Hélène Deutsch su alcune donne che, per paura della sessualità, possono soddisfare i loro sentimenti materni solo in modo indiretto, e abbracciano quindi professioni dove possono appagare la loro sete di maternità, come quella dell’ostetrica, lasciando ad altre la parte sessuale e l’esperienza della riproduzione. (Deutsch,H.,1945)
In ogni caso, quello che è probabilmente importante è permettere che si crei un legame tra genitori e figli, e ultimamente ciò sembra venire sempre più spesso compreso.(Rousseau,H.,1993)
A facilitare tale compito intervengono non solo le recenti acquisizioni della psicologia, ma anche quelle della medicina: i progressi tecnici sono stati considerevoli negli ultimi anni e hanno ridotto il tasso di mortalità e morbilità prenatale; per i neonati prematuri, i progressi concernono tecniche di terapia intensiva che comportano una migliore speranza di vita e di sviluppo ottimale e talvolta una più breve permanenza nell’incubatrice, o comunque una minore fragilità immunitaria del bambino se venisse a contatto coi genitori. (Ibidem)
Queste tecniche prevedono un’assistenza
termica perché questi bambini hanno una temperatura che si abbassa molto in
fretta, un’assistenza nutrizionale che si effettua con sonde o sistemi a
perfusione intra-venosa, e nei casi più gravi un’intubazione e una ventilazione
assistita.(Ibid.)
Questo può spaventare i genitori.
Da parte sua, il neonato è un essere che
vive, che tenta di comunicarsi e che necessita di amore e di sentire il
contatto della pelle della propria madre, non solo di cure mediche. (Spitz,R.A.,1962)
Come favorire la relazione quando cure intensive sono tuttavia necessarie?
Come integrare i genitori nei servizi di maternità e neonatologia?
Può essere utile ridurre le loro paure, che
potrebbero interferire con le attitudini genitoriali e con le capacità di
mettersi in relazione col figlio (vedere il piccolo in una tale condizione di
sofferenza è forse quanto di più lontano dall’immagine preesistente del bambino
perfetto).Sembra inoltre consigliabile renderli partecipi e tentare di ricongiungere
appena possibile la mamma e il suo bambino. (Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)
Quando giunge questo momento, molte mamme quasi non osano toccare il figlio e preferiscono affidarsi al personale ospedaliero, a loro dire più competente. (Romito,P.,1992) Prima queste richieste venivano spesso assecondate, la tendenza attuale sembra essere invece quella di rassicurare queste donne sulle loro capacità materne, assecondare i loro ritmi, mostrare loro “come si fa”: insomma aiutarle a scoprire il loro istinto materno.(Rousseau,H.,1993)
L’isolamento causa sofferenza, ma sebbene questo distacco impedisca momentaneamente la messa in atto dei sistemi d’attaccamento, allo stesso tempo può favorire tali sistemi in futuro: è opinione di alcuni operatori del settore che il recupero successivo della relazione sia immediato poiché il ricongiungimento è fortemente anelato (testimonianza raccolta presso il Dipartimento di Solidarietà Sociale della Provincia di Torino,cfr. par.3.1.1)
Parlando con un’ostetrica che ha più di vent’anni di esperienza nel suo lavoro[19], è emerso che il vissuto e il problema più ricorrente nelle madri di bambini prematuri è il senso di colpa.
In base a questa testimonianza, la madre si sente in colpa perché si attribuisce la responsabilità dello stato in cui si trova il suo bambino: ella sente di non aver portato a termine il suo compito accorciando i tempi della gravidanza. (cfr.Brazelton,T.B.,1991)
In alcuni casi (si vedano oltre le cause socio-economiche e psichiche), vi è effettivamente una parte di responsabilità nella donna, ma anche qualora non vi sia la minima responsabilità da parte sua, il senso di colpa s’instaura ugualmente. (Castelfranchi,C., et al.,1994)
Questo sentimento così potente è presente anche in assenza di colpe reali: di qui la sua ineluttabilità. (Ibidem)
Le cause di un parto prematuro possono dividersi in : cause di ordine medico, socio-economiche, e psichiche. (Rousseau,H.,1993)
Le cause mediche riguardano essenzialmente la presenza di antecedenti quali: aborti, neonati nati morti, minacce d’aborto, malformazioni uterine, rottura prematura delle membrane, e quando è previsto un parto gemellare.
Alcune cause di ordine socio-economico sono: il fumo, l’alcolismo, la tossicodipendenza; lo svolgere un lavoro troppo faticoso, la cattiva sorveglianza della gravidanza; le situazioni familiari problematiche quali attendere un figlio senza la presenza del partner e provenire da un ambiente molto povero; o ancora avere meno di vent’anni o più di quaranta,o avere altri figli di cui occuparsi. (Ibidem)
Le cause psichiche appaiono meno chiare e difficilmente quantificabili.
Infatti tali cause, più che essere definite a priori, sono riscontrabili a posteriori analizzando i singoli casi.(Peri,G.,1992) Alla base sembra esserci una tendenza espulsiva che prevale su quella ritentiva, e il fatto di non riuscire più a tollerare l’angoscia. (Soifer,R.,1985, Brustia,P.,1996)
Occorre in merito ritornare su quanto detto in precedenza sulla percezione del rivolgimento interno del feto al settimo mese di gravidanza, e sul conseguente incremento dell’angoscia.
Scrive la Soifer: “In tutti i casi di parto prematuro che abbiamo avuto modo di osservare, vi era una relazione stretta fra la percezione del rivolgimento e la crisi di angoscia. L’analisi della situazione ha sempre rivelato un incremento dell’angoscia a livelli insostenibili”.(Ibidem, pag.41)
L’autrice cita in proposito il caso di una donna che, pur essendo ben disposta verso la maternità e avendo già due figli, in seguito all’acutizzarsi di problemi economici che riattivavano in lei antichi timori infantili, partorì al sesto mese e mezzo di gestazione, dopo aver percepito il processo di rivolgimento interno. (Ibidem)
Come emerge da questo caso, cause socio-economiche e psichiche possono coesistere, in verità si è notato che questo accade di frequente: le condizioni familiari ed economiche influiscono sul benessere psicologico, specie in un momento delicato come la gravidanza.(Romito,P.,1992)
E’ opportuno a questo punto analizzare il momento della separazione in un parto prematuro.
Questo momento, come è stato detto, si può considerare di per sé traumatico (Wolff,L.,1999), ma in più il bambino prematuro passerà da uno stato di simbiosi con la madre ad uno stato ambientale che per lui reca molti pericoli, e alla separazione brutale seguirà l’isolamento.(Peri,G,1992) Questa fragile creatura verrà subito staccata da sua madre e si troverà in un ambiente sconosciuto, dove subirà una serie di interventi e non potrà sentire la voce della mamma, ma solo il rumore delle macchine che lo circondano (Rousseau,H.,1993). Questo punto appare importante, e per questo vi si ritornerà a proposito dei possibili interventi volti a favorire il recupero della relazione madre- bambino: come si vedrà, secondo alcune ricerche intervenire con la musica può avere un ruolo benefico. Ma siccome di questo si rifletterà oltre, si chiede al Lettore un po’ di pazienza.
Il parto prematuro può essere previsto o imprevisto.
Nel caso in cui sia stato precedentemente diagnosticato, la donna conosce il rischio cui va incontro; ella viene di frequente messa sotto osservazione e a riposo nel reparto maternità o di ginecologia, dove l’equipe medica tenta di ritardare il più possibile il parto perché si avvicini al suo termine normale.(Ibidem)
Nel frattempo, in base a quanto viene insegnato alla Scuola per ostetriche professioniste La Forge à Metz , l’ascolto alle famiglie e la disponibilità da parte del personale ospedaliero sono importanti.
Una procedura consigliata in questa scuola, è quella di far visitare ai futuri genitori la struttura e spiegare loro come verrà curato il bambino dopo la nascita: può servire ad attenuare l’angoscia poiché una situazione nota, per quanto sgradevole, è in genere meglio di una sconosciuta e che coglie impreparati.
In ogni caso, per quanto la donna possa essere preparata a questo evento, i sui vissuti saranno molto simili a quelli di chi affronta una nascita prematura imprevista. (Ibid.)
Quest’ultima circostanza sembra essere ancor più penosa e brutale, soprattutto perché il passaggio dalla fantasia alla realtà (una realtà drammatica per giunta) si è svolto troppo bruscamente e senza che la donna vi fosse preparata. (Ibid.)
La donna prova sentimenti contrastanti, colpa, inadeguatezza, insoddisfazione. Tutto è rimesso in causa e necessita una rielaborazione.(Soifer,R.,1985, Brazelton,T.B.,1991)
Il bambino tanto atteso e sognato è così diverso da ciò che ci si aspettava, così piccolo e fragile.(Ibidem) Ecco perché si può parlare di rottura del legame: il neonato deve essere immediatamente preso in carico dal personale medico anziché riunirsi a sua madre e suo padre.
E’ l’equipe dell’ospedale che prenderà a questo punto le decisioni concernenti il bambino: il rischio che si corre è quello per i genitori di disinvestire il loro bambino. Per questo sembra utile renderli partecipi di quello che accade. (Rousseau,H.,1993)
Se il parto non è stato vissuto nelle condizioni sperate può assumere il valore di un atto mancato. Inoltre la condizione e l’assenza del bambino provocano una ferita narcisistica nei genitori. (Brazelton,T.B.,1991)
Nella donna può manifestarsi uno stato depressivo.(Rousseau,H.,1993)
Tutto questo è ancora più vero quando la nascita è avvenuta col parto cesareo sotto anestesia totale.(Ibidem)
A questo proposito, il dottor T., che lavora all’ospedale “Santa Croce” di Moncalieri, afferma con fierezza che egli pratica il cesareo senza anestesia totale, per non far perdere alle donne un momento importante come quello del parto: altrimenti, cito, “mancherebbe loro un pezzo”.
Dopo un parto prematuro la separazione è ancora più dolorosa.(Ibid.)
Risulta difficile per mamma e bambino sperimentare quello stato che Winnicott chiama preoccupazione materna primaria, in cui il piccolo può godere dell’attenzione esclusiva della sua mamma.(Winnicott,1971)
Un altro “pezzo che manca”. Infatti la donna avrà appena il tempo di vederlo e toccarlo prima che venga portato via. (Brazelton,T.B.,1991)
Oggi si cerca di lasciare per qualche istante il neonato sul ventre materno prima di allontanarlo, sempre che le condizioni del piccolo lo permettano.(Rousseau,H.,1993)
A questo punto occorre elaborare il lutto per la perdita del bambino immaginario, ma ciò avviene anche tramite l’attaccamento al bambino reale, e purtroppo nel caso di una nascita prematura l’attaccamento si realizzerà solo in secondo tempo perché manca il contatto, e quella comunicazione speciale, quel dialogo pre-verbale tra mamma e bambino non può al momento essere sperimentato.(Ibidem)
Se dopo il parto si prova una sensazione di svuotamento, dopo un parto prematuro questa sensazione viene accentuata dalla mancanza del bambino: non solo si perde la fusione, ma anche la relazione, o comunque la possibilità di costruirla. (Soifer,R.,1985)
Secondo questa prospettiva, quindi, non solo si è interrotto quel dialogo fatto di calcetti così familiare e rassicurante, ma nemmeno si può instaurare un nuovo tipo di dialogo, questa volta col bambino in carne e ossa, poiché questi si trova in un’incubatrice anziché fra le braccia di sua madre.
Alla luce di tutto questo, appare più chiaro perché si parli di perdita della relazione. Ma la relazione può essere recuperata, ed è compito di tutti gli operatori del settore e di tutti coloro che siano coinvolti in questa situazione chiedersi cosa si può fare per favorire questo recupero. (Wolff,L.,1999)
Può essere utile chiedersi quali mezzi usare a questo scopo: alcune recenti ricerche identificano nella musica un possibile strumento (Delalande,F.,1982,Wolff,L.,1999).
2.2 Recuperare il legame
Recuperare la relazione tra la madre e il bambino significa favorire le condizioni per l’instaurarsi di quel legame innato che è stato interrotto.
Non sempre è facile, come nel caso di una nascita prematura in cui prima che alla relazione si pensa all’incolumità di un neonato fragile e bisognoso di cure mediche. Ma anche in questa circostanza, privilegiare un aspetto non significa dover necessariamente escluderne un altro.
Anche la musica può essere uno strumento di relazione. (Lecourt,E.,1980)
Secondo uno studio condotto a Metz (Rousseau,H.,1993), essa acquista il valore di un oggetto transizionale perché si colloca in quell’area che sta tra la madre e il bambino.
Si è detto che la comunicazione fra la mamma e il suo bambino comincia quando i due si guardano negli occhi e si toccano, quando la pelle del piccolo entra in contatto con quella della donna.(Bowlby,J.,1989)
Strumenti di comunicazione come la voce e il canto si accompagnano naturalmente a questo contatto fisico, ma dato che si tratta di uno stadio preverbale si tende ad attribuire ai suoni poca importanza, come se la voce e il canto acquistassero valore solo nel momento in cui si possono comprendere le parole e conversare. (Delalande,F.,1982)
Le parole vengono in realtà comprese, ma non nel senso linguistico o della sintassi, esse rappresentano per il neonato uno stimolo che proviene dalla madre, egli impara a conoscere e riconoscere la sua voce, è dapprincipio l’unico suono familiare in mezzo a molti altri “rumori di fondo” che si odono. (Cfr. l’effetto Brazelton, in Cramer,B.,2000, pag.182).
Da ciò si può dedurre che il piccolo sia in grado di apprezzare la dolcezza del canto molto prima di poter capire il significato delle parole.
A questo proposito è emblematica una scena del film Tre scapoli e un bebé (remake americano del film francese Trois hommes et un berceau, ovvero tre uomini e una culla), in cui i tre protagonisti si trovano ad occuparsi di una neonata senza preavviso e senza avere alcuna esperienza in materia; nella scena in questione, uno dei tre tenta di addormentare la piccola leggendole qualcosa, ed ha sottomano solo un giornale sportivo: comincia allora con voce vellutata a leggere la cronaca di un incontro di boxe, con particolari piuttosto cruenti. Quando un altro dei protagonisti lo sente, subito lo rimprovera -“Sei matto! Leggere queste cose a una bambina!”- ma l’altro lo tranquillizza: “Non preoccuparti, non conta quello che si legge, ma l’intonazione della voce”.
Si tratta ovviamente di un film ad intento comico, non di un documentario su come si allevano i bambini, ma sembra un buon esempio di come a volte gli adulti tendano a riconoscere il valore delle parole solo in funzione del contenuto, perché per loro esse non rappresentano un suono, ma il mezzo comunicativo di elezione (se si escludono coloro che purtroppo non hanno la facoltà di parlare). (cfr. Delalande,F.,1982)
Si andrebbe direttamente al significato, insomma, senza fermarsi al significante (la parola tale quale è scritta) e ai suoni da cui è formato.
La comunicazione nello stadio preverbale è essenzialmente una comunicazione sensoriale, dunque non bisogna dimenticare che comprende tutti i sensi: mamma e bambino si guardano intensamente, i loro corpi si toccano, il loro calore sprigiona le sostanze che si tramutano in messaggi olfattivi, la mamma sente il dolce sapore del suo bambino baciandolo e il neonato sente il sapore del seno, del latte, del capezzolo che gronda latte (quanti sapori in uno!); infine ma non ultimo i due membri della relazione si scambiano messaggi uditivi: la mamma parla, canta e sussurra al suo piccolo e questi emette a sua volta dei vocalizzi, peraltro diversi a seconda della circostanza e dei bisogni che vi sottostanno. (Peri,G.,1992)
Alcuni sono concordi sul non sottovalutare
quest’ultima modalità espressiva, del resto è la prima in assoluto utilizzata
dal neonato al momento della nascita: i suoi occhi sono ancora chiusi,
l’ambiente circostante è sconosciuto e difficile da interpretare, egli non può
fare altro che esprimere il suo disagio piangendo e gridando. (Delalande,F.,1982,Wolff, L.,1999)
Si potrebbe dire che la vita comincia con un suono.(Attali,J.,1977)
Didier Anzieu[20] afferma che la comunicazione originaria tra il neonato e l’ambiente materno e familiare è uno specchio sia tattile che sonoro.
Inoltre il corpo ha una memoria in cui ogni
stimolo rimane inscritto. (Castets,B.,1986,op.cit. in Rousseau,H.,1993,pagg.43-44)
In base a questa prospettiva, la miglior
cosa sembra essere che la modalità sonora e quella tattile si accompagnino. Nei
casi in cui questo non sia possibile, o comunque non in modo continuativo, come
nel caso di un neonato prematuro che si trova in un’incubatrice e non può
essere toccato da sua madre, sarebbe utile allora cercare di toccarlo, di raggiungerlo almeno con la
voce: è probabile che si sentirà meno solo e isolato, e che la madre si sentirà
meno in colpa. (Soifer, R.,1985,
Rouseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)
E se la madre non potesse restare vicino
all’incubatrice? Allora la musica può diventare uno strumento per prolungare
quel contatto anche solo vocale che si era cercato di stabilire. (Ibidem,
Delalande,F.,1982)
I contributi sopracitati propongono, oltre
alle cure mediche, che si favoriscano le cure relazionali: il personale
ospedaliero può allora proporre l’uso di nastri musicali, o cantati, e magari
delle cassette su cui sia registrata la voce materna. In base ad alcune
ricerche, sembra che il bambino possa entrare
in tal modo in relazione con sua madre, ed ella sente a sua volta che
tale relazione viene incentivata dalle persone che la circondano: l’intento
collaborativo può essere di grande aiuto e ridurre l’isolamento. (Couronne,M.,1988, Estournet,B.,1992, op. cit. in Rousseau,H.,1993;
Wolff,L.,1999)
Da questi contributi di deduce che non bisogna permettere che la relazione venga oltremodo interrotta.
Inoltre i genitori, scegliendo e portando delle registrazioni musicali possono sentirsi utili, infatti apportano il loro contributo: non sono tagliati fuori dalle cure che vengono prestate a loro figlio e hanno la possibilità di entrare in relazione con lui. (Ibidem)
La madre può così sentire di portare il suo contributo alla relazione, cominciare a superare l’angoscia e sviluppare l’attaccamento al bambino.
Il bambino entrerà a fare parte del mondo della madre, poiché fruisce di qualcosa che proviene da lei; ella avrebbe dunque un mezzo per farsi conoscere: condividere con il bambino la sua canzone preferita, o il racconto di un fatto avvenuto nella giornata. (Ibid.)
In tal modo si aiuterebbe anche quel
processo di differenziazione che permette di vedere ed accettare il bambino
come altro da sé, e di elaborare il lutto della perdita di una parte di sé. (cfr.
Deutsch,H.,1945)
Pare che sia efficace far ascoltare al neonato musiche o canti che udiva quando si trovava nel ventre materno. Infatti degli studi hanno dimostrato che il feto reagisce agli stimoli sonori (Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton, T.B.,1991) e altri studi testimoniano che il bambino riconosce le melodie ascoltate dalla madre durante la gravidanza (L’esperienza di Feijoo sul tema Pierino e il lupo di Prokofiev).
Brazelton sottolinea che, qualunque sia la
tecnica utilizzata per fornire sostegno alla madre, ogni professionista deve
prestare molta attenzione al problema dell’amor proprio: l’attaccamento verso
il bambino deludente (ovvero diverso da quello della fantasia), può svilupparsi
solo se si riesce a superare la ferita narcisistica. Questa ferita è ancora più
accentuata se si tratta di un neonato prematuro o che è affetto da anomalie. (Ibidem)
Sempre Brazelton sostiene che anche un bambino affetto da gravi anomalie può sviluppare un attaccamento molto forte da parte dei genitori (nella realtà si trovano esempi che lo confermano, a volte anche più forte che per neonati “normali”), ma bisogna fornire sostegno e puntare sull’aspetto relazionale, poiché solo le gratificazioni ricevute dalla relazione compensano il dolore causato da una ferita dell’amor proprio.(Ibid.)
Non bisogna stupirsi di questa ferita: non si dimentichi che un bambino comincia all’interno della madre, e in quanto tale rappresenta una parte intima di se stessa visibile all’esterno. (Langer,M.,1951)
I medici e il personale che assiste mamma e bambino giocano quindi un ruolo importante nel recupero della relazione, e per questo è bene che tengano conto di tutti i possibili fattori e differenziare gli aiuti senza perdere di vista che il fine ultimo, oltre al benessere dei singoli membri, è il favorire un legame soddisfacente. (Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)
Le due cose vanno comunque di pari passo, dato che il buon svolgimento della relazione dipende in gran parte dal benessere dei suoi membri.
Spitz definisce normale la relazione madre-figlio quando essa soddisfa sia la mamma sia il bambino.(Spitz,R.A.,1962) Per favorirne il recupero bisogna quindi pensare sia alla mamma che al bambino.
Il personale medico dovrà prestare particolare attenzione laddove vi siano ulteriori circostanze che possono mettere a repentaglio il benessere comune: sono fattori di rischio una depressione persistente della madre dopo il parto e antecedenti medici quali l’aborto.(Rousseau,H.,1993)
Ad esempio in un caso di parto prematuro cui era preceduto un aborto, può verificarsi un rifiuto del bambino da parte della madre, la quale teme di rivivere il trauma della perdita di un figlio e sviluppa quello che Bowlby chiama lutto anticipatorio.(Bowlby,J.,1983)
In base a ciò sarebbe dunque opportuno considerare una molteplicità di fattori e, se occorre, proporre un supporto psicologico laddove il semplice sostegno dell’ambiente circostante, medico e familiare, non basti.
Un intervento può non escluderne un altro, e anche qualora fosse necessario un aiuto da parte di uno psicologo, l’utilizzo della musica può rivelarsi uno strumento di comunicazione, come pure la voce materna (Aucher,M.L.,1991).
E’ possibile abbinare ad interventi medici un utilizzo della musica come mezzo relazionale, avvalendosi degli eventuali vantaggi che essa può fornire all’ambito terapeutico: ne sono esempi Bernard Auriol e Michel Couronne. Il Dottor Auriol è uno psichiatra e psicoanalista di Toulouse, che ha cercato un legame fra psicoanalisi e ascolto della musica, riassumendo le sue conclusioni in un articolo divulgativo dal titolo Psicoanalizzare l’ascolto (Auriol.B.,1999), comparso recentemente su dei siti Internet.
Il Dottor Couronne è un medico specializzato in neonatologia che lavora in una clinica di Metz; egli s’interessa dell’importanza degli strumenti sonoro e musicale durante la gravidanza, e dell’ambiente sonoro che circonda il bambino nato prematuramente. Al fine di eliminare stimoli sonori nocivi al bimbo, egli ha concepito un apparecchio chiamato Sonincub (Couronne,M.,1988), e per fornire stimoli musicali gradevoli propone alle famiglie nel reparto di neonatologia l’utilizzo di registrazioni musicali da far ascoltare al loro figlio.
Per questo suo interesse, il dottor Couronne collabora con François Jacquemot, direttore dell’Istituto di ricerca e formazione in musicoterapia La Forge, a Metz.
La voce può aiutare a stabilire un contatto fra mamma e bambino (cfr. Aucher,M.L.,1991); anche la musica può fungere da strumento relazionale.
Anche nella vita di tutti i giorni un adulto, se si trova lontano da casa, desidera telefonare ai propri cari e ascoltare magari quelle stesse musiche che ascolta insieme a loro, che gli sono care e familiari: tutto ciò lo fa sentire più vicino a loro, non è probabilmente come abbracciarli, ma nel frattempo stabilisce un contatto che contribuisce a mantenere il legame.
La musica dunque, può essere un mezzo efficace per colmare il vuoto che si può provare dopo la nascita, specie in casi in cui il vuoto è causato dall’assenza del bambino accanto alla madre, o accentuato da vissuti problematici come quelli considerati in questa sede.(Rousseau,H.,1993, Benassi,E.,1998)
Alla base di questa ipotesi vi sono delle evidenze empiriche concernenti le percezioni sonore del bambino prima e dopo la nascita: già nel ventre materno, infatti, il bambino reagisce a stimoli sonori provenienti dall’esterno. (Delalande,F.,1982, Tomatis,A.,1983, Brazelton,T.B., Cramer,B.,1991).
2.3 La musica come strumento
di relazione
La nostra
scienza ha sempre voluto sorvegliare,
contare, astrarre
e castrare i sensi, dimenticando che
solo la vita è
rumorosa e solo la morte è silenziosa:
rumori del
lavoro, rumori degli uomini e rumori
degli animali.
Rumori comprati, venduti o proibiti.
Non succede
niente d’essenziale laddove il rumore
non sia
presente.
(Jacques Attali)
Il mondo sonoro è qualcosa che tutti condividiamo, ma accade raramente che ci si concentri sulla produzione musicale oppure sui rumori.
Si è molto studiato, ad esempio, il gioco infantile, ma non il suo aspetto sonoro; eppure esso è spesso rumoroso. (Delalande,F.,1982)
Si sa ancora poco sulla produzione sonora infantile e del neonato, ma la predisposizione ai suoni e il comportamento musicale sono molto precoci. (Ibidem) La musica, insieme di suoni organizzato, s’inserisce fin da subito nella comunicazione fra mamma e bambino: basti pensare ad una madre che canta una ninna-nanna per acquietare il suo piccolo.
Delalande e Dumaurier hanno svolto delle ricerche per dimostrare che le produzioni sonore nella prima infanzia non sono casuali, ma svolgono delle funzioni ben precise. Facendo un passo indietro, altre ricerche hanno provato che il sistema uditivo raggiunge completa maturazione a partire dal quinto mese di vita intrauterina, e che il feto reagisce agli stimoli esterni.(Ibidem, Tomatis,A.,1983)
Di qui l’ipotesi che il precoce sviluppo della funzione uditiva vada studiato in una prospettiva relazionale in quanto favorisce la comunicazione precoce. (Ibid.) Su questa base si può affermare che anche la musica può rappresentare uno strumento relazionale. (Wolff,L.,1999)
Scrive Edith Lecourt che la musica costituisce un mediatore che possiede un potere affettivo tutto particolare legato alla precocità dello sviluppo uditivo rispetto agli altri sensi. (Lecourt,E.,1980)
L’udito è il primo senso a svilupparsi, insieme al senso cinestesico, e configura una parte del mondo esterno; il primo mondo del neonato è un mondo uditivo e cinestetico. (Ibidem)
In questa prospettiva può essere quindi utile considerare la musica come uno strumento nella relazione precoce madre-bambino.
2.3.1
Definizione di musicoterapia e di tecniche psicomusicali.
Vi sono diverse definizioni di musicoterapia, a seconda che si privilegi un dato aspetto piuttosto che un altro, o dell’obbiettivo che si vuole raggiungere; non esiste dunque una musicoterapia, ma varie possibili realtà di uso della musica, che hanno diverse strutture teoriche di riferimento e diverse tecniche di utilizzo. (cfr. Postacchini, P.L.,1997)
Una prima fondamentale distinzione, secondo Pascal Rivière, è da operare tra musicoterapia attiva e passiva. La prima è centrata prevalentemente sulle produzioni sonore o sul lavoro della voce per facilitare la comunicazione con adulti o bambini in difficoltà: il soggetto si esprime tramite i toni della musica e i suoni; la seconda invece prevede l’ascolto di una serie scelta di melodie. (Fonte: sito internet www.laforge.fr)
Ciò che accomuna molte definizioni, è che il
mezzo musicale permette di superare dei blocchi, e favorisce la relazione con
gli altri. (Aucher,M.L.,1991,
Lecourt,E.,1980)
Essa costituisce inoltre un’efficace modalità espressiva e comunicativa quando le altre non bastano più o non sono attuabili. (Wolff,L.,1999)
Nel presente lavoro si fa riferimento in particolare a questi ultimi aspetti.
Le applicazioni della musica in ambito clinico stanno registrando in Italia un forte sviluppo, che però non è sempre inquadrato in modelli teorici e metodologici coerenti. (Postacchini,P.L.,1997)
Ciò che sta alla base, è che le strategie d’intervento e le tecniche applicative della musicoterapia postulano l’uso della musica come parametro relazionale non verbale. (Ibidem)
Le tecniche psicomusicali consistono nell’utilizzare il suono o la musica per uno scopo che non è lo studio della musica di per sé o per apprendere a suonare uno strumento, ma piuttosto un modo per aiutare una persona in difficoltà in un momento ben preciso.(Pascal Rivière)
Ne fanno parte le tecniche di rilassamento sotto induzione musicale, praticate ad esempio dal Dottor Bernard Auriol, l’analgesia per mezzo del suono, la musica nella chirurgia dentale o nell’ostetricia, l’uso della musica in chinesiterapia e psicomotricità.(Ibid.)
2.3.2
Musica e maternità
Sono diversi i possibili collegamenti tra la musica usata come strumento di relazione e la maternità.
L’applicazione della musica può trovare spazio ad ogni stadio della relazione madre-bambino fin dai suoi albori: durante la gravidanza, al momento del parto e dopo la nascita.
Prima della nascita, il suo uso sembra volto principalmente a favorire la tranquillità della madre, e secondariamente al bambino in due sensi: direttamente in quanto il bambino è in grado di percepire i suoni già all’interno del ventre materno, e indirettamente in quanto fa parte della madre e il benessere dell’una coincide con quello dell’altro. (Benassi,E.,1998)
Durante il parto la musica è diretta alla
madre perché sembra che faciliti l’espulsione. (Aucher,M.L.,1991, Ibidem)
Dopo il parto il suo utilizzo è volto essenzialmente a favorire la relazione.
Nonostante le varie possibili applicazioni, la diffusione della musica nei servizi rivolti alla maternità è ancora scarsa, e anche in letteratura esistono a tutt’oggi pochi scritti in proposito: spesso si tratta di articoli che appaiono sulle riviste specializzate.(Jacquemot,F.,1999)
Le premesse teoriche che sottostanno a queste applicazioni sono già state in parte esposte nei paragrafi precedenti, per spiegarne meglio i presupposti e riflettere sulla loro effettiva utilità, s’intende ora citare alcuni esempi di applicazioni della musica nella relazione madre-bambino.
Un primo esempio, per seguire in ordine cronologico le tappe della relazione, sono i corsi preparatori al parto che utilizzano la musica.
Fra questi compaiono alcuni dei corsi attivati nelle strutture ospedaliere, alcuni corsi di ginnastica di preparazione al parto che si svolgono nelle palestre, o di ginnastica in acqua nelle piscine; vi sono poi corsi di yoga per la gravidanza che associano le tecniche di rilassamento proprie di questa disciplina a quelle musicali focalizzandole sulla gravidanza, e che si tengono nelle scuole di yoga. (Auriol,B.,1999, Palmegiano,F.,1987)
Dato che sono andata a documentarmi personalmente in una di queste scuole , dove sono state raccolte alcune testimonianze da parte di chi pratica yoga durante la gravidanza, se ne discuterà oltre nella parte in cui verrà esposta la breve indagine svolta.
Un contributo che costituisce un valido riferimento teorico è quello di Alfred Tomatis, creatore di uno strumento chiamato “l’orecchio elettronico”, che permette di sentire la propria voce mentre si parla, esempio di come medicina e musica possano coesistere.
Il fondatore del “metodo Tomatis”, è un medico otorinolaringoiatra, specializzato in foniatria, figlio di un cantante d’opera, che ha esercitato molti anni a Parigi concentrandosi inizialmente sul rapporto tra capacità uditive e fonazione. Egli farà delle scoperte che porteranno alla fine degli anni ‘50 all’enunciazione di alcune leggi riassunte sotto il nome “effet Tomatis”, l’effetto Tomatis: 1)la voce contiene solo ciò che l’orecchio può udire;2) la voce si modifica al modificare dell’udito;3)una stimolazione uditiva può trasformare la fonazione. (Tomatis,A.,1987)
In seguito il suo metodo si svilupperà estendendosi a diversi campi d’applicazione quali: le difficoltà d’apprendimento (lettura, memoria, comprensione, concentrazione, dislessia), lo sviluppo personale (problemi di stress, comunicazione, impostazione della voce) e l’accompagnamento delle donne incinte, di qui l’attenzione per la sua opera.
Adilà delle applicazioni psicologiche del metodo, ciò che colpisce sono le riflessioni di Tomatis sulla vita intrauterina: è allora che il desiderio di comunicare ha origine, è in questo periodo infatti che comincia a svilupparsi la funzione uditiva, e che per trasmissione dei liquidi si ricevono le primissime stimolazioni acustiche. (Ibidem, 1983)
Queste stimolazioni sono ancora più importanti se si pensa che giocano un ruolo nella maturazione del cervello.(Ibid.)
Scopo di Tomatis è riattivare i processi uditivi del periodo pre-natale, grazie al suo strumento orecchio elettronico e all’ausilio di musiche da esso filtrate.
Si tratta di ricostituire la natura dei suoni che hanno sollecitato l’ascolto durante la vita intrauterina, in modo da risvegliare la memoria associata all’ambiente circostante dell’epoca prenatale.
Il principio su cui si fonda il metodo è dunque semplice, e il metodo si può dividere in tre fasi: riattivare l’ascolto arcaico (Tomatis lo definisce “liquido”), per tornare alla memoria fetale, portatrice del desiderio originario di comunicare; lo stato di riattivazione di questa memoria pre-natale deve essere mantenuto per un tempo sufficiente ad attuare il desiderio di comunicare, con l’aiuto della stimolazione ottenuta per mezzo della voce materna; infine, il ritorno progressivo ad un ascolto “aereo” che porterà ad un parto psicologico e permetterà alle basi di questo desiderio di comunicare, così riattivate, di riorganizzare i meccanismi della comunicazione. (Ibid.)
Il lavoro di Tomatis è complesso e per comprenderne a fondo ogni aspetto sarebbe necessaria una trattazione più approfondita, ma ciò che conta in questa sede è di trovare degli esempi di come la musica possa portare un contributo alla medicina ed ai processi di sviluppo e rigenerazione psicologica. Inoltre il contributo di Tomatis dimostra che nella nostra epoca possono coesistere l’uso di sofisticati strumenti e il ritorno all’arcaico, inteso come pre-natale , all’ascolto dei meccanismi più primitivi.
Un altro contributo che può essere utile citare proviene questa volta dall’Italia: è un esempio di come si possa integrare l’uso della musica nell’accompagnamento alla maternità. Si tratta del lavoro di Elisa Benassi, ostetrica e musicoterapeuta che da alcuni anni si interessa della percezione sonora del bambino in epoca prenatale e dell’uso e degli effetti della musica in gravidanza; gestisce corsi di preparazione al parto con l’elemento sonoro-musicale, chiamati “Nascere in musica” presso il reparto di ostetricia dell’Ospedale C.Poma a Mantova, dove si pratica il parto cantato.
Il canto prenatale, che nasce in Francia
negli anni ’70 con Marie Louise Aucher, fondatrice della psicofonia, testimonia
un grande risveglio umano e culturale all’interno dell’attività
istituzionalizzata, in un’epoca di crescente medicalizzazione. (cfr.
Oakley,A.,1985)
L’attuazione di tale pratica, per la quale
fu comprato un pianoforte dalla maternità di Pithiviers nel 1977, quella stessa
che oggi viene chiamata “maternité chantante”, maternità che canta, rappresenta
per qualcuno un recupero della tradizione. (Aucher,M.L.,1991)
La manifestazione vocale è espressione dell’istintività umana e avvicina la donna incinta al bambino che porta dentro di sé. (Benassi,E.,1998)
Secondo le ricerche in atto presso L’Ospedale C.Poma, sembra che utilizzare il potere della voce migliori la comunicazione prenatale, e che fin dalle prime doglie sia anche un metodo per soffrire meno durante il travaglio: a Mantova viene dunque attuata per la prima volta una tecnica sperimentale di parto dolce che utilizza il canto e che si basa sulle proprietà analgesiche che quest’ultimo sembra possedere.
Questa forma di autoanalgesia deriva dal fatto che il corpo, mentre si canta, libera endorfine, le sostanze calmanti prodotte dal nostro organismo (il loro nome sta per morfine endogene), attenuando così la sofferenza psicofisica. (Benassi,E.,1998)
Viene proposto in questo modo un approccio scientifico ad un’abitudine, quella di cantare durante il parto, propria di culture lontane come quella indiana e marocchina. (Wolff,L.,1999)
A questo va aggiunto che il canto, in quanto forma di comunicazione con il feto, sembri infondere alla mamma e al bambino la certezza che tutto va per il meglio, riducendo così l’angoscia legata all’evento.
Il canto può dunque diminuire i dolori del parto. Vediamo come.
Durante il travaglio è naturale gemere e gridare per manifestare e tollerare il dolore, cantare pare che permetta di esprimere tensione e sofferenza e inoltre aiuta la respirazione agendo sul diaframma, che contraendosi la rende più difficoltosa; in questo modo il corpo si rilassa. (Ibidem)
Cantare potrebbe servire anche a mantenere salda la concentrazione della partoriente sulle sensazioni che provengono dal corpo, facilitando l’espulsione.
Per la preparazione ad un parto di questo
tipo, si segue una certa metodologia: si svolgono degli incontri con un/una
musicoterapeuta negli ultimi due-tre mesi di gestazione, nei quali viene
insegnato alle donne a rilassarsi con l’aiuto della musica.(cfr. Benassi,E., Auriol,B., Aucher,M.L.)
Dalla musica, scelta e mirata, si passa al canto e al controllo della respirazione per rendere meno dolorose le contrazioni.
Oltre al rilassamento che induce, è noto che la musica ha un forte potere evocativo (Auriol,B.,1999), il suo ascolto potrebbe quindi portare con sé delle immagini che risvegliano paure annullandone i benefici: per questo è essenziale la vicinanza di un/una professionista che col suo sostegno fughi i timori aiutando la futura mamma a comprendere lo stato in cui si trova.
Il dolore delle contrazioni viene limitato non solo dal benefico effetto del canto, ma anche dalla visualizzazione di un’immagine positiva che aiuta a ritrovare un equilibrio, che, come si è visto precedentemente, è messo a dura prova dalla gravidanza e dal parto.(cfr. Soifer,R.,1985)
In sintesi, la musica è un’efficace strumento e un mezzo per comunicare con il bambino prima, durante e dopo la nascita.
A partire dal quinto mese di gravidanza, (Brazelton,T.B.,1991) il bambino percepisce i suoni: reagisce alle stimolazioni esterne e riconosce il battito cardiaco della mamma e il ritmo della sua respirazione, infatti nel parto dolce il neonato viene appoggiato sul petto della madre perché possa sentire il suo battito cardiaco e sentirsi nuovamente al sicuro grazie a un suono riconoscibile come familiare: è importante in un momento in cui il piccolo appena nato sembra mancare di punti di riferimento.
Al sesto mese di gestazione, il feto reagisce alle stimolazioni uditive: è possibile registrare dei cambiamenti del suo ritmo cardiaco in relazione ad una stimolazione sonora. (Ibidem)
Il canto materno diventerà un ulteriore suono di riconoscimento e di contatto anche dopo il parto, basterà che la mamma accenni la sua canzone per contribuire a ricordare immediatamente al bambino la calma dello stato perinatale.
La memoria sonora potrebbe restituire ad un neonato che si trova in ospedale in una situazione d’isolamento, un contatto con la mamma.
Sono stati fatti degli esperimenti che dimostrano che il bambino riconosce le melodie ascoltate dalla madre in gravidanza, essi consistevano nella diffusione subito dopo la nascita di un brano ascoltato di frequente nel corso degli ultimi mesi di gravidanza: i neonati che piangevano si calmavano e quelli con gli occhi chiusi aprivano gli occhi. (Esperienza di Feijoo con il tema Pierino e il lupo di Prokofief, cfr.Wolff,L.,1999)
Il Dottor Couronne, a capo del servizio di neonatologia della Clinica C.Bernard di Metz, ha introdotto l’uso di estratti musicali da far ascoltare ai bambini appena nati allo scopo di minimizzare il dolore per la separazione e di sostenere la relazione tra i genitori e il bambino.
Come si può vedere, vi sono diverse possibilità d’impiego della musica, e anche del canto, in ostetricia e neonatologia.
L’utilizzo della musica negli ambiti legati alla maternità presenterebbe secondo questi contributi dei vantaggi sia per il bambino, che per i genitori, ed è un valido supporto alla relazione madre-bambino, specie in casi di difficoltà e di perdita temporanea del legame.
La musica, come l’uso della voce, può dunque agire a diversi livelli e in diversi momenti: la sua forza è soprattutto di coesione e di rilassamento (Auriol,B.,1991), una forza che può vincere la separazione che vivono sia la mamma che il bambino.
Il suo impiego costituisce un cordone ombelicale sonoro (Couronne et.al.,1988), che non sostituisce altre cure o tipi di trattamento, ma rappresenta un efficace alleato che, anche laddove non esistano patologie particolari, può essere utile prendere in considerazione.
PARTE TERZA:
UN’ESPERIENZA NEL CAMPO DELLA MATERNITA’: TESTIMONIANZE A CONFRONTO
3) DESCRIZIONE DI
UN’INDAGINE
SU MATERNITA’ E SERVIZI
3.1 Scopo e ipotesi
dell’indagine
La breve indagine che verrà presentata, rappresenta un tentativo di trovare un riscontro nella realtà all’ipotesi del presente lavoro e ai dati teorici emersi dalla documentazione esaminata.
Essa non ha valore scientifico, ma si limita a verificare quali siano le strutture esistenti sul territorio aventi un proposito legato alla maternità, e a raccogliere alcune testimonianze da parte di coloro che operano e che fruiscono di tali servizi.
L’indagine è stata svolta nell’arco di tre mesi nella città di Torino e nei paesi limitrofi, e nella città di Saint Etienne e paesi limitrofi, in Francia.
L’ipotesi di partenza è che la musica apporti un contributo significativo nel recupero della relazione madre-bambino, e che favorisca il rilassamento durante la gravidanza, anche accompagnandosi ad attività di preparazione al parto. (Benassi,E.,1998) Si voleva dunque trovare delle strutture che proponessero attività volte alla maternità, e fra quelle andare eventualmente a verificare se si utilizzasse la musica, in che modo e con quali vantaggi.
Dopo aver stabilito che l’attesa di un bambino è contraddistinta non soltanto da sentimenti di gioia, ma anche da momenti di angoscia, occorre chiedersi cosa si può fare per attenuare questa angoscia, o per aiutare le donne a comprenderne il significato, dando loro un sostegno in un momento così importante e delicato.(Soifer,R.,1985,Brazelton,T.B.,1991)
Nonostante le recenti acquisizioni in campo
medico e psicologico, e la loro diffusione al di fuori degli ambienti
specializzati, sembra che la gravidanza desiderata sia vista ancora come una
scelta libera da conflitti e che le difficoltà connesse vengano considerate
come qualcosa da accettare stoicamente e senza resistenze perché la madre è per
tradizione incline a sopportare qualunque sacrificio. (Hollingworth,L.,1916,Oakley,A.,1985)
E’ vero che oggi vi sono molti vantaggi che un tempo non esistevano e che la donna può usufruire di numerose attività e tecniche che facilitano il buon decorso della gravidanza (cfr. Palmegiano,F.,1992), ma ciò che emerge dalla mia esperienza è che le strutture che propongono tali attività sono ancora poco visibili, poco incoraggiate dalle istituzioni e che le donne che vi partecipano sono in verità poche rispetto al numero di gravidanze.
Se è vero che nuove acquisizioni in materia e informazioni di ogni tipo sono oggi alla portata di molti, bisognerebbe però aiutare le donne ad organizzare queste conoscenze, e ad armonizzarle con antichi luoghi comuni che, seppure smentiti dalla scienza, restano nella mentalità collettiva e continuano ad influenzarla. (Badinter,E.,1981)
E’ probabile anche che, data l’imperante medicalizzazione del parto e la crescente importanza ricoperta dalle istituzioni (Oakley,1985), sia compito di queste ultime proporsi e spendersi per dare ascolto alle future mamme e fugare i loro timori.
E’ sperabile trovare un atteggiamento più propositivo, collaborativo e aperto alle sperimentazioni proprio da parte delle strutture ospedaliere.
Scopo dell’indagine è quello di individuare la “rete” che gravita intorno alla maternità, per sapere dove una donna incinta possa rivolgersi in caso di necessità: ebbene è emerso che questa rete non è centrale ma periferica.
Occorre spiegare: ci si aspetterebbe di ricevere più informazioni e più proposte di attività negli ospedali, nei consultori, in quelle strutture cioè legate per tradizione all’assistenza delle gestanti e partorienti, invece si è trovato un maggior riscontro in strutture connotate meno fortemente in tal senso, come palestre e scuole di yoga.
Per questo si può definire la rete periferica, perché non c’è una struttura centrale che indirizzi verso tali servizi, ma bisogna arrivarci passando per le strutture “esterne” e meno specializzate.
C’è da chiedersi se questo dipenda dal fatto che nel domandare queste informazioni io mi sia presentata nel mio ruolo, cioè quello di una laureanda che prepara una tesi: forse le donne che aspettano un bambino ricevono direttive più precise (c’è da augurarselo), o non hanno bisogno di chiedere informazioni poiché trovandosi già all’interno di questa rete vengono naturalmente a conoscenza delle offerte a disposizione.
Rispondere a questa domanda è difficile, si dovrebbe condurre un’indagine ben più dettagliata e mirata, o trovarsi nella condizione di donna incinta. Vero è che nel tentare di trovare servizi indirizzati a gestanti e partorienti, ci si trova a volte di fronte a un muro, e ad operatori che hanno difficoltà a capire che cosa si cerchi e perché, e anche una volta compresi questi punti non conoscono nessun tipo di attività e non sanno dove indirizzare.
Che io mi sia spiegata male? Possibile, ma la carenza nella risposta permane. Che io mi sia rivolta alle persone o nei posti sbagliati? Possibile, ma ho fatto diverse ricerche in tal senso, numerose telefonate e mi sono recata in diversi posti. Una donna che aspetta un bambino e desidera cercare servizi e attività di sostegno e di preparazione al parto deve compiere tutti questi spostamenti per venire a conoscenza di qualcosa?
Probabilmente è più facile che venga informata da un’amica che già fruisce o ha fruito in passato del servizio in questione, o dal medico curante (il che è difficile da scoprire in un ambito d’indagine come questo, difficilmente si possono contattare tutti i ginecologi e le ginecologhe della città per chiedere informazioni confidenziali relative alle loro pazienti!).
Le strutture tentano forse di compensare un’adeguata attività informativa contando sul meccanismo del passaparola o delegando e lasciando la responsabilità ai singoli medici.
Aldilà di queste considerazioni, la cui veridicità non è facile da dimostrare perché non poggiano su dati oggettivi e quantificabili, un dato è certo: il legame fra maternità e musica è ancora debole e poco conosciuto, mentre nel corso della mia esperienza sono stati spesso menzionati altri campi d’applicazione della musica.
Gli obbiettivi dell’osservazione da me svolta non potevano dunque limitarsi a trovare quel legame in particolare, né al solo recupero della relazione madre-bambino, ma ad un’area d’indagine più ampia, in cui recuperare il legame significa anche occuparsene prima ancora di averlo perso, in modo, forse, da evitare che possa venire reciso in seguito. (Wolff,L.,1999)
L’obbiettivo, dunque, non è stato quello di svolgere un’indagine completa e con strumenti di rilevazione precisi, ma di acquisire delle conoscenze sul campo, piuttosto che solo teoriche, e di trovare degli spunti di riflessione che solo dall’esperienza diretta sarebbero potuti emergere.
Ne verranno ora esposti i passi salienti.
3.1.1
Come ho intrapreso l’indagine
Ero già in fase di stesura
quando sentivo crescere in me l’esigenza di trovare un riscontro pratico alle
teorie e alle ipotesi che sempre più numerose si stavano formando in me in
seguito allo studio dei testi.
Gli autori più conosciuti, i
libri, le parole altisonanti sono alberi affascinanti che offrono riparo, ma
non voglio riposare alla loro ombra (prendo in prestito le parole della
poetessa e scrittrice Katherine Mansfield, credo che non potrei trovarne di più
efficaci e belle): volevo agire, mettermi in gioco in prima persona,
sperimentare la relazione e non solo analizzarla in maniera teorica.
(Mansfield,K.,1977)
Per poter fare questo, però,
era necessario prima documentarsi, per avere una base teorica da cui partire e
sapere con chiarezza cosa cercare.
Dopo aver raggiunto una
conoscenza teorica a mio avviso sufficiente per lanciarmi nell’osservazione
diretta, ho incominciato a interrogarmi su cosa volessi trovare: ebbene ciò mi
era piuttosto chiaro, quello che non sapevo di preciso era come e dove cercare.
Quello che s’intendeva
trovare erano delle strutture, pubbliche o private, con un proposito legato
alla maternità (servizi di sostegno alle donne durante la gravidanza, centri di
preparazione al parto e di assistenza dopo il parto), e una volta trovati i
centri preposti a tali servizi, verificare quali siano le cause più frequenti
di perdita o interruzione temporanea del legame madre-bambino, intesa come
vissuto di perdita e non perdita effettiva.
Si voleva infine verificare
se in tali strutture venisse impiegata la musica allo scopo di aiutare nel
recupero del legame temporaneamente perso/interrotto e se dal suo impiego si
potessero trarre effettivamente dei benefici.
Ho cominciato nel modo più
ovvio e immediato: prendendo l’elenco telefonico e le Pagine Gialle per
verificare quanti e quali fossero gli ospedali in Torino e nei paesi limitrofi
ad avere un reparto di ostetricia e ginecologia, e le cliniche private
predisposte ad offrire un tale servizio.
Ho trascritto su un foglio i
dati che m’interessavano, con relativi indirizzi e numeri di telefono, e i nomi
dei medici responsabili dei reparti di maternità di modo da sapere a chi
rivolgermi eventualmente in futuro (avevo trovato una decina di recapiti).
Prima di buttarmi a
capofitto nelle strutture ospedaliere, pensai che dovevo cercare altre fonti
perché certamente esplorare in un’unica direzione non è sufficiente ad avere un
quadro di riferimento completo.
Volevo arrivare a scoprire
la “rete” di servizi che gravitano attorno alla maternità, rete che pur doveva
esistere ma che non era facile da individuare. Mi sono messa nei panni di chi
avesse bisogno di trovare le stesse informazioni che necessitavo io, ma non a
scopo di studio come nel mio caso, ma per effettivo bisogno: ebbene cosa e come
può una persona in tali condizioni di bisogno trovare questa rete?
Forse rivolgendosi
direttamente al medico curante, ma io in quanto studentessa/ricercatrice non
avevo un medico curante; però sono una donna, quindi ho chiesto alla mia
ginecologa e alle ostetriche che collaborano con lei nel consultorio della ASL
della mia circoscrizione: il medico in questione non sapeva dove indirizzarmi e
un’ostetrica con diversi anni di servizio alle spalle sembrava aver capito cosa
cercassi e con sicurezza mi diede il nome e il recapito di un medico che lavora
in un’altra ASL e che chiamerò il dottor M.
Ho telefonato in seguito a
questo numero, e prima di trovare la persona che mi era stata segnalata parlai
con un altro medico, al quale spiegai chi fossi, cosa desiderassi e il motivo
della mia richiesta; egli sembrava non capire e cominciò a pormi diverse
domande con un tono che definirei sospettoso, dopo mi disse quando avrei potuto
trovare il dottor. M. e io lo ringraziai e gli chiesi il suo nome per sapere
con chi avessi parlato.
Ritelefonai al dottor M.
sperando che mi fissasse un appuntamento per illustrarmi i servizi e le
strutture di cui sembrava essere il responsabile, ma questi rimase incredulo e
mi rispose che da alcuni anni non si occupava più delle suddette attività, ma
che insegnava educazione sessuale nelle scuole insieme alla persona con cui
avevo parlato nella telefonata precedente .
Chiesi dunque se poteva
indirizzarmi verso un’attuale responsabile o luogo, e mi disse di tornare nel
consultorio da cui provenivo e di rivolgermi all’ostetrica R. Quando lo feci
scoprì che si trattava della stessa ostetrica a cui mi ero già rivolta e che
con sicurezza mi aveva mandato dal dottor M.
Proseguii non senza un certo
stupore la mia ricerca nel consultorio, dal quale, mi dissi, doveva pur
risultare qualcosa (si tratta di una struttura che mi è sempre parsa fornire un
servizio soddisfacente), e vidi che sullo stesso piano era appena stato aperto
uno sportello di assistenza psicologica.
Non esitai a domandare, ma
non seppero fornirmi nessuna indicazione sui servizi che stavo cercando.
Pensai allora di cercare le
associazioni e cooperative che operano sul territorio e mi recai dunque alla
sede della Regione per visionarne un elenco. Consultai il sito Internet della
Regione e della Provincia per ottenere qualche conoscenza prima di andare di
persona, ed annotai alcune associazioni che a mio avviso potevano avere un
qualche interesse in merito, e che poi contattai in futuro.
Negli uffici della Regione e
della Provincia fui trattata con molta gentilezza, e anche se non esisteva un
elenco ufficiale di ciò che cercavo, mi indirizzarono al Dipartimento di
Solidarietà Sociale della Provincia, in cui ha sede fra l’altro il SAMI
(Servizio di assistenza per la maternità e l’infanzia), che ospita una comunità
alloggio per gestanti e madri in difficoltà.
Mi sembrava un’ottima
occasione di conoscenza, aldilà di quelli che avrebbero potuto essere gli
sviluppi inerenti ad un qualunque uso della musica: ormai il mio bisogno di
conoscenza esulava dal voler raccogliere dei dati per la tesi di Laurea ed era
alimentato da un genuino interesse per le sorti delle gestanti e delle madri
bisognose d’assistenza.
Già m’immaginavo la comunità
alloggio, e come poteva essere la relazione tra una madre e un bambino che deve
nascere, o che è appena nato, in una circostanza così diversa da quella di un
nucleo familiare.
Ma stavo correndo troppo con
la fantasia, e non dovevo perdere di vista gli obbiettivi della mia indagine.
Senza ulteriori indugi mi recai sul posto e cercai qualcuno a cui potermi
rivolgere, speravo di poter discretamente visitare la struttura, e magari in un
secondo tempo intervistare alcune delle ospiti della comunità: quante cose
avrei voluto chiedere loro.
Mi dissero che dovevo
parlare con un’assistente sociale responsabile del luogo, di cui ovviamente non
farò il nome, ma che chiamerò F.
Per riuscire a contattare
telefonicamente questa persona dovetti fare circa una dozzina di telefonate, e
dopo un certo tempo riuscii a trovarla e ad ottenere un appuntamento, che fu in
seguito disdetto per suoi impegni di lavoro, e al quale ne seguì un altro che
non fu ulteriormente rimandato.
Arrivai puntuale
all’appuntamento, mi chiesero di attendere in una stanza; dopo mezz’ora F. mi
ricevette e ci spostammo nel suo ufficio, in cui si trovava il Dottor T., che
lavora nella comunità alloggio e in un noto ospedale di un paese appena fuori
Torino.
L’incontro non si svolse
come avevo immaginato durante la lunga attesa che lo aveva preceduto.
Dopo aver esposto brevemente
lo scopo della mia indagine e l’argomento della mia tesi, pensavo di poter
chiedere qualche informazione sul servizio che l’istituto fornisce, ma
stranamente mi sentivo sotto esame, perché F. e il Dottor T. continuavano ad
interrogarmi sull’ipotesi della mia tesi, ed a contraddire, seppure con
gentilezza, ogni mia affermazione (si noti che si trovavano in disaccordo non
solo con me, ma con ben più illustri personaggi che si sono espressi in merito
prima che io nascessi).
Ero ben disposta ad
accontentare ogni loro curiosità e ad accogliere opinioni diverse dalla mia,
specie provenienti da chi ha un’esperienza lavorativa nel settore, ciò
nondimeno percepivo una certa reticenza a fornirmi dei dati.
F. non acconsentì a farmi
visitare la struttura, credo per salvaguardare l’intimità delle ospiti, ma non
me ne spiegò il motivo, in ogni caso mi disse che sì la comunità alloggio era
rivolta anche alle gestanti e alle mamme con figli appena nati, ma che in
realtà vi arrivavano donne con bambini che avevano già alcuni anni.
Non seppi molto di più, ma
se ho ben compreso, i problemi delle madri di cui F. e i suoi collaboratori si
occupano sono di ordine legale, giudiziario, sociale. Io credo che
problematiche di questo tipo abbiano comunque una ripercussione sulla relazione
(Bowlby,1989, Romito,1992), ma non mi è stata fatta menzione di nessun
intervento volto al recupero, e in ogni caso non si tratterebbe più di
relazione peri e postnatale.
Il dottor T. mi disse che
nell’ospedale in cui lavora non vi sono utilizzi del sonoro per favorire la
relazione o comunque non ne era mai venuto a conoscenza; volle parlarmi di
quanto fosse ben organizzata l’azienda ospedaliera in questione, mi citò delle
cifre relative al numero di parti per anno e, con un certo orgoglio, disse di
avere l’abitudine di praticare il cesareo senza anestesia totale, per non far
perdere alla donna un momento così importante. Si può essere d’accordo sul
fatto che partorire in anestesia totale
rappresenti un mosaico al quale mancano alcune tessere, alle donne
resterebbe probabilmente solo l’indolenzimento fisico a testimonianza di questo
evento, tuttavia è probabile che sia una decisione che spetti alla madre in
prima persona, perché anche affrontare il parto con la prospettiva di un taglio
cesareo visibile e doloroso potrebbe compromettere l’evento…Troppe sarebbero le
considerazioni da fare e troppo scarsa la mia esperienza su questa particolare
questione: non ho la pretesa di esaurire ogni punto, si può sostenere che
questa dovrebbe comunque essere una
scelta della donna, la quale ha il diritto di essere informata a fondo dal medico
su tutte le possibilità e sui risvolti che recano con sé, e in seguito sentirsi
libera di decidere e appoggiata in ogni sua decisione.(cfr. Soifer,R.,1985, Oakley,A.,1985, Romito,P.,1992)
Riguardo alle nascite premature, questo medico disse di non condividere l’idea che rappresentino una perdita della relazione, perché nella sua esperienza ha visto donne che non vedevano l’ora di ricongiungersi al bambino e che una volta accaduto non avevano problemi. Certo, ma nel momento del ricongiungimento siamo già nella sfera del recupero della relazione, la perdita e l’isolamento sono precedenti.
Devo dire con rammarico che
speravo di acquisire più conoscenze da questo incontro, e che anche dal punto
di vista relazionale non è stato molto arricchente, ma se il dubbio è fonte di
conoscenza futura, in questo è stato uno scambio di valore perché mi ha
consentito d’interrogarmi su una questione importante: le istituzioni e gli
operatori del settore, fino a che punto svolgono il loro lavoro esclusivamente
finalizzandolo ai bisogni dell’utenza, in questo caso le donne incinte o che
hanno già partorito?
Perché talvolta sembra non
esserci un intento collaborativo e aperto ad ogni contributo, ma un desiderio
di rivendicare le proprie convinzioni? Già Ann Oakley lamentava atteggiamenti
di questo tipo, leggendo anche alcuni interventi come finalizzati a favorire il
medico più che la partoriente (come il partorire distese). (Ibidem)
Perché F. mi ha illustrato i
vari convegni e manifestazioni a cui ha preso parte, anziché dirmi cosa legge
negli occhi di una madre che ha bisogno di aiuto, e cosa le susciti la loro
relazione?
Sono domande a cui spero un
giorno di trovare una risposta.
Ho svolto indagini dello
stesso tipo in una zona della Francia, (Regione Rone-Alpes, Dipartimento Loira)
e nel corso della mia pur limitata esperienza ho trovato nelle istituzioni un
atteggiamento più informale, più collaborativo e più desideroso di trasmettere
informazioni e condividere conoscenza, per questo dedicherò ad un incontro che
ho avuto oltralpe un breve paragrafo a parte. Bisogna anche dire che là sono
più abituati e perciò aperti al discorso sull’utilizzo della musica, che da noi
è meno diffuso. (cfr.
Postacchini,P.L.,1997, Benassi,E.,1998)
Prima, però, vorrei
aggiungere altri passi che ho compiuto in questa “esperienza pratica non
guidata”.
Mi sono avvalsa del nuovo
grande mezzo di comunicazione, Internet, e ho scambiato informazioni e opinioni
in rete con persone appartenenti ai Forum di discussione del Sito Ufficiale
Italiano di musicoterapia, e di un analogo sito francofono: è stato
interessante venire a conoscenza direttamente dai professionisti che lavorano
in questo campo, delle acquisizioni i materia e degli usi che fanno del mezzo
musicale. A livello relazionale l’esperienza è inconsistente, ma per ottenere
pareri e testimonianze in breve tempo e da un gran numero di persone
contemporaneamente è molto efficace.
Da questa fonte, però, ho
appreso che quelli che si occupano di musica in relazione alla maternità sono
così poco numerosi da potersi contare sulle dita di una mano. (www.mtonline.it,
www.egroups.aecouteasbl.fr)
Sempre via Internet, ma in
seguito anche telefonicamente, ho contattato otto Associazioni che forniscono
assistenza medica, o aventi un proposito legato alle donne: tra queste sei mi
hanno risposto, ma non agiscono per la maternità, una mi ha risposto
proponendomi di partecipare ad incontri per le donne nella speranza di trovarvi
qualche testimonianza sulle dinamiche relazionali durante e dopo la gravidanza,
ma non era lo scopo dei suddetti incontri, e da una non ho avuto risposta.
L’ultimo passo da me
compiuto, è stato quello di cercare e contattare delle palestre che tengano
corsi di ginnastica preparatoria al parto: tramite Elenco Telefonico, Pagine
Gialle e pagine Utili ne ho individuate quattro, di cui due sono centri
sportivi e due sono scuole di yoga.
Nei due centri sportivi mi è
stato detto che la musica non viene usata con uno scopo preciso, ma è presente
in alcuni casi come sottofondo, e in molti casi è assente. I loro corsi
proponevano lezioni di ginnastica in acqua, individuali e di gruppo.
Delle due scuole di yoga,
invece, con una sono riuscita a parlare solo attraverso segreteria telefonica e
non sono stata contattata; per l’altra ho potuto parlare con la persona che
tiene i corsi e che chiamerò Marta, e con due frequentatrici del corso.
Per la lettura di tali
testimonianze si veda oltre.
3.2 L’incontro con Janine
Dopo aver preso accordi
telefonicamente, mi sono recata alla Clinica Michelet a Saint Etienne un
giovedì pomeriggio all’ora convenuta.
Non ho avuto problemi a
trovare il posto, essendo la Clinica situata in una zona centrale e avendo
precedentemente consultato una cartina della città.
L’entrata somiglia a quella
di un hotel, accanto alla porta d’ingresso spiccano le targhe con i nomi dei
numerosi professionisti che vi lavorano: ostetriche, ginecologi, infermiere
specializzate, cerco il nome di uno psicologo ma non lo trovo.
Entro, e dopo aver lasciato
il mio nome alla reception vengo subito ricevuta da Janine, in un piccolo
ufficio al quarto piano.
Janine è un’infermiera
specializzata responsabile del quarto e quinto piano della clinica, dove si
trovano rispettivamente la neonatologia e quella che viene chiamata “Unité
Cangourou ”: unità canguro.
Vengo accolta con molta
gentilezza e dopo un breve scambio di parole (parlo correntemente il francese,
non ho dunque problemi a domandare tutto ciò che m’interessa) subito chiedo se
è vero ciò che è risultato dalla mia indagine, cioè che si tratta dell’unico centro
ospedaliero privato in città e dintorni specializzato in ostetricia e
ginecologia; ricevo conferma di questo dato.
Chiedo poi cosa propongano
in più o di diverso rispetto ad una struttura pubblica, e Janine mi parla
dell’unità canguro.
Essa è dedicata ai bambini
prematuri, per i quali s’interviene con il contatto e si cerca di eliminare o
ridurre il più possibile l’isolamento.
Questa pratica è nata
inizialmente da un’esigenza di ridurre i costi e dalla proposta di un medico
argentino, ed in seguito si è rivelata come apportatrice di molti benefici:
Janine mi ha spiegato che prima avevano un couveuse
con le incubatrici, mentre ora praticano il rooming in e la mamma è libera di tenere il piccolo con sé il più a
lungo possibile se lo desidera. (cfr.
Soifer,R.,1985, Romito,P.,1992)
Nei casi più gravi, quando i bambini devono restare costantemente nell’incubatrice in una sala a parte, le mamme e i papà sono ammessi nella stanza senza grosse limitazioni, interagiscono col personale e alle mamme è permesso di prendere e di toccare il neonato, come auspica il Dottor Couronne di Metz.
La “canguro terapia”
consiste nell’appoggiare il corpo del bambino nudo su quello nudo di sua mamma,
così le loro pelli si toccano e la madre, con l’aiuto del personale, impara ad
occuparsi da subito del proprio figlio e non ne rimane separata.
Come mi è stato riferito, i
vantaggi fisici per il bambino sono innegabili: sono più tonici e progrediscono
più in fretta. Inoltre non sono isolati.
I vantaggi per la mamma sono
altrettanto importanti: diminuisce il loro senso di colpa, vengono rese
responsabili del loro bambino, hanno meno paura perché possono avere un
contatto normale e quindi non pensano di avere un figlio anormale, sono aiutate
dal personale ad occuparsene ed acquistano presto sicurezza nel farlo. (cfr. Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991)
Inoltre in questa clinica
vengono massaggiati i neonati e s’insegna alle madri a farlo correttamente.
La Soifer sarebbe
probabilmente d’accordo su questo atteggiamento: promuovere il contatto, evitare
l’isolamento.(Ibidem)
Come scrive Spitz,
all’inizio la corrispondenza tra i bisogni della madre e quelli del bambino si
esprime nella ristrettezza del contatto fisico. Un tempo e in altre società,
questo contatto della pelle costituisce un fattore estremamente importante, che
permette lo sviluppo del bambino in un clima di sicurezza. (Spitz,R.A.,1962)
Nel mondo occidentale, il
contatto cutaneo fra la madre e il bambino è stato progressivamente e
artificialmente ridotto. Spitz lo interpreta come un tentativo di negare
l’importanza del legame madre-bambino nocivo per le generazioni future. (Ibidem)
Tornando al mio colloquio con Janine, chiesi anche qualcosa sull’utilizzo della musica, e mi rispose che lei, quando c’era il nido, soleva mettere della musica classica (ad esempio Beethoven) la notte e constatava che questa aveva un effetto calmante: i bambini smettevano di piangere e si addormentavano. Gli stessi effetti sono stati riscontrati in una ricerca condotta all’Ospedale C.Bernard a Metz da Lydie Wolff (1999).
Oggi le mamme della clinica
di Saint Etienne mettono spesso nelle loro stanze delle registrazioni musicali
per loro e per il loro bimbo.
Inoltre vorrei citare una
frase che ho trovato sulla brochure della
clinica:
“Su vostra richiesta, dei
brani musicali appositamente scelti vi accompagneranno al momento del parto”.
Vorrei solo aggiungere che
ho potuto visitare la clinica, e constatare il buon livello d’interazione fra
le giovani mamme e i loro piccoli, e che questa esperienza mi ha lasciato un ricordo
molto positivo.
3.3 L’incontro con Marta
Marta ha un’esperienza
ventennale nell’insegnamento dello yoga e da alcuni anni tiene corsi di yoga
appositamente concepiti per la gravidanza e la preparazione al parto, nonché
dei seminari sull’argomento.
L’appuntamento era stato
fissato telefonicamente con qualche settimana d’anticipo e confermato due
giorni prima.
Appena arrivai nella scuola
di yoga di Torino, di cui non farò il nome, fu la stessa Marta ad accogliermi e
mi pregò subito di togliermi le scarpe, come del resto recitava anche un
cartello sulla porta d’ingresso.
Mi dissi che sarebbe stato
un colloquio informale.
Eravamo sole e abbiamo
potuto parlare per più di mezz’ora con tranquillità.
La stanza aveva i muri color
zafferano e il pavimento arancione, c’era profumo d’incenso nell’aria:
l’impatto sensoriale era forte e per me piacevole. Ci sedemmo a terra su un
cuscino, anch’esso arancione.
Come già avevo fatto con
Janine, chiesi il permesso di prendere qualche appunto per non dimenticare
delle nozioni importanti.
Marta mi disse subito che
nelle lezioni di yoga normalmente non utilizza basi musicali, ma in quelle per
la gravidanza sì: lo yoga è per la mamma e la musica è per il bambino, anche se
poi vi è una circolarità per la quale ciò che fa trarre un beneficio alla mamma
ne costituisce uno anche per il bambino che di lei è parte, e la musica aiuta
anche le donne a focalizzarsi sull’attività di rilassamento. (cfr. Palmegiano,F. e Auriol,B.)
Ciò che a mio avviso è molto
interessante è la scelta delle musiche: devono essere molto dolci e ricordare
la terra, che simboleggia la madre, e l’acqua, che riconduce all’ambiente
intrauterino; questo elemento favorisce nella madre l’identificazione col feto,
che abbiamo visto essere un vissuto tipico specie delle prime settimane di
gravidanza.
L’acqua simboleggia anche la
donna e madre, soprattutto l’immagine della luna che si specchia nell’acqua.
Immagini di questo tipo si
creano nella mente grazie all’ascolto della musica e alla focalizzazione
sensoriale: la percezione si lega al suono e nella mente si crea un’immagine.
I principali strumenti che
vengono utilizzati nello yoga per la gravidanza sono i centri energetici, i
mantra, i mudra e il bhrammari.
I centri energetici sono la
terra, l’acqua, il fuoco, l’aria (che respiriamo) e l’etere (al di là
dell’aria); i primi due sono femminili, il terzo e il quarto maschili fino ad
arrivare all’ultimo che è neutro e universale.
Mantra deriva da due parole
sanscrite: manas , che significa
mente, e traya, ovvero liberazione; i
mantra sono numerosi e sono come dei suoni, perché ognuno corrisponde ad un
suono diverso e tramite essi si calma e si libera la mente. (cfr. Palmegiano,F.,1992)
I mudra associano i mantra a
dei gesti con le mani, per canalizzare l’energia e stimolare la respirazione [21].
La respirazione nella parte bassa, per esempio, potenzia l’energia in quella
parte del corpo.
La tecnica chiamata
bhrammari è di particolare interesse per il presente lavoro perché utilizza il
suono della voce: essa produce un suono che ricorda quello dell’ape.
Lo yoga è una tecnica di
rilassamento che considera la globalità della persona, formata da mente, corpo,
energia e spirito. (Ibidem)
Vi sono degli aspetti di questa disciplina per i quali sembra molto ben associabile all’idea della maternità e utile a contrastare le sopracitate difficoltà relative alla gravidanza e alla gestione della relazione nel mondo di oggi.
La stessa parola yoga deriva
dal verbo yuj che significa
vincolare, unire, perciò lo yoga è un’esperienza di unione, come la gravidanza.
Appare adatto a chi è
incinta perché non coinvolge solo il corpo ma le emozioni, che bisogna saper
ascoltare. Aiuta a ritrovare l’equilibrio in un mondo in continuo cambiamento,
e di ritrovare e ascoltare la parte più profonda di se stessi (Metodo
Satyananda).
Inoltre stress e
preoccupazioni sono spesso il risultato di uno stile di vita focalizzato su
eventi passati o futuri, lo yoga aiuta a ritrovare la consapevolezza del
presente.
Ma il valore di questa
disciplina cresce con l’utilizzo della musica.
Inoltre questi corsi di
preparazione al parto hanno anche dei vantaggi secondari ma non meno
importanti: come sostiene la Soifer, infatti, oltre al beneficio intrinseco che
se ne ricava, permettono di trovare sostegno nel gruppo, proteggendo così dalle
angosce. (Soifer,R.,1985)
Mi sono chiesta, e ho
chiesto a Marta, se le donne che si avvicinano a questi corsi praticavano yoga
anche prima della gravidanza, ebbene emerge un dato interessante: su 10 donne
che frequentano le lezioni, 8 non avevano mai praticato yoga in precedenza.
Come vedremo dalle
testimonianze che seguono, quando si aspetta un figlio nascono nuove esigenze.
3.3.1 Miriam
Miriam è al sesto mese di gravidanza, è sposata ed ha già un bambino di un anno e mezzo.
Si definisce una persona
molto attiva, sempre in movimento, poco portata a fermarsi e riflettere. Anche
nella scelta delle attività nel tempo libero, si è sempre orientata verso sport
di forza e velocità, come lo sci.
Non ha mai praticato yoga,
ma ne ha sentito parlare da sua cognata che invece lo ha già sperimentato.
Ciò che l’ha spinta a
frequentare il corso di yoga per la gravidanza è l’esigenza di fermarsi per
essere più tranquilla e avere l’occasione di concentrarsi sulle sue sensazioni.
Miriam non lamenta angosce particolarmente
acute, ma vuole vivere con pienezza questa seconda maternità.
Un altro motivo che l’ha
spinta è il bisogno di ritagliare uno spazio che sia solo suo e del bambino che
aspetta: a differenza della prima gravidanza, ora ha un bambino piccolo di cui
occuparsi e non vuole penalizzare nessuno, neanche se stessa.
Ma pensa a se stessa
soprattutto per il piccolo che porta in sé: il concepimento non è stato
particolarmente pianificato, esattamente come il primo, ma adesso non vuole più
lasciare nulla al caso.
Non si può dire se tragga
beneficio dal corso perché è alla sua prima lezione, ma sembra che la
consapevolezza e i propositi con cui è venuta costituiscano già da soli
un’ottima premessa.
E’ arrivato il momento di
fermarti, Miriam.
3.3.2 Evelyn
Evelyn è alla sua prima gravidanza, è sposata ed è entrata nell’ottavo mese; non aveva mai praticato lo yoga prima di essere incinta.
Dice di essere un tipo nervoso, ma da quando frequenta il corso è più calma.
Molto vivace, Evelyn,
descrive suo marito come una persona di temperamento opposto: tranquillo, anzi
decisamente pigro.
Ha deciso di frequentare
questo corso proprio per le capacità di rilassamento che si attribuiscono
tradizionalmente allo yoga, e per questo lo ha preferito ai corsi di ginnastica
preparatoria al parto.
Anche Marta, che la segue
ogni venerdì da circa due mesi, dichiara di vederla cambiata, è più tranquilla
e lo si vede dalla postura, dall’andatura, dal modo di parlare.
Evelyn ha imparato a
percepire e a controllare la respirazione: è molto divertita dal fatto che
alcune persone inalino più aria dalla narice destra, ed altri dalla sinistra, e
sta tentando d’insegnare la respirazione anche a suo marito. Ride, sotto lo
sguardo attento di Marta, è serena.
Buona fortuna, Evelyn.
La fine di un lavoro, di
un’esperienza, è il momento in cui vanno tratte delle conclusioni. Queste
dovrebbero risultare coerenti, obbiettive e argomentabili.
Si dovrebbe tenere conto
degli obbiettivi di partenza, vedere se siano stati modificati in corso d’opera
e in che misura siano stati soddisfatti.
Sarebbe bene poi analizzare
il percorso seguito, ripercorrere le tappe ritenute più significative,
riflettere sulle nozioni acquisite e sul modo in cui sono state ottenute.
Le conoscenze maturate dovrebbero
essere di una qualche utilità per chi le ha acquisite, e di un qualche
interesse per chi ne viene reso partecipe.
E siccome ogni lavoro non
può rimanere fine a se stesso, ma provocare in noi un cambiamento, non si può
non riflettere sulle implicazioni personali e sul feedback di tutta
l’esperienza.
Se il tutto viene visto come
un viaggio, le conclusioni raggiunte si potrebbero dunque riassumere in una
domanda: dove si è arrivati?
Ma occorre procedere con
ordine, cominciando dalla scelta dell’argomento su cui verte il presente
lavoro.
Tale scelta è nata in
seguito al desiderio di unire due interessi: uno presente da tempo, in parte a
livello latente, e uno nato recentemente.
Il primo dei due è quello
per la maternità e per il suo aspetto relazionale; il secondo riguarda l’uso
della musica come mezzo di comunicazione, avendo sperimentato una forma di
colloquio sonoro, usando degli strumenti musicali, con la Dott.ssa Porzia
Talluri durante un’esperienza pratica guidata all’università di Torino.
Se era possibile comunicare
attraverso la musica, doveva essere possibile utilizzarla per veicolare dei
messaggi all’interno della relazione madre-bambino.
Si noti che non si è partiti
dunque da una conoscenza previa su cui fondare il lavoro, ma da qualcosa la cui
esistenza stessa era da verificare.
Uno degli obbiettivi era
quindi documentarsi al fine di scoprire se l’ipotesi di partenza, ovvero che la
musica possa avere un ruolo nel recuperare una relazione interrotta, avesse un
fondamento.
Si sono trovati alcuni contributi
teorici che suffragano tale ipotesi.
Ad esempio Edith Lecourt,
studiosa molto nota in Francia, scrive che la musica costituisce un mediatore
che possiede un potere affettivo tutto particolare legato alla precocità dello
sviluppo uditivo rispetto agli altri sensi. (Lecourt,E.,1980)
Il mezzo musicale si
rivelerebbe adeguato per relazionarsi con un bimbo appena nato, in quanto il
neonato è in grado di percepire i suoni già dalla vita intrauterina: sia quelli
interni, ovvero provenienti dal corpo della madre come il battito del suo
cuore, sia le stimolazioni sonore esterne, tra cui anche la musica in quanto
insieme di suoni organizzato. (cfr. Eisenberg,
1976, in Delalande,F.,1982; Tomatis,A.,1983; Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991;
Rousseau,H.,1993; Wolff,L.,1999)
Il precoce sviluppo della
funzione uditiva (ibidem), può dunque
essere interpretato come fattore favorente la comunicazione, ed essere studiato
in una prospettiva relazionale.
Dato che l’utilizzo della
musica è necessariamente collegato alla funzione uditiva, se quest’ultima
sottende alla comunicazione, allora la musica può essere uno strumento di
relazione. (Ibidem)
Perché inserire questo
strumento in una prospettiva d’intervento volta al recupero della relazione
madre-bambino?
Partendo dal presupposto che
l’amore materno non può essere completamente aconflittuale (Langer,M.,1951,
Ferraro,F. et al., 1985,
Brustia,P.,1996), si è postulato che questo elemento, associato a eventi quali
un parto prematuro, possa portare a recidere temporaneamente il legame.
L’isolamento in cui si trova
il bambino nato prematuramente, la discrepanza fra lui e l’immagine che se ne
aveva prima della nascita, e il senso di colpa della madre per non aver
“portato a termine il suo compito” sono stati individuati come fattori causanti
la perdita della relazione. (Soifer,R.,1985, Bowlby,J.,1989,
Brazelton,T.B.,Cramer,B.,1991, Castelfranchi,C. et al.,1994)
Dal colloquio con
un’ostetrica della Clinica Michelet di Saint Etienne, è emerso che ridurre
l’isolamento favorisce lo sviluppo del bambino, riduce il senso di colpa
materno e, in ultima analisi, aiuterebbe il recupero della relazione (cfr. paragrafo 3.2 e Soifer,R.,1985).Ciò
viene attuato nel caso esaminato mediante la cosiddetta canguro-terapia, in cui
il piccolo e la mamma stanno a stretto contatto e le loro pelli si toccano. (cfr. Bick,E.,1968)
Sembra inoltre che il
bambino, poggiato sul petto di sua madre, riconosca come familiare il suono del
battito del cuore perché lo percepiva nel periodo pre-natale, e sembra che
questo gli serva da punto di riferimento dopo la nascita. (Rousseau,H.,1993,
Wolff,L.,1999)
Queste recenti acquisizioni
confermano che oggi si presta maggiore attenzione all’ambito relazionale anche
in maternità e neonatologia. (Peri,G.,1992)
Uno degli scopi del presente
lavoro era di cercare degli esempi di applicazione della musica nell’ambito
della maternità, e ne sono stati trovati alcuni in Italia (cfr. Benassi,E.,1998) e all’estero (cfr. Rousseau,H.,1993, Wolff,L.,1999)
Sono apparse particolarmente
significative delle recenti ricerche svolte a Metz che confermerebbero
l’ipotesi che la musica possa essere uno strumento di relazione da impiegarsi
nel recupero del legame genitori- neonati: il Dottor Michel Couronne (ibidem) la chiama “cordone ombelicale
sonoro” poiché può unire il bambino prematuro alla madre e al padre.
Sulla base di alcuni studi
(Palmegiano,F.,1992, Auriol,B.,1999) si è ipotizzato inoltre che la musica
possa venire usata in associazione a tecniche di rilassamento quali lo yoga in
preparazione alla gravidanza.
Ebbene le testimonianze
ascoltate nell’ambito dell’indagine condotta nel presente lavoro,
confermerebbero che particolari musiche appositamente scelte avvicinano la
mamma al bambino ponendo le basi per una relazione più consapevole e attenuando
le angosce. (cfr.
Soifer,R.,1985;paragrafo3.3)
In seguito allo studio di
alcuni testi (Rich,A.,1977, Oakley,A.,1985, Romito, P.,1992) si è inoltre
giunti alla conclusione che nelle tappe che conducono alla maternità
occorrerebbe che l’ambiente sociale che circonda la donna fosse più
collaborativo nell’aiutarla a svolgere alcune mansioni (Bowlby,J.,1989), e più
comprensivo nel considerare che l’evento nascita non reca con sé solo gioia e
soddisfazione, ma anche conflitti, momenti di angoscia e prove da superare
(Brustia,P.,1996).
In questa tesi sono state
fatte quindi alcune considerazioni a proposito della maternità: ne è stato
preso in considerazione l’aspetto relazionale fin dagli albori e nelle sue
tappe ritenute essenziali, si sono ipotizzate le cause della perdita del legame
madre-bambino e alcune possibili modalità per il suo recupero che vedono
protagonista l’impiego del mezzo musicale.
Si è fatta inoltre menzione
di una pur breve indagine, che contiene alcuni esempi e testimonianze che
appaiono utili per verificare se si possa trovare un riscontro pratico ai dati
teorici, e che suscitano degli interrogativi che possono essere visti come
l’inizio di un futuro piano d’indagine.
L’esperienza pratica ha
messo in rilievo degli elementi, in particolar modo grazie all’aiuto delle
testimonianze raccolte, che confermano alcune delle premesse teoriche da cui
era partita.
Ha stupito il fatto che la
figura della madre ha sempre avuto molto rilievo nella nostra società
(Badinter,E.,1981), ma nonostante questo le attività di assistenza per gestanti
e partorienti sembrano davvero poche.
Forse che la mamma diventa
mamma a tutti gli effetti solo dopo un certo numero di anni?
Ciò che è emerso, è che la maternità possiede mille sfaccettature:
non si aveva in principio né si ha adesso la pretesa di averle messe in luce
tutte, si ritiene tuttavia che l’andamento seguito dal lavoro sia coerente
con le premesse, e che abbia risposto ad alcuni degli interrogativi che erano
stati posti in partenza.
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[1] Si vedano in proposito Ferraro F. e Nunziante Cesaro A., 1985, pag.74 e Brustia P., 1996, pag.166.
[2] Si veda per approfondimenti in merito la sezione 1.2.2 : Aspetti sociali.
[3] Brustia , P., 1996
[4] Ferraro F., Nunziante Cesaro , A., 1985
[5] Brazelton , T., Cramer , B., 1991
[6] A volte l’efficienza esagerata cela un rifiuto della gravidanza
[7] Cfr. Hélène Deutsch, 1945, Psicologia della donna, Vol. 2.
[8] Vedi pag. 15
[9] Scheler,M., 1913, op. cit. in Schilder, P.,1935, pag.327
[10] Si veda Romito, P.,1992, pagg.117 e seguenti
[11]Si vedano per approfondimenti Brazelton,T. e Cramer,B.,1991, pag.165, e Brustia,P., 1996, pag.223
[12] Si veda Romito, P., 1992, pag.121
[13] Hopkins et al. 1984, op. cit. in Romito, P., 1992, pag.15
[14] Si vedano le pagine 15 e 38
[15] Paykel et al., 1980, op.cit in Romito,P.,1992)
[16] Si veda ad esempio Brustia, P., 1996, pag.115
[17] Op. cit. in Schaffer,H.R., 1977, pag.29
[18] Si veda in proposito il paragrafo a pag. 59
[19] Lo si può leggere oltre, si veda il paragrafo 3.2: “L’incontro con Janine”
[20] Op. cit. in Rousseau,H.,1993, pag.43
[21] In questo svolgono la stessa funzione del canto prenatale e durante il parto, cfr. Benassi,E.,1998